Il fine di The Raftmakers è documentare la relazione uomo-fiume e la situazione ambientale di alcuni dei corsi d’acqua tra i più importanti e “rappresentativi” del mondo in cui viviamo.
La discesa dei fiumi avviene esclusivamente su zattere costruite con mezzi di fortuna, per una scelta di approccio all’avventura old-style.
Dopo una prima puntata in Laos sul Mekong, sono andato a Cuba con l’amico Simone Sciutteri.
L’isola ha avviato una rapida trasformazione sul piano geopolitico, ma a livello ambientale è ancora quasi immacolata. È quindi un esempio opposto al disastroso Mekong e una meta interessante per i raftmakers.
Il nostro obiettivo primario inizialmente era quello di cercare le sorgenti del fiume Toa, il “rio” più grande di Cuba che nasce sui monti a nord di Guantanamo. Navigando su una zattera di bambù avremmo voluto poi discenderlo, attraversando l’entroterra del Paese fino al caldo mare dei Caraibi.
A caccia di mappe
Un’esperienza del genere sarà probabilmente irripetibile fra cinque anni e non potevamo perdere tempo. Come in ogni avventura che si rispetti però, gli imprevisti non avrebbero tardato ad arrivare. Simone era già stato sul Toa durante uno dei suoi viaggi a Baracoa (cittadina vicina alla foce del fiume) ed era ottimista sulla possibilità di reperire mappe e autorizzazioni, sfruttando i suoi contatti in loco. Per contro io, durante le ricerche online pre-partenza, non avevo trovato nulla di utile e speravo che il problema fosse solo la scarsa quantità di informazioni pubbliche, filtrate forse dal governo castrista.
Ci siamo quindi ritrovati a Baracoa a cercare mappe del percorso per giorni e giorni e abbiamo appreso uno dei motivi principali che ha permesso la conservazione dell’ambiente fluviale a Cuba: i fiumi sono considerati obiettivi militari e sono presidiati dall’esercito. Questo però, in un primo momento, non ci sembrava un dato certo, perché la gente ci dava spesso opinioni piuttosto in contrasto tra loro. C’erano quelli che “ma si andate tranquilli, sarà bellissimo, vedrete una natura meravigliosa!”, e quelli che “conosciamo un polacco che una volta ha imboccato a piedi quella strada per arrivare a Guantanamo, ma lo hanno bloccato a un check point e rispedito indietro”.
Secondo altri addirittura, lungo il tratto orientale del Toa (50 chilometri circa) si trovano ben quattro basi nascoste. C’era un solo modo per sapere la verità: andare a vedere di persona. Non ci saremmo mica fermati per delle voce non verificate.

Off limits
Dopo una rapida trattativa con dei campesinos incontrati sul ponte più a valle del Toa, abbiamo trovato un passaggio a bordo di uno scomodissimo carretto, trainato dal poderoso cavallo Peligro (un nome, una garanzia) e guidato dal suo bizzarro padrone. Imboccata la mulatera che costeggia il grande corso d’acqua, abbiamo percorso alcuni chilometri circondati da un paesaggio a dir poco meraviglioso, quasi disabitato, dalla vegetazione rigogliosa.
Sembrava andare tutto bene. Ci vedevamo già al bar , al ritorno trionfale a Baracoa, a ridere di chi ci aveva messo in guardia, quando un poliziotto che stava lì seduto sul sentiero, ha bloccato il nostro carretto.
“Signori avete appena passato il confine della zona turistica. Dovete tornare indietro immediatamente o rischiate una multa salata e il ritiro del visto. Questa è zona militare”.
Addio bar e rientro trionfale! Certo, ci aspettavamo qualcosa di più di una guardia disarmata in mezzo alla giungla, a svegliarci dai nostri sogni di avventura…
Ci hanno spiegato poi che la carretera militar su cui viaggiavamo è considerata strategica perché unica via di collegamento tra Baracoa e Guantanamo, in caso di invasione nemica. Le giornate della Baia dei Porci non se le sono proprio dimenticate da queste parti.
Sarebbe stato quindi impensabile per due italiani ottenere un permesso dall’Immigrazione per attraversare quelle zone senza un “complice” cubano. Altrettanto impossibile, ovviamente, ottenere una mappa dettagliata, per aggirare l’ostacolo. Che fare quindi? Andare kamikaze in mezzo alla giungla con il rischio di imbattersi in una base, o cercare alla cieca sentieri alternativi, guidati dai campesinos e rischiando la galera?
Discese clandestine
Discutevamo di questo io e Simone, mentre guardavamo spaesati verso monte, seduti sul cemento del Ponte Neblina, mezzo crollato e ricoperto di noci di cocco marce, dove ci aveva rispedito il poliziotto.

