Cara Silvia,
Bentornata.
Ho aspettato che il clamore del tuo arrivo in patria natìa fosse sbollito per scriverti due righe; quelle che traducono in modo meno incerto il pensiero che custodisco da giorni.
Ti chiedo scusa perché sei stata gettata in un gigantesco tritacarne mediatico; da cui dubbiosamente credo che tu sia ancora uscita. Occorrerà tempo e pazienza per curare le tue ferite, noi empatici possiamo solo sentirne il sapore ferroso del sangue ma la profondità delle stesse lacerazioni – la conosci solo tu.
Cara Silvia potresti essere mia figlia – una sorella – una amica persa e ritrovata; faccio mio il sentimento di milioni di italiani che ha esultato e gioito in modo sguaiato quando ha saputo della tua liberazione; personalmente non ho scavato oltre: la mia felicità per te è stata totale.
Ti ho pensata spesso in tutti questi mesi di prigionia dolce Silvia – perché così è stato.
Sei stata segregata per interminabili giorni durante i quali tutti noi abbiamo temuto spesso per la tua stessa incolumità.
Nessuno di noi (sani di mente) ha pensato che tu fossi a spassartela in un villaggio turistico o ospite gradita di una famiglia felice keniota o somala; nessuno di noi ha mai pensato che tu a causa della tua giovane età avessi bisogno di egoistiche emozioni forti; nessuno di noi – ripeto – persone perbene ha mai messo in dubbio l’innocenza e la purezza del tuo progetto originario: andare in un paese bellissimo e ricco di umanità (conosco il Kenya e so cosa dico) a far del bene a dei bambini sfortunati in un orfanotrofio.
Gli sventurati, i poveri, i derelitti in Kenya non sono gli stessi che sono in Italia.
La situazione in Africa è socialmente e dal punto di vista sanitario ed economico molto diversa dall’Italia anche se paradossalmente il Kenya è una terra baciata da Dio (quale Dio? Il mio, il tuo? Non importa) in quanto a risorse naturali e preziose se non fosse che sia stato amministrato e gestito per anni come una riserva mineraria in mano ai soliti governanti fagocinanti e corrotti.
In Kenya non è passato alcun Alcide De Gasperi o amministratore illuminato per farla breve, ma solo “capi” che hanno pensato più al loro tornaconto che a quello del loro popolo, ridotto alla fame.
Orbene – visto che ho visitato personalmente orfanotrofi e strutture dedicate all’infanzia in loco – tanto da adottare a distanza un bambino keniota dalle guanciotte piene che si chiama Talmon, potrei dirti che la tua è stata una scelta coraggiosissima che io a venti due, venti tre anni mai sarei riuscita a compiere.
Partire dal proprio paese con lo scopo preciso di andare a fare del bene con una onlus marchigiana.
Tutto bellissimo ed encomiabile.
Così rispondo anche alla miriade di commenti velenosi sulla tua “missione” in terra africana ; come saprai i leoni da divano sono quelli che amano giudicare mentre si affannano in imprese ardue come quelle di cambiare il canale alla tv o piazzare fake news sui social.
Tu però cara Silvia nella tua impresa eri sola, una goccia in mezzo all’oceano che può fare l’oceano – ma solo se protetta da qualcuno o qualcosa, non diventando la preda preferenziale per un romanzo noir successivo fatto di rapimenti, segregazione e terrore continuo.
Tu ed il tuo encomiabile esempio di solidarietà non eravate che una mercanzia da gestire e piazzare al miglior offerente; non sei stata trattata con rispetto né amicizia – sei stata bensì salvaguardata e mantenuta in vita perché – alla fine della fiera – fruttassi denaro.

Sul tuo riscatto e sul prezzo che è stato pagato (riscatto sì, riscatto no, non si saprà mai con certezza) non potrei dire nulla di certo se non che umanamente e consapevole della volontà di farti tornare a casa dalla tua famiglia, io avrei pagato “quel” riscatto; anche se il rovescio della medaglia è quello che con quei soldi si siano ulteriormente foraggiati proprio loro, i tuoi carcerieri, i terroristi della peggior risma, gli aguzzini di libertà e di ogni ragionevolezza: il gruppo di Al–Shabaab ormai padrone in Somalia e purtroppo attivo anche in Kenya – seppur in modo minore.
Al–Shabaab non sono propriamente i Fatebene fratelli – un ordine che semina scuole, strutture sanitarie, aiuti per l’infanzia e per le donne in difficoltà; Al – Shabaab semina terrore e morte e se ti concede di vivere, scordati ogni libertà conosciuta.
Tu non sei stata amorevolmente curata e trattata come una gradita ospite, tu sei stata manomessa fisicamente e psicologicamente per ben diciotto mesi – sballottata da un villaggio all’altro – sotto la minaccia di chissà quali inferni terreni e celesti.
Quanto tempo ti occorrerà Silvia per ritrovare te stessa?
E che ne sanno i leoncini da tastiera di tutto ciò che avrai subìto in modo esplicito o implicito?
Qui in Italia durante il lockdown le persone si sono magicamente trasformate in cantanti e musicisti da balcone, fornai, pasticcieri, smartworkers da salotto, giardinieri – penso che tu dopo diciotto mesi di segregazioni abbia il diritto di esserti anche convertita all’Islam.
Te lo dico sinceramente.
Sulla libertà religiosa io non faccio distinzioni o sconti di sorta: se hai scoperto una Fede nuova – hai tutto il diritto di praticarla – l’Italia è meravigliosamente garantista in tal senso; se invece col tempo capissi che il tuo novello percorso religioso non è stato che un modo per sopravvivere al sopruso, arriverai a razionalizzarlo tu per prima.
In entrambi i casi, Silvia – Aisha bentornata.