Con 35 anni di presenza, il prosciutto di Parma di Fratelli Galloni è un pilastro del Summer Fancy Food, un punto di riferimento, anche per le istituzioni – il presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini è passato allo stand. “Noi siamo stati il primo marchio certificato sanitario che ha portato questo prodotto negli Stati Uniti: lo 007 perché i nostri sanitari si sono sbagliati – racconta Carlo Galloni, Presidente del salumificio della sua famiglia. – Essere qui, dopo tutti questi anni, è la conferma di quanto forte è il senso dell’italianità. Non credo ci sia un altro Paese al mondo al di fuori di questo che ha così tanta passione, amore, legame con l’Italia. È cambiata una generazione, ma la convivialità, l’amicizia, la fedeltà associate all’idea del nostro essere sono rimaste integre, invariate”.
E quindi cosa è cambiato nel Fancy Food?
“L’italianità è fatta di tante piccole differenze che creano il nostro carattere distintivo. Ci sono alcuni prodotti, come il Parmigiano Reggiano o il prosciutto di Parma, che diventano trainanti per altri. Allora si vede come il Padiglione Italiano che aveva quattro corridoi oggi ne ha trenta. Penso sia un cambiamento importante perché vuol dire che il settore agroalimentare italiano ha trovato in 35 anni uno spazio infinitamente più grande”.
E i vostri clienti sono cambiati?
“Il nostro rimane un mercato etnico e vendiamo soprattutto agli italoamericani. Rispetto al passato, noto una forte concentrazione di piccoli distributori. Da una parte, ha provocato una perdita di quel senso esclusivo di essere italiani e diversi dagli altri. Ma dall’altra, ha portato ad aprirci a mercati diversi dove, per esempio, anche gli ispanici, gli anglosassoni mangiano il prosciutto e quindi lo troviamo in tutto il mondo della ristorazione. Ed è positivo”.
Che misure mettete in atto per promuovere il vostro prodotto nel mercato statunitense?
“Non è facile perché non facciamo marketing diretto. E c’è un problema dimensionale: pur essendo il terzo produttore di prosciutto di Parma, non abbiamo un numero tale che ci consente di investire sulla stampa, sulla televisione. Quindi, è piuttosto complicato fare comunicazione se non affidandosi al consorzio del prosciutto, che fa da collante e a cui bisogna riconoscere il merito che riesce a dare impulso alla nostra attività”.

Che volume ha il mercato americano per l’azienda?
“Continuiamo a vendere il 55%-60% in Italia e il 45% all’estero. Considerando che Cina, Corea, Giappone e Russia sono chiusi per motivi diversi e noti, il mercato americano è il più importante. Partecipiamo tanto qui negli Stati Uniti quanto nelle fiere italiane, oltre ad alcune manifestazioni in Nord Europa, Paesi baltici. Ed è impressionante come queste iniziative che sono internazionali in realtà assumono un carattere locale. Per esempio, a questa edizione del Fancy Food a New York incontriamo prevalentemente persone della costa Est. Invece, quella invernale di Las Vegas appartiene all’Ovest. È quindi più impegnativo perché dobbiamo muoverci di più, ma nello stesso tempo è molto più efficace perché entriamo in contatto con il piccolo distributore, con il singolo ristorante o deli e si crea un legame particolare”.
Avete mai pensato quindi di ampliare la vostra produzione ad altri articoli, oltre al prosciutto di Parma?
“Diverse volte, ma ci interessa di più fare un lavoro di qualità anche formando e trasmettendo certi valori al personale. I nostri dipendenti sono fortemente motivati perché riconoscono l’attenzione che viene riservata a loro. Abbiamo un gruppo estremamente coeso che presenta grande professionalità – sono formati, hanno una conoscenza delle procedure e delle tecniche di lavorazione – e che non ci lascia mai. È un grande vantaggio sia in termini competitivi, perché più produttivi e qualitativi, sia dal punto di vista della soddisfazione, del benessere di vivere. Mi viene in mente una canzone di Antonello Venditti che dice: E quando pensi che sia finita, è proprio allora che comincia la fatica. Che fantastica storia è la vita. Ed è proprio questa la filosofia con cui trattiamo i nostri collaboratori, colleghi, dipendenti o con cui affrontiamo le difficoltà. Ci teniamo a trasmettere una vicinanza umana importante e penso sia il punto di forza che ci contraddistingue”.
Che cosa significa partecipare a fiere di questo tipo: concludere gli affari o instaurare rapporti da coltivare?
“Entrambe le cose. Partecipando da 35 anni, confermiamo di esserci e di riuscire a mantenere delle relazioni solide, come succede con i nostri distributori che sono sempre rimasti gli stessi. La presenza continua e l’attenzione per il cliente per la qualità e la disponibilità ci fanno guadagnare”.
Quali sono gli ostacoli che dovete affrontare? L’Italian Sounding può essere fra questi?
“In controtendenza totale, penso che il fenomeno dell’Italian Sounding ci aiuti perché parlare di italianità avvicina le persone alle nostre produzioni. Quando poi mandiamo i prodotti italiani veri, si rendono conto delle differenze, imparano a riconoscerle. Per me è un richiamo a cui noi dobbiamo offrire una contropartita che sia identitaria e distintiva”.
Che cosa significa nel 2024 condurre un’azienda famigliare?
“Il fascino dell’azienda familiare è intrinseco all’italianità. La vera difficoltà è riconoscere una leadership: è più facile stabilire chi ha attitudine per problemi più ordinari, ma perché una produzione funzioni c’è bisogno di un capo. È evidente che quando le famiglie si allargano gli interessi possano divergere e quindi è fondamentale avere chiari quegli aspetti della governance che sono indispensabili e dove le competenze sono ben bilanciate per essere competitivi”.