All’inizio lei era una sfinge: aveva viso di donna, ali d’uccello e corpo di leone. Volava, lottava, forse non amava. Per tutto questo era adorata e temuta. La strangolatrice, la chiamavano gli antichi greci, dal verbo “sfiggo”: strangolo. Poi la spaventosa sfinge scompare. Annullata? Divorata? Uccisa? Si trasforma in una ragazza indifesa, una Core. Tante sono le Core dalla lunga treccia al Nuovo Museo dell’Acropoli di Atene; la loro delicatezza mi ha commosso. Come mi commossi a quindici anni quando mi apparve la maestosità del Partenone per la prima volta. C’è nella grecità qualcosa di atavico, che ti sconvolge le viscere perché senti che qui è iniziata la tua storia nel mondo. E il racconto sono quelle pietre, quelle statue che sembrano animarsi.
Sfinge al museo di Delfi
E non serve guardare all’ingresso il simpatico video ideato dalla Samsung per avvertirlo. Core, che una volta officiava nel Partenone, ora sbatte le palpebre come una Barbie e si fa ammirare dai visitatori. Un melograno sboccia dalle mani di un giovane dio e un altro, nell’afferrarlo, perde la corona d’alloro. Una colomba vola via dalle mani della dea dell’amore Afrodite. Inizia la lotta tra centauri e dei. Volano nell’etere mille scudi, mille ruote, mille vasi. Poi tutti scappano dai vasi greci: le anatre in volo, i cervi inseguiti dalle tigri, i cavalli trascinano gli dei in cielo. Apollo riesce a cavalcare un delfino tra i flutti ed arrivare a Delfi. Da lì illuminerà il mondo. Cinque sono le Core rimaste e di spalle scuotono la testa dalla lunga treccia. Dicono: non è stato proprio così. Sì, non basta guardare le statue e pensare che ci parlino, bisogna anche conoscere il mito.
Ricominciamo la narrazione. La lotta, come l’amore, è sempre iniziata tra un uomo e una donna. È il dio Ade che offre il frutto succoso del melograno a Core per conquistarla. E lei diventa donna: non potrà mai più fare a meno di ritornare da lui. Ciclicamente, per l’eternità. Perché da questo amore scorreranno le stagioni e nasceranno i frutti per concedere la vita agli uomini. Afrodite, la dea dell’amore e della guerra, amerà, soffrirà, si ribellerà, ma tornerà sempre dal suo dio. Lui avrà molti nomi e molti nomi cambierà lei. Ma sarà sempre per amore.
Temi l’irremovibile, la creatrice delle stagioni, quando vedrà il sole sprigionare dagli occhi di Apollo, gli affiderà Delfi, regno dell’ombelico del mondo. Lascerà che lui strangoli il serpente Pitone, la potenza ctonia femminile che percepiva la sorte. La Pizia, sacerdotessa della dea, vaticinerà per Apollo.
Poi tutto il resto sono miti olimpici, più tardi. L’enorme corpo di Ercole si distende lungo quello del pesce serpente Tritone, lo sovrasta e lo strangola. È una delle dodici fatiche che l’eroe agisce per sconfiggere definitivamente il culto delle forze che sprigionavano dalla Natura. Ora uomini e dei maschili metteranno tutto a posto.
Il Partenone
Esco dal museo e salgo al Partenone: è tutto transennato e si regge in piedi per miracolo, come la Grecia. Forse la vergine Atena, protettrice della città di Atene, l’ha abbandonata: si è stancata di essere scambiata per una virago a cui non è concesso amare.
Tempio di Atena Pronaia a Delfi
Prendo l’auto e mi faccio 178 chilometri per raggiungere Delfi. Entro al museo e noto le piccole metope che raffigurano l’amazzonomachia: Teseo che uccide le amazzoni, venute ad Atene a liberare la loro regina Antiope che lui aveva rapito in Asia minore. Lei si rifiuta di combattere contro le sorelle e lui la trafigge. Eppure l’aveva amata… Non ci sono più viso, braccia, solo gambe femminili che si inginocchiano alla potenza maschile. È straziante. Esco e non sento Apollo, il dio tanto amato, non è più qui da molto tempo. Il suo tempio è un resto di falliche colonne senza senso. Andandomene, bevo alla fonte Castalia: fresca acqua divina. E scorgo in basso il magico tempio circolare di Atena Pronaia, che significa: prima del tempio. Sì, Lei era lì prima del tempio di Apollo. E sempre ci sarà, circolare come l’amore che ritorna sempre.