Il tragitto più diretto dalla Grande Mela alla Florida attraversa la costa orientale lungo 1.300 miglia, 2000 chilometri circa, percorribili in diciotto ore. L’Interstate 95, che dà l’illusione di un’interminabile lingua di terra che si staglia attraverso ettari sconfinati di foreste verdissime, attraversa quindici Stati, ed è l’autostrada più lunga da nord a sud. La rotta che ci riguarda, ne oltrepassa otto senza considerare il lembo di terra del District of Columbia, sede della Capitale. Si dispiega in particolare attraverso le terre che furono delle tredici colonie originarie. Un itinerario sulla scia della storia americana dunque che prevede soste nelle città di Baltimora nel Maryland, Washington DC, Charleston nella Carolina del Sud e Savannah in Georgia, prima di imbattersi nella vista dell’oceano ad Atlantic Beach in Florida, a cinque ore dalla meta finale.
La decisione di lasciare New York alla volta di Miami è scaturita da una sorta di riflessione, quasi indolenza, occorsa durante il lungo periodo di quarantena dovuta alla pandemia da Covid-19. Decisione neanche troppo originale stando ad una ricerca del New York Times, che vede tra il primo marzo e il corrispettivo di maggio più di 400mila persone in fuga dalla città, la maggior parte verso la Florida, con una buona fetta diretta negli Stati più a nord come il Maine, isolati e meno popolosi.

A mezzogiorno in punto di venerdì 15 maggio, con Brendan, ottimo compagno di viaggi e una macchina con targa della Florida, che ci ha risparmiato tempo prezioso al checkpoint al confine, siamo partiti. Con sole e temperature estivi, lo scenario dei grattacieli di New York scompare all’imbocco del New Jersey Turnpike già I95, dove il ponte di Verrazano e la Statua della Libertà sono visibili all’altezza dell’ultima curva prima del rettilineo diretto a sud. La notizia che negli Stati Uniti è stata completata la prima fase della sperimentazione per il vaccino anti Coronavirus con risultati promettenti, non è ancora di dominio pubblico. Così come il calo astronomico dei decessi, meno di 90 contro gli 800 delle prime settimane, non è fin qui l’annuncio tanto atteso.
Nascita della bandiera: il cuore dell’America
Abbiamo raggiunto Baltimora dopo un breve e non ravvicinato saluto a parenti e amici della zona, a poche ore dalla sospensione delle restrizioni per le attività non essenziali. Curiosità: il motto dello Stato del Maryland, impresso sul retro del sigillo statale, è una frase in italiano arcaico: fatti maschii, parole femine. Il detto fu un desiderio della famiglia inglese Calvert, proprietaria della colonia che ai primi del 1600 divenne Maryland. Baltimora invece, fondata quasi un secolo dopo, in tempi moderni è stato il più importante porto industriale del Paese, e oggi, invece, siti culturali rilevanti si alternano ad attività di chef emergenti e locali tradizionali, forte attrazione per visitatori e locals. Qui il poeta e avvocato Francis Scott Key compose i versi di The Star Spangled Banner, testo che nel 1931 fu scelto quale inno nazionale degli Stati Uniti d’America. Key fu ispirato dalla bandiera a stelle e strisce di Mary Young Pickerson. Il vessillo, issato in occasione della battaglia di Fort McHenry tra inglesi e americani, parte del conflitto del 1812 sulla scia delle guerre napoleoniche, fu realizzato nel 1813 in casa di Mary, oggi museo. Al 844 E. Pratt Street, con il nome di Star-Spangled Banner Flag House l’edificio è perfettamente conservato, come il giardino, dove fioriscono tuttora le sue rose rosse. Il posto si riconosce per la facciata in vetro di una ala più recente che proietta la bandiera così come fu realizzata. L’originale invece è conservata al National Museum of American History di Washington DC.
Il deficiente narcisista
Avendo letto di recente la biografia di Henry L. Mencken, scrittore e giornalista del The Baltimore Sun, la curiosità di vedere di persona la sua casa museo ci ha spinti ad attraversare la città. Uomo di fine umorismo, Mencken è annoverato tra i personaggi più influenti della cultura americana degli inizi del Novecento. Una sua frase di un articolo del 1920 divenne famosa, ed è purtroppo ancora popolare, in occasione della seconda presidenza di George W. Bush nel 2004: “la casa bianca sarà impreziosita da uno sciocco e completo deficiente narcisista”.

