Un’isola rimasta per così tanto tempo fuori dal mondo globalizzato non è soltanto un naturale tesoro del vintage, ma anche un ecosistema ormai unico al mondo, in cui l’ambente si è conservato come non è riuscito a fare altrove. Alla vigilia della visita di Obama che segna l’inizio di una nuova era per l’isola di Castro e del Che, Cuba si avvia verso una trasformazione che potrebbe avere effetti anche su quell’ecosistema. Prima che tutto cambi, siamo andati a scoprire quel mondo come è oggi con l’idea di vederlo dal punto di vista dei suoi fiumi. Ma come in tutte le grandi avventure, prima di entrare in azione, abbiamo voluto familiarizzare con i luoghi e la gente.
Le case di Baracoa
Io e Igor eravamo già stati a Baracoa (estrema punta est dell’isola) rispettivamente nel 2011 e nel 2008. Entrambi abbiamo notato dei cambiamenti significativi da allora. C’è di certo ancora un’attenzione al particolare nella cura della città e delle proprie case, che è un’idea di bello che spinge a fare le cose al meglio possibile con quello che si ha a disposizione. La stessa tendenza che spinge a colorare facciate di case ancora da finire e a dipingere ogni ringhiera di almeno due colori. Non c’è tanta precisione quindi, ma tanto colore. Come nei look tutti agghindati delle ragazze che escono la sera, e pazienza se spesso il risultato è troppo vistoso o pacchiano. Come nelle tendine dei bicitaxi, che vanno avanti e indietro per le città: Yo soy el n 1, Transporte internacional, colori del Barcellona con il numero dieci di Messi, facce di Barack Obama. Che i conducenti siano vecchietti, giovani arzilli o uomini di stazza enorme, non c’è nessuno che sfugga alla tentazione di decorare il suo piccolo risciò a pedali.
La pulizia è un’altra piccola grande ossessione da queste parti. Anche se resta spesso nascosta: bisogna guardare oltre i vestiti rattoppati, le strade polverose, i cestini inesistenti. È nel privato che i cubani sfoggiano una pulizia impeccabile. I marciapiedi e le canalette di scolo delle strade sono spesso invase dalle cascatelle d’acqua che cadono dagli scalini all’ingresso dei portici delle case, i cui pavimenti sono quotidianamente sfregati e poi sciacquati a secchiate. Sugli autobus, sui camiones o prima di entrare in un negozio, tanti si passano uno straccetto sulle scarpe che si sono impolverate.
Olvidate
Grandi facce di eroi del passato osservano ancora le città dall’alto dei manifesti di propaganda. Anche Fidel Castro appare nelle vecchie vesti di “Comandante en Jefe”, non certo in quelle attuali di governante in pensione. Il passato ritorna nelle conversazioni: se qualcuno si lamenta della scarsa razione di riso, qualcun altro gli risponde subito: “Sì, ma non ti ricordi com’era prima della Revoluciòn? E durante il Periodo Especiàl che si moriva di fame?”. La memoria è viva e presente, a volte forse opprimente, anche se una delle parole più usate dai cubani è “olvidate”: scordatelo. Ma da queste parti olvidate è un verbo che guarda soprattutto al futuro.
Non perché manchino le idee o si sia già accantonata la speranza. I giornali stranieri se ne sono accorti solo di recente, ma di cambiamenti – fine dell’embargo, apertura degli USA, ripresa dei commerci e rientro degli esuli – già si parla da anni nelle strade e nei bar de La Habana. “Olvidate”, perché in tanti dicono che tutto cambierà per rimanere uguale.
Ce lo dice una cameriera di un ristorante in cui si paga con Moneda Nacional – la valuta con cui vengono pagati i cubani dallo Stato, che vale molto meno del Pesos Cubano Convertibile, la moneta dei turisti. Ce lo dice il conducente di un carretto trainato dai cavalli: lui è un biologo, ma ha lasciato il centro di ricerca perché in tre giorni da carrettiere guadagna di più che in un mese da ricercatore. “Ma non dovevano cambiare il sistema monetario e adeguare le paghe?”, gli chiediamo. Risponde: “olvidate”.
