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February 25, 2019
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Dal microchip allo studio della consapevolezza: Faggin si racconta a NY

Il fisico e innovatore italo-californiano noto per essere il "padre del microchip" intervistato da Maria Teresa Cometto all'Istituto Italiano di Cultura

La Voce di New YorkbyLa Voce di New York
Dal microchip allo studio della consapevolezza: Faggin si racconta a NY

Maria Teresa Cometto con Federico Faggin.

Time: 2 mins read

Tutti lo conoscono come padre del microchip, l’Intel 4004 ritenuto il primo microprocessore nella storia dell’informatica. Federico Faggin, classe 1941, di Vicenza e negli USA dal 1968, è stato ospite all’Istituto Italiano di Cultura di New York nell’ambito del secondo appuntamento della sere “Italian Creators of our Time”, intervistato dalla giornalista Maria Teresa Cometto. Una storia di eccellenza italiana nel mondo, e di innovazioni che hanno rivoluzionato le nostre vite: perché, dopo il microchip, a Faggin e a una delle sue startup, Synoptics, si devono i primi Touchpad e Touchscreen, oggi realtà imprescindibile. Non solo: nel 2009 ha ricevuto, dalle mani dell’allora presidente Barack Obama, la Medaglia Nazionale per la Tecnologia e l’Innovazione.

Durante la conversazione con Cometto, Faggin ha parlato del ruolo, sempre in primo piano quando si parla di innovazione, della Silicon Valley, in California, dove, dall’Italia, è approdato un cinquantennio fa. Un polo rimasto di riferimento per ingegneri e scienziati di tutto il mondo, oggi in una più ampia varietà di settori tecnologici, “dai social media al biotech”. Ma c’è anche una “bolla” che rischia di scoppiare, soprattutto nel campo dei big data, e legata ai risultati promessi che si sono rivelati difficili da raggiungere. Il problema, ha spiegato Faggin, è che l’Intelligenza artificiale, per quanto utilizzi terminologie umane, non è comunque in grado di arrivare ai livelli di nostra consapevolezza. L’imparare delle macchine, in pratica, avviene grazie alla memorizzazione di un’enorme quantità di dati, cosa che non ne garantirà mai l’infallinilità: resta un agire “cieco”, e “di fronte a situazioni nuove” le macchine restano “incapaci di reagire”. Ed è così che può accadere (come purtroppo è successo) che un pedone che attraversa la strada conducendo per mano una bicicletta venga investito, visto che la macchina aveva imparato ad intepretare come ostacoli solo i pedoni e i ciclisti montati sulla bicicletta.

Maria Teresa Cometto, Federico Faggin e Giorgio Van Straten (Facebook / Maria Teresa Cometto).

Oggi, Faggin si occupa della Fondazione Federico ed Elvia Faggin, che fa ricerca sulla consapevolezza in campo scientifico, indagando la natura della coscienza con l’ambizione di estendere il metodo scientifico per esplorare la mente. “Ho iniziato perché per anni ho pensato di poter trovare un computer consapevole”, ha raccontato. “Poi ho capito che è impossibile, l’uomo non è una macchina che può essere replicata da un computer”. Come poter ricostruire scientificamente emozioni, sensazioni, e tutto l'”imponderabile” dell’umano? Impossibile. Faggin ha infatti individuato nella consapevolezza la chiave di tutto, l’elemento che, in effetti, ci distingue dalle macchine e da ogni forma di intelligenza artificiale. Una ricerca trasversale e multidisciplinare, che fa toccare scienza e filosofia, tecnologia e umano. Il suo fine, naturalmente, resta quello di sviluppare una scienza capace di “spiegare anche la realtà interiore”, campo nuovo ed esplorato solo negli ultimi 20 anni.

Quanto alla guerra tra Stati Uniti e Cina nel campo dell’high tech, il fisico e innovatore italiano ritiene che, nonostante sia innegabile che Pechino abbia “copiato” tecnologia a stelle e strisce, lo sono altrettanto i passi avanti fatti dal Dragone negli ultimi trent’anni in tema di scienza, tecnologia, ingegneria e matematica: al punto che tali materie sono studiate dal 45% degli studenti cinesi, contro un 5% di quelli americani.

Parlando dell’Italia, Faggin, da oltreoceano, dichiara di vedere “qualche segnale positivo”: “Alcuni giovani si stanno svegliando, magari dopo aver visitato al Silicon Valley”. Restano, però, gli ostacoli di sempre: in primis, inefficienza e burocrazia, tasse eccessive e immobilismo: la “volontà di cambiamento”, insomma, è ancora lontana.

 

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