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February 24, 2011
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Obama, Ban Ki-moon e la responsabilitá di proteggere il popolo libico da Gheddafi

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 7 mins read

 NEW YORK. "RESPONSIBILITY TO PROTECT".  È questa la frase piú sentita in questi giorni alle Nazioni Unite, a cominciare dai diplomatici libici che da lunedì si sono schierati contro il regime di Muammar Gheddafi per difendere il loro popolo in pericolo. E se qualcosa di simile ad un genocidio è il terribile scenario che si starebbe profilando, come ha ripetuto il numero due della missione libica all’ONU, l’ambasciatore Ibrahim Dabbashi, proprio subito dopo essere uscito dal Consiglio di Sicurezza martedi pomeriggio, sembra che anche le grandi potenze che lo controllano quel Consiglio abbiano sentito la pressione della "responsibility to protect", cioè la responsablilità della comunità internazionale di proteggere un popolo che viene massacrato dai propri governanti.
Infatti nello statement, nella dichiarazione che il Consiglio di Sicurezza ha votato unanime martedì sera, c’era proprio l’esortazione al governo libico "to meet its responsibility to protect its population". Rispettare la sua responsabilità di proteggere la sua popolazione.
 
Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU si era riunito martedì grazie alla richiesta di Dabbashi, creando una situazione molto strana per non dire straordinaria. Infatti seduto al Consiglio di sicurezza c’era appunto il numero due della missione libica Dabbashi, ma c’era anche l’ambasciatore Mohammed Shalgam, il capo missione, che non era d’accordo con la richiesta inoltrata da Dabbashi al Consiglio di Sicurezza.  Due ambasciatori libici che l’Onu consentiva, almeno fino a martedí, di parlare ad entrambi in nome della Libia, ma con scopi ovviamente ben diversi.
 
Dabbashi aveva intravisto anche nel discorso di martedì di Gheddafi, segnali diretti a far partire il genocidio, e sembra che il Consiglio di Sicurezza abbia reagito con un comunicato che peró non comporta ancora nessuna risoluzione, insomma non affonda il morso come potrebbero essere delle sanzioni e, soprattutto, l’imposizione di un blocco dello spazio aereo, la cosidetta ‘no fly zone’ richiesta dall’ambasciatore Dabbashi fin da lunedí per proteggere la popolazione libica dagli assalti di Gheddafi.
 
Mercoledi mattina nei corridoi dell’Onu le discussioni erano sui perché il presidente della cosidetta Potenza chiamata indispensabile non tanto tempo fa, stesse ancora in silenzio rispetto alla caneficina in atto in Libia. E’ vero che il segretario di Stato Hillary Clinton aveva giá usato parole di condanna, ma il silenzio del presidente Obama cominciava a far troppo rumore. Poi finalmente nel primo pomeriggio di mercoledí  i maggiori network americani annunciavano che Obama sarebbe intervenuto dalla Casa Bianca. Anche se il presidente americano non ha mai pronunciato il nome di Gheddafi, le sue sono state parole  chiare: "Le sofferenze e lo spargimento di sangue inflitto alla popolazione libica sono oltraggiose e inaccettabili, cosí come le minacce e gli ordini di sparare su pacifici dimostranti" ha detto Obama. "Queste azione violano le norme internazionali e ogni senso comune della decenza. La violenza deve fermarsi".
 
Poi Obama ha ricordato che gli Stati Uniti appoggiano con forza i diritti universali del popolo libico, che includono il diritto a riunirisi pacificamente, alla libertá di parola e l’abilitá del popolo libico di determinare il proprio destino. "Questi sono diritti umani" ha continuato Obama, "che non sono negoziabili. Devono essere rispettati in ogni paese e non possono essere negati attraverso la violenza e la repressione".
 
Obama ha elogiato il messagio di condanna del Consiglio di Sicurezza, ricordando anche che i responsabili di certe violenze sul popolo libico saranno ritenuti responsabili delle loro azioni. Anche se Obama ha espresso la volontá degli Stati Uniti di voler rispondere alla crisi in Nord Africa in maniera multilaterale, nel suo discorso ha parlato pure di "full range of options", incluse quindi le opzioni che eventualmente "prenderemo noi e quelle che coordineremo con i nostri alleati e quelle che porteremo avanti attraverso istituzioni multilaterali".
 
Poi Obama ha ripreso l’argomento delle responsabilitá del governo libico, che come ogni governo "deve astenersi dal ricorrere alla violenza, deve concedere assistenza umanitaria a chi ne ha bisogno e rispettare i diritti della sua gente". E quindi anche Obama ha ripetuto che "il governo libico sará ritenuto responsabile per il mancato rispetto di queste sue responsabilitá, e dovrá pagare per la continua violazione dei diritti umani". E dato che, ha detto Obama, é tutto il mondo che sta guardando e si sente coinvolto e non solo gli Stati Uniti, il suo governo si coordinerá con la comunitá  internazionale per dare assistenza e assicurare alla giustizia gli eventuali colpevoli. Per questo, ha detto Obama, invierá il segretario di Stato Hillary Clinton a Ginevra per una sessione speciale dello Human Rights Council, il Consiglio per i diritti umani dell’ONU, per continuare a far parlare con una voce la comunitá internazionale con il governo e con il popolo della Libia.
 