Comunità e impresa
Come lui, in tanti abbandonano i lavori statali per dedicarsi a attività in proprio: da qualche anno è ufficialmente permesso: è stata una delle prime riforme attuate da Raul Castro, fratello di Comandante Fidel, a sua volta ex capo militare, che con la sua faccia da vecchietto pacifico sta cercando di guidare il Paese a volte con il pugno di ferro, attraverso una difficile transizione. Il problema di chi vuole lavorare in proprio sono i soldi per iniziare l’attività. Così ha iniziato a scavarsi un solco tra chi ha una casa grande in una città turistica e può affittare una stanza agli stranieri e chi invece vive in una casa di legno in mezzo alle colline. Tra chi ha un’automobile e chi no. Tra chi ha amici o parenti all’estero e chi invece va in giro per le piazze o per le discoteche a cercare qualche potenziale nuovo amico o amica che possa dargli una mano in futuro. Per ora gli spigoli sono smussati dall’arte di arrangiarsi in cui i cubani sono maestri – probabilmente sono i migliori “aggiustatori” del mondo – e dalla solidarietà, un sentimento molto forte e identitario, che li spinge a condividere quello che hanno e non solo quello che avanza. La parola comunità, infatti, ha ancora un forte valore.
A porte aperte
Dalla nostra stanza, nella “casa particular” di Baracoa, che abbiamo scelto come QG per la nostra spedizione, sentiamo tutto quello che succede in strada. Ma poco male: è un modo in più per sperimentare la vita locale, prima di lanciarci sui remoti fiumi della giungla.
La “calle”, d’altro canto, è parte integrante delle case qui a Cuba. Le porte sono aperte e i passanti possono curiosare guardando dentro. Ci sono donne anziane su sedie a dondolo che guardano la televisione, mamme che allattano, anziani che leggono il Granma – il giornale del Partito – e ragazzini che giocano al computer. Nelle case dei vicini si entra e si esce con più naturalezza di quella che si avrebbe entrando nella camera del proprio fratello.
Da Yenì si beve il caffè, Mayelin offre biscotti fatti in casa, Ever offre il suo ottimo succo di mango. In strada fa più fresco che in casa, quindi è meglio mettersi seduti sul marciapiede a conversare o piazzare lì fuori il tavolo per giocare a domino. L’atmosfera ricorda quella dei nostri paesini, specie quelli delle realtà insulari, nel dopoguerra.
Alle cinque e mezza del mattino arriva il ragazzo che porta il pane, in bicicletta, e annuncia il suo passaggio con un fischietto e urlando a squarciagola: Pan! Pan especial! Pan especial! Bastano le sue urla, per far svegliare cani e galli dei cortili che fanno il resto del trambusto. Alle sei tocca al ragazzo con il carretto pieno di verdure e la sua cantilena scioglilingua: Avichuela, avichuela, avichuela! Hay boniato, pepino, quimbombo! Il nostro giovanissimo vicino invece, ci regala ogni mattina dalle sette alle sette e mezza, in loop, quattro canzoni raggaeton sgangherate, sparate a tutto volume dalla televisione. Così la modernità si intrufola nei riti del mattino. Perché qualcosa, un po’ alla volta, sta cambiando. Tra i ragazzi soprattutto.
Il cambiamento
C’è voglia di novità e di occidentalizzarsi. Ci sono gli smartphone in mano agli adolescenti, le nuove auto giapponesi che presto supereranno in numero le vecchie Chevrolet e le Moskovich. Ci sono cubani coi soldi che girano per i locali con vestiti bianchi e catene e denti d’oro. Per loro – e non solo per i turisti stranieri – stanno aprendo ristoranti nuovi ogni mese, dappertutto.
La Havana, rispetto a qualche anno fa, è irriconoscibile, con il centro storico in buona parte restaurato e le navi da crociera che entrano nella baia. Anche se a La Havana Vieja i calcinacci continuano a cadere e i bicitaxi fanno lo slalom tra le buche nell’asfalto.
