L’attraversamento del confine con l’Alaska è stato un momento molto bello. Era la prima volta che entravo negli USA e lo stavo facendo in canoa, da solo, sul quinto fiume più grande del mondo.
Ma dopo Eagle, che segna il confine con il Canada, lo Yukon si trasforma gradualmente in un fiume immenso e tappezzato di isole e, come era facile intuire, nei Flats (un’area grande come la Pianura Padana), nonostante il clima secco, il vento sarebbe diventato un problema ancora più serio. Normalmente da queste parti in estate si muore dal caldo, l’aria è ferma, le zanzare dominano il mondo emerso a tal punto da spingere i caribù a migrare. Quest’anno è invece l’opposto: piove, il vento è costante e il fiume spesso impraticabile. Capito il potenziale pericolo, a Circle io e due signori canadesi diretti al mare di Bering, abbiamo deciso di unirci “in cordata”, anche perché loro non avevano neanche la bussola e giravano con mappe scadenti, quindi io potevo aiutarli nell’orientamento, e in caso di pericolo avrei potuto chiedere di unire le canoe tipo catamarano.
Il pericolo non si è fatto attendere. Per cinque giorni siamo rimasti in balia del vento, delle onde e delle tempeste di sabbia. Il tutto è avvenuto in una zona vastissima, in cui orientarsi con esattezza è praticamente impossibile senza GPS. Più di una volta , schiaffeggiato dalle raffiche a prua e spinto dalla forte corrente che draga le sponde dello Yukon, mi sono trovato nei guai, senza poter manovrare la barca. Qui si assiste alla formazione di pericolosi archi di permafrost (terreno congelato), che fanno crollare centinaia di alberi in acqua e trovarsi sotto queste cupole pericolanti è tra i maggiori rischi che Bonatti aveva indicato nel suo libro. Qui il fiume distrugge ogni anno centinaia di ettari di foresta, come si evince dalle tonnellate di tronchi secchi ammassati su spiagge e sulle secche.
Alla fine riusciamo a trovare Fort Yukon, il punto più a nord del fiume, sopra il circolo polare artico, e appena sbarcati, sembriamo dei naufraghi. Con nostra sorpresa arrivano, nei giorni a seguire, anche tre tedeschi. Sono tutti piuttosto esperti, ma nessuno vuole continuare in quelle condizioni. Un altro invece, Bernt, è rimasto accampato per cinque giorni su un’isola ad appena 5 km da Fort Yukon ed è stato soccorso da un motoscafo, che lo ha portato in città. Bernt era furioso, triste, demoralizzato. Voleva arrivare al mare di Bering a ogni costo, ma quest’anno, su una canoa aperta, sembra impossibile. Avendo tempo si potrebbe aspettare fino ad agosto e sperare in un miglioramento, ma solitamente peggiora ancora. Sembra che alcuni kayak, appartenenti ad altre spedizioni, invece abbiano proseguito verso ovest. Sono certamente imbarcazioni più agili tra queste onde.
Mi trovo ora a Old Crow, Canada, al Gwich’in Gathering, ovvero l’incontro più importante dei nativi di una vasta zona che include anche parte dell’Alaska. C’è molto da imparare da questa gente. Sono ottimi oratori, hanno grande senso di ospitalità e di orgoglio.
Ma ve ne parlerò meglio la prossima volta.
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