E alla fine Obama ha insistito nel voler sottolineare che gli eventi nel Nord Africa, quindi compresi anche Egitto e Tunisia, "sono stati determinati dai popoli della regione". "Questo cambiamento non é il risultato del lavoro degli Stati Uniti o di qualunque altra potenza straniera" ha detto Obama. Ma "é il risultato delle aspirazioni di gente che cerca una vita migliore". "Come ha detto un cittadino libico", ha detto Obama, "‘noi vogliamo soltanto essere in grado di vivere come esseri umani’". E poi Obama ha ripetuto la frase, con enfasi: "Soltanto vivere come essere umani. E’ la piú basilare delle aspirazioni che sta guidando questo cambiamento. E durante questa transizione, gli Stati Uniti continueranno a difendere la libertá, la giustizia, e la dignitá di tutti i popoli".
 
Il fatto di non aver mai pronunciato direttamente il nome di Gheddafi,  é stato interpretato come una mossa prudente di Obama nei confronti dei cittadini americani bloccati ancora a Tripoli – infatti una nave in partenza carica di americani non era riuscita ancora a salpare per Malta a causa delle cattive condizione del tempo-.
 
Quindi un tentativo di inchiodare il governo libico alle sue responsabilitá di dover proteggere la propria popolazione altrimenti ne dovrá rispondere e quindi… a venire in soccorso di quel popolo assaltato dal suo governo, dovrá arrivare la comunitá internazionale?
 
Lo stesso segretario generale dell’ONU Ban Ki moon, ha esposto questa linea hai giornalisti mercoledí pomeriggio, quasi in contemporanea al discorso di Obama. Il segretario delle Nazioni Unite, che aveva accorciato un viaggio a Los Angeles per appunto dedicarsi a questi eventi nel Medio Oriente che ha definito "storici", ha subito detto che voleva sottolineare quello che i suoi consiglieri speciali sulla prevenzione del genocidio e sulla responsabilitá di proteggere avevano  dichiarato il giorno prima.  E cioé che le notizie che arrivavano dalla Libia sugli attacchi ai civili rappresentavano delle gravissime violazioni dei diritti umani.  "Le condanno ad alta voce e senza riserve: coloro che ne sono responsabili dovranno essere giudicati in una corte di giustizia".
 
E ancora Ban Ki-moon ha ricordato come dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, il giorno prima era arrivato un messaggio chiarissimo: "Il mondo ha parlato con una voce sola: il Governo della Libia deve rispondere alla sua responsabilitá di proteggere il suo popolo".
 
Ban Ki-moon ha accolto quindi positivamente la decisione del Consiglio dei diritti umani dell’Onu di riunirsi d’urgenza venerdì (a Ginevra), prendendo in considerazione la possibilità di iniziare una inchiesta internazionale su queste violazioni in Libia. 
 
Insomma per Ban Ki Moon non ci possono essere dubbi: "Chi si sta macchiando di questo bagno di sangue di civili innocenti va subito fermato". 
 
Nuova enfasi quindi sulla responsabilitá di proteggere da parte dell’Onu e della comunitá internazionale, per costringere il governo libico a ritornare immediatamente alle sue responsabilitá in cui lo Stato deve salvaguardare la vita dei suoi cittadini, altrimenti dovrá provvedere la comunitá internazionale. 
Ma cosa sta veramente accadendo in questi giorni all’ONU? 
Edward Luck, il consigliere speciale di Ban Ki-moon proprio sulla "responsibility to protect"  ne ha parlato ai microfoni di Radio Radicale e ad America Oggi mercoledi: 
"Nel tradurre i principi della responsabilitá di proteggere in una efficace e coordinata azione internazionale, ci vuole sempre un po’ di tempo. Ma é certamente significativo come il Consiglio di Sicurezza nella sua  dichiarazione sulla Libia ha raggiunto un consenso nell’invocare la responsibility to protect. Non accade spesso ed é per questo significativo. Non sappiamo ancora se il Consiglio di Sicurezza considererá misure piú forti sotto il chapter 7 della carta, cioé sanzioni e altre azioni simili, ma sicuramente se la situazione peggiorasse cominceranno a guardare ad opzioni del genere. Ma dobbiamo riconoscere che questo tipo di azioni prendono tempo e intanto le vite rimangono in pericolo". 
Solo tre settimane fa Ban ki Moon in Inghilterra, aveva dedicato un discorso pronunciato all’universtá di Oxford alla difesa dei diritti umani e alla responsabilitá di proteggere, affermando che il "momentum" era favorevole. La Libia puó essere quel test che potrebbe verificarlo o smentirlo quel "momentum"? 
 
"Nel discorso di Oxford il segretario generale ha indicato i cambiamenti storici avvenuti" ci ha dicharato Edward Luck. "Ha notato che giá alla fondazione delle Nazioni Unite nel 1945, c’era una comprensione del fatto che la sovranitá aveva perso un certo suo significato, e che la sovranitá implicava la responsabilitá per il proprio popolo e per la sua sicurezza e il suo benessere. E quindi il segretario generale ha riconosciuto che quel momento politico ora era di nuovo favorevole, ma non voleva con questo certo dire che alla prossima crisi ci sarebbe stato subito un consenso nell’azione da intraprendere, ma che comunque uno stato é ritenuto responsabile e che il suo governo pagherá delle forti conseguenze se non riuscirá a provvedere a questa responsabilitá di proteggere il suo popolo, come sembra stia avvenendo in Libia. Certamente c’é una grande differenza tra oggi e quello che avveniva anni fa, penso alla Cambogia o al Rwanda" ha ricordato Luck, "dove qualcuno poteva far finta di non vedere e negare che si trattasse di un genocidio. Ora abbiamo giá il fatto che il Consiglio di sicurezza sia riuscito a mettere su quella dichiarazione dove si invoca la responsabilitá di proteggere il proprio popolo…" 
 
Giá, sono molte le note ottimiste sulla collaborazione raggiunta tra i paesi dell’Onu. Ma basterá a fermare in tempo il bagno di sangue promesso da Gheddafi?     

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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