E poi c’è internet, in mano alla Empresa de Telecomunicaciones (ETECSA). Nelle città i parchi (spesso di fronte ai Centri Etecsa), sono sempre affollati da gente collegata al wifi. Videochiamate a parenti lontani, messaggi al fidanzato all’estero, social network, video, sport, notizie. Quando il credito finisce però, si torna a casa, in attesa di avere di nuovo cinque dollari in tasca per ricaricare la scheda.
I vecchi, circondati da ragazzini con gli auricolari che paiono parlare da soli, sembrano disorientati, ma poi riprendono le loro conversazioni animate, su politica e baseball.
Cuba è anche un’idea e uno stato mentale, non è solo un Paese. È spesso più immaginata che conosciuta. Il fatto è che a Cuba è tutto vero: sia una cosa che il suo contrario. Cuba sono sia i lussuosi locali di Varadero e i ristoranti di Trinidad, che le case senza acqua corrente dell’entroterra orientale. Oggi Cuba è una casa senz’acqua corrente, ma con un impianto stereo da 1000 watt. Sono i ragazzi che vanno a fare compere a cavallo e poi tornano a casa e giocano al computer. O quelli che vanno a ballare la salsa con i turisti alla Casa de la Trova, bar in centro a Baracoa, e poi il raggaeton in discoteca.
Cosa resta della Revoluciòn
C’è voglia di cambiamento insieme al voler mantenere le tradizioni, e la prova sta anche nei riti della Santeria, filmati con lo smartphone. Viene da chiedersi: cosa succederà adesso? Soprattutto, viene da chiedersi: che fine ha fatto la Revoluciòn? Il socialismo cubano è stato qualcosa di più della “scodella di riso per tutti”. Ed è stato anche di più del sogno di un uomo nuovo, l’uomo socialista, da realizzare attraverso la propaganda. In ogni cittadina, c’è l’ “Hogar Materno”, dove tutte le future mamme si ritrovano a conversare, a guardare insieme la televisione, a farsi visitare e accudire dalle infermiere. Nei villaggi più sperduti c’è la Sala Video e ci sono, ogni tanto, le serate organizzate dai Comitati Giovanili per far svagare i ragazzi delle campagne. Ci sono gli autobus e i camiones che portano da una parte all’altra del Paese per pochi spiccioli. Ci sono le sale pubbliche per i tornei di scacchi, i luoghi di ritrovo per gli anziani, quelli per i reduci di guerra, quelli per gli infortunati sul lavoro.
Continua…
La prossima volta vi racconteremo altri aspetti del regime castrista, che abbiamo dovuto imparare a conoscere prima di entrare in azione sui fiumi. I corsi d’acqua sono spesso zone militari offlimits da queste parti…e la nostra avventura non è stata affatto semplice. Dopo una lunga assenza torna Adventure Reporter a su La Voce di New York, con quattro storie in esclusiva dall’isola di Cuba.

Dopo il ritorno dallo Yukon e le disavventure sul Mekong ho iniziato un nuovo percorso avventuroso per esplorare diversi fiumi del mondo a bordo di zattere rudimentali. L’inquinamento della “Madre di tutte le acque” (il Mekong) in Laos e gli sconvolgimenti climatici che ho incontrato in Alaska mi hanno turbato e mi sono attivato per saperne di più, cercando di conoscere da vicino le popolazioni fluviali e la situazione ecologica attuale dei grandi corsi d’acqua, con un approccio “pionieristico” old-fashion-style.
Questa è in sintesi l’idea di The Raftmakers (segui la pagina Facebook), che diventerà presto un documentario diviso in puntate. La prima vera tappa per The Raftmakers, è stata a Cuba. Per questa esperienza ho chiesto a un amico di accompagnarmi: Simone Sciutteri , esperto viaggiatore e conoscitore di Cuba che in questo caso ha dato anche un supporto logistico notevole alla spedizione e che firma questa prima puntata. Insieme abbiamo disceso tre fiumi della Regione di Guantanamo, tra cui il grande Rio Toa, per la prima volta su zattere locali fatte di bambù. Nei prossimi numeri vi racconteremo com’è andata.