Sono scomparsa, scusate, ma ho cominciato un nuovo lavoro, per UBM Informa, dove mi occupo di fiere moda; avevo comunque preaccordato una vacanza anticipata.
È da dodici anni, ossequiamente, che ritorno a casa. Le vacanze italiane e la breve sosta al Reef Oasis di Shaarm El Sheik, dove abbiamo trascorso una piacevole settimana insieme all’animazione italiana di Valtour, mi hanno lasciato un forte sapore di mare addosso, con una goccia di nostalgia (non ancora canaglia) mista ad un gran senso di felicità.
Ritorni poi a New York e ti accorgi che, anche qui, finalmente è arrivata l’estate; e lo capisci per via dei preparativi del 4 luglio, quando tutti cominciano finalmente ad indossare abiti bianchi e l’intero ufficio fa gare di Master cleanse, ovverosia dieta fast & furious a base di succhi e spremute naturali. Loro le fanno, non io. Io osservo, divertita, mentre corro ad ordinare croissant e cornetto.

È nel giorno dell’indipendenza americana che l’intera popolazione si raduna su spiagge, al sole, intorno a bbq a cucinare, a bere e a ballare. Si celebra l’essere americani, con tutte le implicazioni che ciò comporta per ciascuno di noi. Il melting pot, ovvero la fusione delle tante culture che popolano gli Stati Uniti rendendolo un continente integrato e vibrante dal punto di vista culturale e linguistico, viene fuori, anche durante il nostro barbeque a casa di Carmin, a Brooklyn. È qui che ritroviamo in pole position espatriati di Italia, Francia, Canada, Africa, New York e Ohio. Tutti insieme a provare gli hot dog con ketchup e radish, tutti uniti da un unico amore: quello per la bandiera a strisce e stelle.
Alla domanda che la mia amica canadese Carmin ha posto a tutti gli ospiti del suo party, “What are you grateful for, on July 4th?”, è seguita quella più ovvia: “Ma perché siamo qui?”. Per ragioni di studio, lavoro o per amore, ecco aprirsi un dialogo fluido e naturale sul sogno americano e sulla terra delle mille opportunità.

Così a rotazione, tra sarcasmo e commozione, abbiamo detto innanzitutto quello che non ci piace più dell’America. All’unisono, la risposta è stata piuttosto lineare e palese: la sua politica estera e l’immagine di Trump. Allora qual è il collante che ancora ci tiene inchiodati qui?
Parto io, spedita, e decisa. Tutto d’un fiato, senza troppe riflessioni, né filtri. Eccovi la mia lista. Amo l’America e i seguenti: lavastoviglie, microonde, frigo enorme, aria condizionata, lavatrice dal ciclo di 30 minuti e asciugatrice, le patatine di platano di Trader Joe’s, Amazon Prime, Google Express, la TV a pagamento tutta, Netflix, la frutta super costosa di Whole Foods, thai food, Asian Food, i rooftop con vista, la metro, e per ultimo il Reservoir di Central Park.
A parte la mia pragmaticità e superficialità, in realtà le cose che ho ritrovato UNICHE nel vivere in questo fantastico Paese sono le seguenti:
- La libertà di cambiare lavoro facilmente, flessibilità lavorativa. Punto a vantaggio per l’America. Finora, credo di esser sempre riuscita a fare il lavoro dei miei sogni. Con tanti sacrifici e devozione, ma posso dire di esservi riuscita.
- La possibilità di essere creativi. La creatività e il remote working, cioé lavorare anche da lontano senza andare in un ufficio fisico, che ti regalano altresì un grande senso di libertà.
- La libertà di scelta tra mille opzioni: avete mai provato a fare la spesa nei grandi magazzini, oppure al semplice CVS Pharmacy giù al palazzo? Vi sembrerà di impazzire e se non siete armati di tanta pazienza e vero senso del bisogno, avvertirete l’urgenza di abbandonare l’impresa e scappare, alla fine rinunciando all’acquisto.
- Il delivery: soprattutto d’inverno, adoro ordinare tutto, dalla cena alla pizza e la spesa, direttamente dietro la porta. La consegna, che servizio!
