Colonna sonora: Coney Island Baby, Tom Waits
Questa città ha due anime: una elegante, ricca, sfarzosa, l’altra popolare, fatta di divertimenti per tutte le tasche e di un gusto commerciale. A New York ogni esperienza ha almeno un paio di versioni: una per le elite, una per il popolo. E come c’è chi va in metropolitana e chi in limousine, chi trangugia special (lattina di birra e shot di whisky per 5 dollari) nei bui bar dei seminterrati e chi sorseggia champagne nei rooftop bar, anche quando cercano una fuga dalla calda estate in città, i newyorchesi si dividono: c’è chi sale in auto e si dirige a Est, verso gli Hamptons, e chi prende la linea F e scende all’ultima fermata, Coney Island.
Io nella spiaggia dei ricchi non sono mai stata, ma conosco bene quella del popolo, quel mondo variopinto all’aroma di fritto che è Coney Island. I luoghi di divertimento popolari hanno in genere una caratteristica che li contraddistingue: la folla. Durante i fine settimana estivi, Coney Island è affollata quanto Times Square alle 6 di sera. E, nonostante la passerella di legno, la sabbia e l’oceano che spumeggia, è difficile dimenticarsi di essere a New York. A Coney Island – che non è un’isola, a dispetto del nome – ci arrivi in metropolitana e ci ritrovi gli elementi familiari dello scenario urbano, a cominciare dai project che si affacciano sul mare, come goffi giganti finiti nel posto sbagliato. È la città che si spinge fino all’oceano, con la sabbia a circondare palazzi di 20 piani e con le strade che qui prendono nomi dal sapore marittimo. Nonostante la forte sensazione di città, c’è un’atmosfera vacanziera, un che di salsedine nei capelli, un andamento ciabattante che a New York è pura anomalia. Coney Island è New York, ma è una New York lenta, una New York vacanziera e rilassata.
L’affollatissima spiaggia riproduce il crogiolo della città. Nella nudità dei costumi da bagno, la varietà umana compone un carosello avvolgente che stordisce i sensi. Intere famiglie si trasferiscono in spiaggia con un armamentario di borse frigo e bibite dai colori sgargianti. Il bellimbusto palestrato si allena facendo flessioni. Una donna islamica si immerge in acqua con tutti i vestiti. Abbondanti ragazze sfoggiano le proprie sensuali rotondità sul bagnasciuga. Uomini di mezza età rinfrescano le pance pelose sotto schizzi d’acqua mentre osservano il passeggio di corpi femminili. Un tizio se ne va a spasso con un pitone attorcigliato intorno al collo. L’uomo dei gelati trasporta gridando il suo carrellino. Da qualche parte arriva della musica. Un gruppo di sudamericani ha acceso una radio e la gente che passa si ferma a ballare. Nel giro di qualche minuto si crea una folla di ballerini, con coppie che si esibiscono in elaborate danze caraibiche e un ragazzetto che sfoggia qualche mossa di freestyle.
Intanto dalla passerella arriva odore di pesce fritto e di hot dog, mentre nel luna park sferraglia il Cyclone (le montagne russe quasi centenarie che sono la principale attrazione del parco divertimenti di Coney Island), i bambini strepitano e i giostrai strombettano.
Coney Island non è un’isola ma è un mondo, un universo attraente e misterioso. Il suo nome è nell’immaginario collettivo, ma ognuno riempie quel suono di immagini diverse. E la promessa contenuta in quel nome finisce per trasformarsi in sorpresa. Perché Coney Island non è mai come l’avevamo immaginata. È un poco più squallida, un poco più caotica, un po’ più magica, un po’ più trasgressiva, un po’ più sfacciata, un po’ più triste, un poco più bella. Come un giro sul Cyclone, Coney Island ti dà un brivido dal gusto d’altri tempi.