La risposta del presidente americano Donald Trump è finalmente arrivata. Dopo i lunghi tira e molla che hanno segnato il dibattito sui dazi, era difficile che Trump potesse accordare una tariffa minima ai paesi dell’Unione Europea, il 30% sembra così la via di mezzo per continuare a tenere in pungo gli stati europei. Che adesso cercano il modo per rispondere.
Inevitabilmente, Trump ha abbondantemente il coltello dalla parte del manico, motivo per cui i paesi europei sembrano concordi nell’adottare contromisure controllate. La linea è divisa in due tra chi vuole la risposta più morbida e chi vuole un atteggiamento più di scontro, che preveda quindi dazi da applicare alle merci americane in entrata. Il problema sta nella contro-contro risposta di Trump, che potrebbe concretizzarsi in una somma fra la percentuale imposta dagli Usa (30%) e quella applicata dagli stati europei; più semplicemente le tariffe potrebbero raddoppiare per arrivare al 60%.
Le risposte sono articolate su due liste di prodotti. Come analizzato nel dettaglio dal Corriere della Sera, la prima era stata approvata dagli Stati membri ad aprile, salvo poi essere bloccata per i continui rimandi. I controdazi erano previsti al 25% e al 10% a seconda delle categorie merceologiche, e riguardavano le moto Harley Davidson e i jeans, ovvero prodotti con connotati “culturali”, immagine dell’America all’estero. Poi si aggiungevano la soia della Louisiana, la carne bovina e il pollame del Nebraska e del Kansas, i prodotti in legno della Georgia, Virginia e Alabama. Stati di tradizione repubblicana, per impattare sul consenso del presidente. Si aggiungevano altri prodotti tra cui riso, frutta, tabacco, sigari, calzature, arredo e prodotti in alluminio.
La seconda lista, adesso di attualità, prevede una risposta più pesante e riguarda un ampio pacchetto di prodotti industriali e agricoli, dal valore complessivo di 72 miliardi di euro. Questo elenco, pur essendo stato ridotto per intensità, include aerei (tra cui Boeing), componenti per auto, veicoli finiti, prodotti chimici e plastica, apparecchiature elettroniche, prodotti sanitari non farmaceutici, macchinari e alcuni prodotti alimentari.
Infine, la risposta più dura, riguarderebbe il cosiddetto bazooka, su cui avverrebbero contromisure su altri fronti oltre a quello dei dazi: restrizioni al commercio di servizi digitali (ovvero quelli offerti dalle Big Tech) e finanziari, restrizioni agli investimenti diretti esteri, fino ai diritti di proprietà intellettuale.
Il tema centrale è adesso la posizione dei vari paesi, da cui deriverà la decisione della Commissione. Tra gli stati che vorrebbero adottare l’approccio più duro c’è sicuramente la Francia – che nella mattina di lunedì fa sapere di non voler escludere l’utilizzo del “bazooka” come forma ritorsiva – e poi Olanda, Belgio, Lussemburgo e Grecia. Tra chi vuole l’approccio più morbido c’è l’Ungheria, la Germania e l’Italia.