Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi con il leader libico Muhammar Gheddafi
Nell’edizione domenicale del New York Times del 20 febbraio è apparso un editoriale sull’Italia che ne descrive l’attuale situazione politica in termini poco lusinghieri.
“Malgrado i governi italiani non siano noti per l’effficienza che li contraddistingue – si legge nell’articolo – i seri problemi che affliggono il Paese sono ora completamente ignorati da quando il Tribunale di Milano ha iscritto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi nel registro degli indagati per le accuse di sfruttamento della prostituzione minorile e abuso di ufficio”.
“Quello che stiamo attraversando – continua il New York Times – è un momento particolarmente delicato in cui l’Italia non può permettersi di restare a guardare. Nei prossimi mesi si decideranno, in ambito europeo, le nuove regole monetarie dell’Unione. Nel frattempo, i paesi nordafricani vengono sconvolti da profondi sommovimenti politico-sociali che sovvertiranno gli accordi che l’Italia ha stipulato con Tunisia e Libia in materia di politica energetica e controllo dei flussi migratori”.
“Visto ciò che accade a Roma – l’editoriale conclude – è molto improbabile che l’Italia abbia la credibilità necessaria per avere voce in capitolo sia con i suoi partner europei che con i vicini nord-africani”.
Questo, nella sostanza, il severo verdetto pubblicato a pagina 9 della sezione dedicata agli editoriali non firmati: quelli che riflettono la posizione della proprietà del giornale.
Ma a parte questo articolo, a guardar bene, nel giornale newyorchese i riferimenti a quanto accade al momento in Italia non si limitano solo all’editoriale di pagina 9.
A pagina 2 della stessa sezione infatti, è appparso nello stesso giorno una vignetta che, pur non alludendo all’Italia, ha, a mio avviso, una rilevanza altrettanto diretta con la situazione italiana. Nella vignetta si vede una coppia seduta sul divano di casa con un giornale aperto sulla notizia delle proteste di piazza in Egitto. “Hosni Mubarak si dimette dopo 18 giorni di rivolta” recita il titolo, mentre il figlioletto commenta sotto lo sguardo perplesso dei genitori: “Tutto questo si sarebbe risolto molto più rapidamente se Mubarak avesse spedito a una donna una sua foto a torso nudo”.
Molto probabilmente la vignetta risulterà incomprensibile per i lettori italiani poichè si riferisce ad un episodio avvenuto di recente ma che non ha superato i confini nazionali americani: Chris Lee, un deputato repubblicano dello stato di New York si è dimesso dalla carica per avere inviato una sua foto a torso nudo a una donna con la quale cercava di avere un incontro romantico. In aggiunta alla foto, Lee ha anche mentito dichiarandosi celibe e disponibile quando invece è sposato con due figli.
Quella commessa dall’onorevole Lee sarà una monumentale stupidaggine che potrebbe costargli il matrimonio ma, di certo, non costituisce un reato. Malgrado ciò, Chris Lee non ha esitato a dare le sue dimissioni immediate conscio del fatto che l’elettorato, i suoi colleghi alla Camera e la stampa non gli avrebbero mai perdonato la tentata scappatella e, di conseguenza, non gli avrebbeno mai consentito di rimanere in carica dopo una tale gaffe etica.
L’episodio ovviamente salta agli occhi di un italiano residente negli Stati Uniti perchè malgrado gli Americani siano notoriamente considerati moralisti e bacchettoni, questo non autorizza – come invece sembra essere implicito in Italia – una legittimazione dell’eccesso opposto, cioè la tendenza a condonare il comportamento di un classe politica come quella italiana ormai avezza ad una totale impunità non solo in relazione a comportamenti impropri dal punto di vista etico ma a veri e propri reati.
Tra l’atteggiammento “bacchettone” dell’opinione pubblica americana e l’apatia morale di quella italiana, che resta impassibile di fronte a qualsiasi scandalo, personalmente preferisco la prima perchè almeno evita l’ignominia di un parlamento carico di indagati, inquisiti e condannati come quello che attualmente occupa Montecitorio.
Ma i paragoni con l’Italia, per me, non sono finiti li.
Visto il periodo infatti, il giornale ha anche dedicato più di un articolo alle rivolte popolari in Egitto e in quei paesi arabi accomunati dalla presenza opprimente di regimi corrotti e antidemocratici con la tendenza all’occupazione permanente del potere politico.
Ecco, da italiano che vive in America, non posso che guardare con una certa nostalgica tenerezza all’anacronismo dei vari Mubarak, Gheddafi, Ben Alì e Ahmadinejad con i loro metodi repressivi da fascismo anni Quaranta o da comunismo anni Cinquanta.
Randelli, frodi elettorali, e incarcerazioni delle opposizioni possono essere utili nel breve termine ma, a lungo andare, questi metodi ormai stereotipizzati, creano nel resto del mondo e, soprattutto all’interno dei propri confini nazionali, un’immagine ben identificabile da autentico, “ruspante” regime autoritario.
Nell’era della comunicazione globale, quando in qualsiasi angolo del mondo si può vedere e capire come si vive in altre nazioni, questi mezzucci alla Nicolae Ceasusescu puzzano di antico perchè inevitabilmente finiscono per attrarre l’odio delle popolazioni, esasperate da soprusi e abusi perpetrati per decenni ( a meno di non essere dei veri professionisti del vetero-autoritarismo isolazionista alla Kim Jong Ill…)
No…i tempi sono cambiati! Questi rais mummificati, lasciati indietro dalla storia, hanno molto da imparare dall’Occidente o almeno, da una parte dell’Occidente.
In paesi come l’Italia berlusconiana o il Midwest americano il consenso popolare si costruisce con ben altri metodi, piu’ raffinati e telegenici.
Perchè ricorrere alla violenza e alle intimidazioni quando, con il controllo “a tappeto” dei mezzi di informazione e qualche programma giusto, si può raggiungere quella serena anestetizzazione morale ed intellettuale delle masse? In questo modo, gli eccessi del leader, al massimo potranno suscitare una strizzatina d’occhio complice, ma certo non indignazione e rabbia popolare!
Gheddafi sarà anche in rapporti intimi con Berlusconi ma, a quanto pare, non ha ancora capito il segreto fondamentale del successo mediatico e cioè che, al di là della sostanza, un bel sorrisone da piazzista vale più di cento carri armati.