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March 28, 2010
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Il NYT in aiuto della Chiesa

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 4 mins read

 In questa colonna scritta da New York non si crede affatto che nella Chiesa ci siano più  pedofili che altrove, anche la millenaria istituzione dei cattolici è fatta di uomini in carne ed ossa. Di uomini che in percentuali "statisticamente" accertate, nella loro massa di normale umanità senza gloria né infamia, nascondono piccole minoranze di umana genialità e bontà che avvolte sfiora la santità ma anche menti malate e, in certi casi, pericolose e criminali.  Tanti preti abbiamo conosciuto al lavoro, direttamente o indirettamente, da quei salesiani che nel farci tirare i primi calci al pallone, ribadivano i fondamentali del bene e del male, ai migliori esempi di lavoro missionario, come testimoniato su questo giornale dall’eroico e spesso aiutato da voi lettori, Padre Giovanni Salerno in Perù, così come dal sacerdote Aldo Trento, che svolge la sua missione in Paraguay e proprio questa domenica pubblichiamo la sua toccante testimonianza.

 

  Non ci crediamo quindi che nella Chiesa Cattolica si insidi la malattia della pedofilia più di altre istituzioni. Non siamo d’accordo, in questo caso, con Elisabetta De Dominis, la più intelligentemente libera e culturamente provocatoria columnist di questo giornale, che nella sua indispensabile rubrica un paio di settimane fa riteneva l’imposizione del celibato la ragione principale per questi terribili crimini commessi da certi preti contro l’innocenza. Sono le statistiche a dircelo. Nelle altre chiese cristiane dove il celibato non c’è, questi ignobili crimini sono avvenuti e purtroppo continuano a verificarsi. E per quanto riguarda le resistenze alle denunce o agli incredibili "cover up", basta digitare su google "pedofilia" accostata alla comunità ebrea assidica, ed è facile accorgersi come anche questa da anni lotti contro i crimini sessuali commessi contro i bambini e che, troppo spesso, invece di essere perseguiti, alcuni rabini scampano alla legge per mancanza di denunce e perseverano nei loro delitti.

  Detto questo, affermiamo: bravo The New York Times! Il Papa Benedetto, invece di farsi mal consigliare e scatenare i media del Vaticano contro l’autorevole quotidiano statunitense, dovrebbe riconoscere che un lavoro di giornalismo serio, autorevole e soprattutto credibile, può solo aiutare la Chiesa ad uscire da questa crisi. Come si dice, aiutati che Dio ti aiuta. In questo caso con Dio è venuto in aiuto della Chiesa anche il NYT.

  Non ci sono troppe affinità tra l’attuale classe politica italiana e le gerarchie della Chiesa di Benedetto XVI, ma su un aspetto oggi sono apparsi speculari: appena un giornale, persino importante come il New York Times, ha pubblicato una inchiesta che li imbarazza e li obbliga a dover dare delle spiegazioni all’opinione publica mondiale, la reazione è stata identica: complotto, vile persecuzione, attacchi con secondo fini, manovratori occulti etc etc

  Che invece il NYT possa  fare il suo dovere di giornale, che è  quello di cercare, verificare e alla fine pubblicare notizie che siano soprattutto scomode per i poteri forti della terra per restare un giornale credibile ai suoi lettori, condizione indispensabile alla sua sopravvivenza, non li sfiora neppure. Non siamo in Italia, dove tranne sempre più rare eccezioni, i media non sono altro che armi ben oleate al servizio di potentati, ben finanziati solo per portare acqua a mulini nascosti. Se l’ex cardinale Ratzinger non ha gravi colpe da nascondere, stia tranquillo e calmi subito, lui che è il Papa, chi dovrebbe servire l’interesse della Chiesa. Certe  inchieste giornalistiche, se fatte seriamente, possono solo aiutare a far cambiare una mentalità distorta ancora presente nella Chiesa. Il Papa stesso lo ha scritto nella recente lettera indirizzata al clero irlandese e in realtà rivolta a tutta la comunità ecclesiastica: non c’è più "buon nome" della Chiesa che tenga, senza tentennamenti bisogna prima proteggere i fanciulli da quegli orchi nascosti sotto una tunica nera e aiutare le vittime che hanno già subito i loro crimini.

  La stampa libera in democrazia serve proprio a questo, a correggere gli uomini dei poteri forti che, per mancanze umane ancor prima che voglie criminali, sono fallibili, inclusi quindi chi regge la Chiesa.

  Concludiamo con una considerazione: oggi in Italia si vota per le regionali ma veri dibattiti politici pre elettorali si sono potuti vedere solo su internet. In qualunque paese occidentale, e senza bisogno di andare in America, sarebbe semplicemente impensabile, ma sembra che il "bavaglio" alla televisione appaia quasi inevitabile alla maggioranza degli italiani. Nonostante, come ha anche ricordato Michele Santoro nell’aprire il suo Annozero in edizione web, l’articolo 21 della Costituzione. Forse ormai nelle convinzioni del cittadino medio italiano, l’informazione con lo scopo di informare non esisterebbe più, ormai ci sarebbe solo una trincea cui schierare la propria disinformazione per contrastare quella degli altri. Quindi spegnerle tutte, significherebbe addirittura far del bene alle elezioni, meno "avvelenate" dallo squadrismo dei media aizzatori di polemiche strumentali etc. In parte, e lo sciviamo da anni, è proprio così. Peggio della disinformazione militante però, c’è solo la censura, che fa sparire ogni garanzia di democrazia. A questo punto, come ci capita spesso di chiedere, a Giorgio Napolitano, Presidente dell’amata Repubblica di tutti gli italiani, compresi quelli residenti all’estero, chiediamo: lui che ne pensa?

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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