L’edificio a mattoncini, al 1524 Hollins Street, con infissi bianchi originali, è situato nella zona di Sowebo a sud est di Baltimora, parte di West Baltimore, da diversi anni conosciuta alla cronache perché particolarmente pericolosa e ad alta densità di crimini. Non tutti sanno invece che rappresenta il luogo di tappe importanti per la conquista dei diritti civili, in particolare delle rivolte degli anni Sessanta ed è quindi cuore della musica e della cultura afroamericana in generale. West Baltimore è un quartiere ricco di abitazioni architettonicamente superlative, e per la maggior parte perfettamente conservate. Vigorosissime rampicanti di campanelle viola-blu, e giardini di fiori crocus della famiglia dello zafferano, impreziosiscono file di casette a schiera in stile Vittoriano, affiancate da edifici con i tratti del classico del Novecento, e palazzetti a mattoncini rossi. Inoltre con lunghissimi viali di querce secolari e aceri della Norvegia, questa zona vale davvero una visita a parte. Lo stesso quartiere ne custodisce un’altra di casa museo insigne, quella di Edgar Allan Poe. Il poeta e scrittore del mistero e del macabro, precursore del poliziesco moderno, seppure nato a Boston, Massachusetts morì qui dopo averci trascorso tutta la vita. Ad una manciata di isolati per una visita dal fascino certo, merita anche il Baltimore and Ohio Railroad Museum, che custodisce le più importanti collezioni di locomotive e vagoni risalenti alla nascita della ferrovia negli Stati Uniti. La costruzione della linea Baltimora-Ohio infatti fu cruciale per l’allacciamento dell’est all’ovest del Paese.
A passo di granchio
Invece, per le soste a tavola, i granchi, quelli dal caratteristico colore blu in particolare, insieme alle ostriche della Baia di Chesapeake sono consigliati quale gastronomia tipica del posto. A mo’ di tortino, oppure al vapore ma anche fritti, i crabs sono curiosità culinarie impareggiabili da queste parti. Quelli jumbo, polposissimi, di Faidley’s sono una garanzia per i palati più esigenti. Il ristorante-pescheria è situato all’interno del famoso mercato coperto di Lexington Market, al 200 di North Paca, luogo che ha aperto i battenti nel 1790, custode dello spirito autentico di Baltimora.
Il castello del mago di Oz

