Nel 1318 parte dal Friuli verso Oriente il francescano Odorico da Pordenone, nato Mattiussi o Mattiuzzi. Con credenziali sovrane e lettere diplomatiche era già partito nel 1245 Giovanni da Pian del Carpine, e poi Rubruck, i Polo, Montecorvino, e altri ancora. Il frate friulano è spinto da volontà di conoscenza ed evangelizzazione. Al ritorno non verga memorie ma consegna i ricordi delle cose vissute al suo “monastero, per vera obedientia”. Di quella narrazione esce, esattamente mezzo millennio fa, a cura dell’umanista Pontico Virunio, la prima edizione a stampa, sotto il titolo “Odorichus de rebus incognitis”. Ci sono molteplici ragioni per ricordare l’evento: interessano quelle legate ai contenuti della pubblicazione, autentica finestra su cultura e relazioni internazionali del tempo.
Il libro sulle “cose sconosciute” raccontate da Odorico si fa notare perché rifugge dal filone dei racconti fantastici e delle “mirabilia”, classificandosi, tra le letterature di genere, come una di quelle che meglio descrive i fatti e gli accadimenti ai quali l’autore assiste. Non che manchino nel volume ricostruzioni fantasiose e inverosimili ma, nel commento filologico, sono attribuibili al redattore non all’autore del memoriale. Il frate, al contrario, scrive come un inviato speciale raffigurando la Cina e i territori visitati durante il viaggio di andata e ritorno.
Quella fetta di mondo è, in quel secolo, sotto controllo mongolo. Il che non impedisce ad Odorico di circolare con un certo margine di libertà e farsi apprezzare, né di entrare nelle stanze del potere economico e politico, per rendicontarne, al ritorno, l’occidente. Niente a che vedere con il “clash of civilizations” dei nostri giorni, ma piuttosto apertura e dialogo, ricerca di opportunità di crescita commerciale e scientifica. Un’autentica lezione di come l’incontro tra culture e paesi lontani possa risultare positivo per tutti. Giulio Cesare Testa ha chiamato “desiderio dell’ignoto conoscibile” la spinta che muove uomini come Odorichus, collegandola ai miti di Ulisse e Alessandro.
In sé la via della Seta era ben conosciuta alle intelligenze del tempo. Ma si trattava di percorrerla, nel contesto di una pax mongolica inaspettata quando i mongoli mettevano a ferro e fuoco l’Eurasia. La pax promette ripresa dei traffici, delle importazioni di tessuti e spezie, nonché delle missioni di evangelizzazione (Odorico verrà beatificato nel 1755). La via Tartarica è interpretata come la versione aggiornata e altrettanto promettente del flusso di uomini e mezzi che tanto aveva appagato le parti coinvolte nel fulgore delle repubbliche di Genova e Venezia.
Vista in quella prospettiva, la Relatio di Odorichus ben si inserisce nelle dinamiche dei percorsi politici ed economici dei decenni della sua stampa. Esce vent’anni dopo lo sbarco di Colombo, che apre la strada di mare verso occidente prima impercorribile, penalizzando il rapporto storico, economico e politico con l’Oriente. Con la perdita di centralità del Mediterraneo, il Levante e le sue estreme propaggini decadono nell’interesse di un’Europa allettata dalle promesse di Colombo. Un anno dopo Lutero appende le 95 tesi avviando Riforma e divisioni religiose in Europa. Nel 1521 Belgrado è in mano al saraceno Solimano il Magnifico, facendo rimpiangere i tempi di Odorico, quando le alleanze tra europei e mongoli tenevano a bada l’espansionista islam. Mediterraneo e Oriente dovranno attendere il XXI secolo per la nuova offerta della storia. Sono la Cina, l’India e in genere l’Oriente, narrati da Odorichus, a portarle opportunità di crescita e sviluppo.
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