Uno studio pubblicato sulla rivista Science Advances ci porta indietro nel tempo, fino a 2 milioni di anni fa, per svelare come vivevano due specie umane preistoriche. Si tratta degli Australopithecus sediba e degli Homo naledi il cui segreto evolutivo è nascosto nelle loro mani.
Grazie a sofisticate scansioni 3D, i ricercatori hanno analizzato ossa fossili delle dita ritrovate in Africa meridionale. Il risultato è affascinante: queste antiche specie non usavano le mani solo per arrampicarsi sugli alberi o spostarsi nel loro ambiente, ma anche per afferrare e manipolare oggetti. Un’abilità fondamentale per costruire strumenti e, forse, per avvicinarsi sempre più all’essere “umani”.
“Le mani fossili complete sono una vera rarità”, spiega Erin Marie Williams-Hatala, paleontologa della Chatham University, che non ha partecipato allo studio. “Ma questi esemplari ci hanno permesso di capire meglio come ogni dito veniva usato e quali forze agivano su di essi.”
La scoperta suggerisce che l’evoluzione della mano non è stata un semplice salto da una forma “scimmiesca” a una moderna. È stata, piuttosto, una fase di transizione, dove abilità primitive e comportamenti complessi convivevano.
“Probabilmente camminavano su due piedi e usavano le mani per manipolare oggetti, ma trascorrevano anche del tempo ad arrampicarsi o appendersi”, racconta Samar Syeda, paleoantropologo dell’American Museum of Natural History e coautore dello studio. Forse su alberi, forse su scogliere: l’ambiente era ancora una sfida da affrontare con tutti e quattro gli arti, ma di certo non li usavano solo per la locomozione, come si era pensato fino ad ora.
In fondo, è affascinante pensare che ciò che oggi diamo per scontato—afferrare una penna, prendere una tazza per bere un caffè o usare uno smartphone—è il risultato di milioni di anni di evoluzione, plasmata osso dopo osso.