Lasciata Baltimora, in prossimità della Capitale ci ha accolti un panorama inaspettato: un mostodontico tempio mormone con sei guglie dorate, esili e svettanti in aria, perfettamente visibile dall’I95. Con una certa complessità architettonica, interamente ricoperto di marmo bianco dell’Alabama, il tempio funge unicamente da monumento. Pare siano passati quarantasei anni dall’ultimo accesso al pubblico. La gente del posto ha ribattezzato il tempio Emerald City, città smeraldo, perché ricorda il castello de Il Mago di Oz, il celebre romanzo delle avventure di Dorothy. Un tramonto timido, velato alle sue spalle è stato giustappunto un omaggio da fiaba. Una manciata di chilometri e il confine ci conduce in Virginia.
La madre dei presidenti
La tappa successiva, la città di Charleston in South Carolina, dista da Washington DC circa nove ore, oltrepassando due stati, la Virginia e il Nord Carolina. Decidiamo di trascorrere la notte appena dopo il confine del secondo. A parte una breve sosta in un’area di servizio affollatissima, i chilometri attraverso la Virginia li percorriamo al buio. Anche questo Stato occupa un ruolo di primo piano nel quadro della storia degli Stati Uniti. Innanzitutto nel 1607 qui fu stanziata la prima delle tredici colonie inglesi, Jamestown, oggi Williamsburg. Soprannominata anche la madre dei presidenti, la Virginia ha dato i natali a ben quattro di loro, tra questi George Washington e Thomas Jefferson. Passiamo il confine dopo la mezzanotte, e la prima uscita dall’I95 si snoda in un complesso su cui si affacciano un numero notevole di posti per dormire, contiamo cinque hotel e diversi ristoranti. L’Holiday Inn dove siamo diretti è semideserto, un gruppo di quattro persone nel parcheggio vuoto antistante invece chiacchiera e ride ad alta voce. Al mattino, la finestra che si affaccia sulla I95 regala un colpo d’occhio assai suggestivo. La vista si distende su ettari di alberi, una foresta che scopriamo essere composta esclusivamente di querce. Immagino per un attimo panorami autunnali già conosciuti, prima che cadano tutte le foglie, quando la natura si sbizzarrisce donando alla macchia sfumature gialle fluorescenti, arancioni e rosse decise. Un bellissimo scatto americano.
Il comfort food
Le due ore e poco più di percorrenza da uno Stato all’altro scorrono velocemente, tra i festeggiamenti via Zoom per le sessanta decadi dell’amico Marcello, e uno stop veloce per uno spuntino. L’I95, per la maggior parte, passa attraverso foreste di pini, distese di terreni agricoli e corsi d’acqua paludosi della pianura costiera, i cosiddetti swamp, tipici di queste terre. Le radici degli alberi altissimi e smilzi, ai lati della strada infatti vivono sommersi in acque torride. Mischiati alla vegetazione, tabelle enormi indicano catene di fastfood per lo più sconosciute. La cucina tipica, non solo della zona in questione ma del sud in generale, è quella che gli americani chiamano comunemente comfort food, cibo consolatorio. Può essere confortante un donut, la ciambellina con il buco, un classico macaroni and cheese, pasta di formato piccolo con formaggio fuso gratinato, oppure un pollo fritto con doppia panatura unto il giusto, ad esempio. Senza trascurare l’assai tipico hamburger e la carne al barbecue. Il tradizionale pane con il mais e le ricchissime pie, crostate per tutti i gusti, dalla mela, alla ciliegia al lime, fanno il resto. Dunque appare comprensibile che i cartelloni che si profilano con insistenza siano quelli delle ciambelle di Krispy Kreme originario proprio di queste parti, il Kristal, considerato il MacDonald della zona, e The Cook Out e Pdq, gli specialisti del manzo al barbecue. Per gli amanti del pollo fritto invece campeggiano Chick-fil-A e Bojangles.

Il vincitore del nostro pit stop è l’ultimo, in verità suggerito dal festeggiato via Zoom, che del marchio è un entusiasta. Il pane al mais, che ho mangiato io, era particolarmente saporito, stando a chi ha gustato il pollo con doppia panatura invece il gradimento è stato alto. Ci fidiamo!

La linea di demarcazione tra la Carolina del Nord e quella del Sud è segnata in modo netto dal South of the Border. Una sorta di parco divertimenti appoggiato su due file di un centinaio di metri delimitati da una strada stretta. Impossibile mancarlo, una torre visibile alcuni chilometri prima dell’arrivo, su cui primeggia un enorme sombrero, ne annuncia la presenza fiero su chioschi di dolciumi e mini giostre. Le luci, seppur spente a causa dei tempi, appaiono vive nei propri colori chiassosi e il luna park dà l’impressione di essere super popolare da queste parti.
L’abbraccio tra Cooper e Ashley
L’Interstate 95 in South Carolina in direzione di Charlston ha colori e paesaggi simili a quella del Nord, si distingue invece per la vista su rivendite di fuochi d’artificio. Meno restrizioni per uso e consumo, si dice che incoraggino l’industria. Pare che i festeggiamenti per il giorno dell’Indipendenza infatti siano massive da queste parti, tanto che si verificano spesso incidenti gravi. Affacciati sulla I95 dunque, diversi capannoni per la rivendita di bengala, mortaretti e botti vari, reclamizzano saldi e occasioni pre weekend, e pro tutto, e per un attimo la giant pizza, una girandola esplosiva somigliante ad una margherita, ci lascia perplessi.

Charleston si dice sia una delle città storiche d’America meglio preservate. Con poco più di 130 mila abitanti si trova lì dove i fiumi Cooper e Ashley si incrociano per confluire nell’Oceano Atlantico. Inoltre ha un forte legame con l’Italia visto che da oltre quarant’anni ospita il Festival dei Due Mondi di Spoleto Usa, ed è quindi gemellata con la cittadina umbra.