Durante la nostra sosta forzata abbiamo comunque potuto conoscere un gruppo di pescatori di gamberi e alcuni campesinos (brava gente davvero) che ci hanno raccontato delle piene del Toa e di come sia usanza locale percorrerlo su zattere di bambù. La nostra voglia di discendere il fiume era sempre più grande e irresistibile. Ci immaginavamo già su una zattera, immersi in quel mondo di palme, banani e acque così limpide che si possono bere.
Rientrati con la coda tra le gambe a Baracoa, dopo una settimana di ricerche, abbiamo trovato una guida che ci avrebbe aiutato “semi-ufficialmente” nel nostro percorso di scoperta, sia sul Toa che sul misterioso e intricato Rio Yumurì (meta proposta dalla guida stessa). Dovevamo affidarci a lui, non avevamo molta scelta.
Tuttavia la costa sud-orientale è la zona più piovosa di Cuba e, in seguito a forti temporali e a un’improvvisa alluvione, siamo stati costretti a spostarci verso ovest, all’asciutto.

Abbiamo deciso allora di impiegare costruttivamente la nostra attesa e di affrontare un altro fiume: il Rio Jaibo, nella zona di Bayate a nord-ovest di Guantanamo. In seguito ai lavori di canalizzazione per costruire una diga (oggi ne rimangono poche rovine), l’Jaibo è ormai un rigagnolo d’acqua in cui pascolano i maiali, e termina in un bellissimo lago in una zona remota e poco abitata.
Ci siamo spostati allora a bordo di camiones più a occidente e abbiamo scelto la casa di amici di Simone, nella finca vicino Bayate, (circa 30 chilometri dal nostro obiettivo), come campo base.

Dopo un paio di giorni per organizzarci abbiamo trovato dei cavalli e abbiamo chiesto agli amici di Simone di farci da “scorta” (nel caso ci avesse fermato la polizia avremmo dovuto dimostrare di essere ospiti di qualcuno e non semplicemente a spasso per Cuba). Partiti di buon mattino, siamo arrivati sul fiume dopo circa cinque ore e mezza di viaggio. Il percorso è stato impegnativo, ma molto interessante paesaggisticamente. Tutta la zona è ricca d’acqua e i guadi di ruscelli e torrenti sono stati frequenti. Arrivati a destinazione, quando ci hanno detto “questo è il rio Jaibo” ci siamo rimasti male. Sembrava un canale d’irrigazione. Ma nonostante la delusione per la scarsa portata del “rio”, abbiamo deciso di esplorarlo ugualmente e scelto il mezzo locale di “navigazione”: una camera d’aria di camion. Salutati i nostri amici ci siamo fiondati sul fiume.
Immersione nella natura
Il nostro tube perdeva aria ed era insufficiente per due persone, ma era tutto quello che avevamo a disposizione. Galleggiando malamente, strisciando su spine e sassi e scivolando tra piccole rapide, abbiamo percorso qualche chilometro, completamente immersi in acqua. Dall’interno del canale, profondo un paio di metri, il mondo esterno era solo un lontano ricordo. Era come trovarsi dentro a un tunnel verde dalle sfumature grigiastre, in mezzo a rovi e sporadiche famiglie di maiali.

Sembravamo quasi due sabotatori della Seconda Guerra Mondiale che si apprestano a far saltare il ponte della ferrovia strisciando tra le frasche e nel fango. Per fortuna eravamo solo due raftmakers intenti nel loro primo, bizzarro tentativo di testare le proprie capacità di adattamento agli ambienti fluviali più disparati. La vecchia diga smantellata non si vedeva quasi più. La zona è lontanissima dalle industrie, la gente non ha ancora in casa prodotti inquinanti e non scarica i liquami in acqua. Nonostante il rio Jaibo e il lago fossero un po’ torbidi, farci il bagno è stato divertente. E ci siamo anche potuti soffermare a osservare i pescatori a bordo di camere d’aria adattate allo scopo e i bambini che si tuffavano dalle rive.
L’uomo e l’acqua
C’è ancora un bel rapporto tra l’uomo e i corsi d’acqua in questo Paese. La natura è rigogliosa e gli abitanti, che vivono dei frutti della terra, di allevamento e di pesca, sono molto rispettosi dell’ambiente. Osservando questo scenario ancora immacolato o quasi, però, sorge spontanea una domanda: la situazione rimarrà invariata quando anche qui, in queste zone meno popolate, arriveranno i prodotti del mondo globalizzato, confezionati in plastica, vetro e alluminio? Come faranno gli abitanti a smaltire gli stessi rifiuti che, in gran parte dell’Africa e dell’Asia, finiscono ammucchiati nei villaggi, per poi bruciare a cielo aperto?
Il governo cubano è molto attento alla tutela delle risorse naturali, ma il business è business e non di rado riesce a piegare alle sue logiche anche i grandi ideali. Al ritorno a Baracoa il caldo era soffocante, ma il Toa, con la sua portata d’acqua troppo elevata, era ancora impraticabile. Era dunque il momento giusto per cimentarci con il meraviglioso Rio Yumuri, che scorre dentro un profondo canyon, a tratti impenetrabile e spesso ripido. La nostra guida è stata chiara: “La zattera va smantellata almeno un chilometro prima della foce, altrimenti vi vedranno dal
ponte e saremo tutti nei guai”. Ma con che cosa avremmo potuto costruire la zattera adatta a discendere un fiume che scorre in uno stretto budello di roccia? Ve lo racconteremo la prossima volta.