- L’aria condizionata. Sebbene se ne facciano un uso esagerato, e sproporzionato, rispetto al caldo effettivo e reale, ho imparato col tempo ad adorarla. Soprattutto in giornate super calde e umide, in metro, in bus, a casa. Ma ancora rido nel vedere turisti europei impazzire, d’estate a NY, con sciarpe e giacche accusando il colpo duro dell’aria ghiacciata.
In queste tre settimane trascorse in Italia ho quindi riflettuto sulle cose che mi mancano veramente e profondamente, quelle che rendono la mia quotidianità in Italia un posto felice, dalle prime ore dell’alba sino alle ultime ore della notte.
- Innnanzittutto, i pan di stelle, gli abbracci e i loacker-che-bontà.
- Il cappuccino fatto bene, con tanto di cuore a schiuma, e offerto con tanto di acqua, senza ghiaccio, senza nemmeno io te lo chieda, né specifichi “senza ghiaccio, per favore”. Va per inteso.
- Il cornetto alla Nutella, la sfogliatella, e i cannoli siciliani, quelli veri che arrivano a Napoli freschi direttamente su volo diretto Catania o Palermo.
- Il gelato, ad ogni ora. Senza pregiudizio, e senza aspettativa si tratti di un rimpiazzamento della cena. Ma che scherziamo? Fino a due siamo ancora “in regola”.
- Gli amici di sempre, quelli d’infanzia, del liceo, dell’università. Amici con cui da oltre un decennio non ci si vede più, ma con i quali ritrovarsi dopo un intero anno annienta ogni distanza spaziale e memorativa. Quegli amici che ami tanto, che desideri vedere e abbracciare, ma con cui hai nulla o poco da condividere, perché le vostre vite hanno purtroppo o fortunatamente nulla più a che fare. Nulla in comune. Eppure ricoprono un’importanza particolare nella nostra vita perché portano con sé il ricordo della tua infanzia, adolescenza, della tua vera persona, di quella che eri prima che l’età adulta prendesse il sopravvento. Gli amici della spensieratezza, li definisco io. Gli amici delle avventure da motorino, da treno, e filoni a scuola e pasquetta in spiaggia.
- La famiglia. Inutile dirlo. Quella ci manca, certo. Ma non mi manca l’invadenza tipica delle famiglie del sud.
- Mi manca il sapore del cibo buono, quello vero, quello biologico. L’odore delle case napoletane, e italiane in generale, credo sia ineguagliabile. L’odore di Lisoform che sprigiona dai pavimenti, il Mastrolindo dal bagno, si fondono al ragù in pentola e al caffé sempre in ebollizione sui fornetti.
- Mi manca poter passeggiare, anche sui san pietrini, e in tempo luce vedere il mare, il sole, il vulcano e un’intera città che ti parla di storia, mentre la gente stenta ad arrivare a fine mese, ma ancora fa salti mortali per andare in vacanza 15 giorni l’anno, tra sacrifici e rinunce.
- Mi manca l’aperitivo abbondante, quello dove compri una bibita e senza chiederlo ti arrivano tanti snack, dalle noccioline alle patatine salate.
- Mi manca la spontaneita’ della gente, quella che ti saluta, con gli occhi prima ancora che con le parole e con il cuore. Il sorriso spontaneo del vicino di fila, e la collega che ti invita a pranzare insieme senza troppi ma o se.
- Mi manca l’odore e il sapore del pesce, l’odore del mare e dell’acqua salata, quella mediterranea. L’acqua che ti lascia addosso quel sapore di sale, sapore di mare, appiccicoso irritante e comunque calmante. Lo ricerco, inutilmente, quell’odore, ogni giorno, quando corro lungo l’Hudson e faccio respiri profondi.
- Mi manca poter uscire tutte le sere, cosa che non faccio qui, e poter mangiare da Dio, abbondantemente, con soddisfazione, bere vino di qualità, tutto a buon prezzo, senza sentirsi derubata ne’ povera dopo aver ricevuto lo scontrino finale.
Ecco tutto. Mi manchi tanto Italia. Arrivederci all’anno prossimo. Intanto, God Bless America!