Non appena mettiamo piede, all’altezza del cosiddetto French Quarter rimaniamo affascinati. Attraversiamo lunghi viali alberati che si intersecano ad una rete fitta di stradine somiglianti tra loro, molte ancora ricoperte dai cobblestone, ciottoli originari in ottimo stato, fino in riva all’oceano Atlantico, dove veniamo travolti da un colpo d’occhio intenso. Effettivamente, la terra in quella zona si trova sotto il livello dell’acqua.
Peninsula, il centro
L’area della cosiddetta Peninsula, quella del centro affacciata al di sotto dell’acqua appunto, è un museo di architettura a cielo aperto che si estende per circa sei chilometri. Una vera gemma, con ville e palazzetti in stile di metà Settecento, dai caratteristici portici, misti al Georgian design che ama la simmetria dei più classici archi con colonne e scalinate sontuose, è un piacere per gli occhi. Sembra che il valore di alcune abitazioni sfiori i dieci milioni di dollari.

I giardini colmi di siepi e cespugli di faggio poi, misti a pallide azalee e camelie bianche perfettamente curate, danno l’impressione di un enorme parco signorile. In effetti il verde diffuso, la vegetazione folta, avvolge costantemente chi percorre Charleston. Alle camelie, albero popolarissimo al sud, si affianca la tipica Sabal, la palma simbolo della bandiera del South Carolina. Con un tronco capace di superare i venti metri, la caratteristica di questo albero è la sua corteccia che si intreccia in modo spontaneo. La zona della Peninsula è delineata da una lunga battigia, che segue la linea dell’oceano Atlantico per diversi chilometri. Molti locali, soprattutto ristoranti tipici di pesce, affollano il bagnasciuga in legno con vista mozzafiato sull’acqua.
Rainbow Row, un arcobaleno

Rainbow Row altro non è che un insieme di tredici edifici posti in fila su East Bay Street, dai colori sgargianti, molto pittoresco. Costruiti tra il 1740 e il 1845, furono in buona parte distrutti nel corso della Guerra Civile. Intorno agli anni Trenta del Novecento poi, un architetto restauratore, decise di ripristinare le tre di cui era proprietario dipingendole di rosa chiaro. A questo seguirono i vicini, che utilizzarono per le facciate colori complementari. Da lì il richiamo all’arcobaleno. Le bella apparenza e i tavoli all’aperto dei ristoranti che incontriamo sulla strada della Rainbow Row danno l’impressione di appartenere a cucine raffinate, e che la scena culinaria della città sia vivace. Uno dei menu affissi che ci apprestiamo a leggere, quello di Revival al 162 sulla stessa East Bay Street ad esempio, con la promessa di una modern southern cuisine, elenca succulente preparazioni di pesce, riso e piselli rossi locali con influenze di tradizioni europee, molto allettanti.

Usciamo dalla città nel pomeriggio, attraverso il campus del College of Charleston. Ben tenuto, il complesso ha alberi secolari che si intrecciano su vicoli stretti all’ombra, di gran suggestione. Edifici bassi in pietra grigia con le balconate in ferro nascosti dal fogliame, danno l’impressione di essere stati catapultati su un set della saga di Harry Potter.
Savannah

In meno di due ore raggiungiamo Savannah, all’ora del tramonto, il momento migliore perché sembra che da queste parti il Savannah sunset sia una della cose più belle da vedere. Non ci ha delusi in effetti. La prima cosa che notiamo però, sono, oltre all’assenza totale di mascherine, gente che sorseggia liberamente birra da bicchieri in plastica. Alla reception dell’hotel Bohemian, un misto di stile industrial e gothic, confermano che in Georgia il consumo di alcolici per strada è permesso, e il divieto entra in vigore solo alla domenica a partire da mezzogiorno. Paese che vai…
River Street

Una passeggiata su questa lunga strada, lungo il fiume Savannah prima di cena, ci dà il benvenuto nel cosiddetto southern flair. Le note di strumenti jazz che risuonano su una lunga fila di ristoranti, gallerie e locali di generi vari offrono una visione lenta e rilassata del posto. Il lungofiume di Savannah è al centro della sua storia sin dalla fondazione, nel 1733. Una volta fungeva da porto importante per il riso infatti, poi, con l’introduzione della schiavitù, anche del cotone, che ancora oggi, insieme alla coltivazione di pesche e noci rappresenta una grande fonte di ricchezza.

Il Savannah Historic District è di Forrest Gump
Il quartiere storico, cuore di Savannah, è famoso per le sue strade lastricate, i bellissimi giardini, che da queste parti chiamano piazze, ben 22, e la magnifica architettura. Ci sono molte cose da fare dentro e intorno alla zona, dalla visita alle case storiche oggi musei, alla miriade di chiese. Affiancate alle suggestioni di un tempo, è possibile ammirare molte gallerie d’arte contemporanea volute da una comunità di artisti molto attiva, grazie anche al rinomato Savannah College of Art and Design.

La planimetria del centro storico è quadrata e perfettamente piana. Questo fa sì che sia facilmente percorribile. Per vedere quanto più possibile in breve tempo abbiamo deciso di salire su uno dei bus turistici d’epoca, che consigliamo vivamente. Non prima di aver visitato la piazza intitolata a James Oglethorpe, soldato inglese a cui si deve la nascita della Georgia. Il giardino, al centro del quale si trova il suo monumento, è lo stesso dove fu girata la scena alla fermata dell’autobus nel film Forrest Gump. Nessuna ombra della panchina su cui sedette Tom Hanks, però quelle che occupano l’intero perimetro dello spiazzo sono molto suggestive. Interamente costruite in cemento, le file di sedute hanno una forma arrotondata, sinuosa, con un aspetto classico.

La bellezza dell’insieme è accentuato dagli alberi di Spanish Moss, muschio spagnolo, noto come nonni barba, di cui è piena la città. Alberi secolari di colore verde scuro dai cui rami pendono i muschi appunto, che sembrano dei lunghi baffi, degli epifiti. A differenza delle piante parassite, questi ultimi si procurano il cibo senza sfruttare la pianta che li ospita. Il giardino una volta di Forrest, ha diversi punti importanti lungo il perimetro, il più antico teatro della città di cui porta il nome su uno dei lati, il municipio alle spalle di Oglethorpe, di fronte una strada fitta di gallerie e locali. Sul fianco destro in un ristorante di carne al barbecue, Savannah Smokehouse BBQ, al 16 di West State Street, abbiamo ordinato una porzione di pulled pork, carne di maiale sfilacciata, brisket southern style, noce di vitello alla brace, e costine. Il contorno, il pane al mais, ha consolato me.
Hello Sunshine!
Partiti da Savannah alle due del pomeriggio, abbiamo attraversato il confine con la Florida, il The Sunshine State, quello del sole appunto, in poco più di due ore. L’I95, all’altezza di Atlantic Beach ci ha rinfrancato degli oltre duemila chilometri percorsi con una vista mozzafiato e a tutto tondo, quella dell’oceano. Alle ventuno in punto, con un cielo bronzeo e brezza calda e umida ci ha accolti Miami, stanchi e appagati. Sappiamo che anche qui perdura il lockdown come a New York City, le spiagge della contea in cui ci troviamo, Miami Dade, e i servizi cosiddetti non essenziali, non saranno accessibili prima di mercoledi 27 maggio, e le prime solo il primo giorno di giugno. Cosa diversa è il resto della Florida, nel senso che rive e ristoranti di altre regioni sono attivi già da oltre una settimana. La terra più a sud degli Stati Uniti, se si escludono le isole Hawaii, la Florida, lunga penisola tra l’Oceano Atlantico e il Golfo del Messico, rappresenta per gli americani il luogo di vacanza al mare per eccellenza. Grazie al suo clima, da subtropicale a tropicale, una media di 230 giorni di sole annuali, uniti ad una rilevante densità di spiagge accessibili, l’appellativo di sunshine lo vince senza rivali. Non fa parte delle tredici colonie originarie, in quanto il primo insediamento avvenne per mano degli Spagnoli. Infatti Ponce de Leon, alla ricerca della sfuggente fontana della giovinezza, fu il primo europeo ad esplorare la Florida. Molto significativa invece è la storia legata ai nativi di queste terre. Infatti attualmente ospita, a casa loro, sei riserve indiane, rappresentanti di ben 39 diverse tribù provenienti da tutto il Nord America. Il Florida Native American Heritage Trail, un lungo itinerario archeologico della storia degli indiani Seminole e Miccosukee di questa terra, oggi si mischia ai bikini e alle creme solari degli ultimi esploratori.