Dopo giorni di sterile polemicuccia all’italiana, oggi Sergio Marchionne si è spento in una clinica di Zurigo, dopo che, qualche giorno fa, i vertici della FIAT si erano affrettati a rimpiazzarlo a causa dell’improvviso peggioramento delle sue condizioni di salute.
Difficile tracciare un giudizio sull’uomo e l’imprenditore, cosa che, con grande nonchalance, ha fatto in queste ore la stampa italiana, schierandosi, ben prima che suonassero le campane funebri, tra i “pro” e i “contro”. C’è chi ha inneggiato al suo talento e al suo intuito, definendolo “salvatore” della Fiat, e chi lo ha duramente accusato di aver portato il gruppo via dal Paese. C’è chi ha apprezzato il suo realismo calato nel libero mercato, e chi ha gettato strali, imputandogli di aver lesinato sui diritti dei lavoratori.
Probabilmente, in entrambi gli schieramenti vi è della verità. Ma noi della Voce, giornale che tanto spesso si rivolge agli italiani all’estero, vogliamo oggi sottolineare come Marchionne sia stato l’emblema dell’italianità di successo – con le sue luci e le sue ombre, certo – nel mondo. “Egli è stato anche un chiaro e convincente esempio delle grandi risorse e qualità che l’emigrazione italiana ha sedimentato nel mondo. Ho avuto modo di conoscerlo personalmente a Toronto l’anno scorso in occasione della raccolta fondi per i terremotati del Centro Italia, promossa dalla comunità Italo-canadese. Un uomo, dunque, legato alle proprie radici e che ha fatto onore a tutti gli italo-canadesi e a tutti gli italiani all’estero”, ha dichiarato in queste ore in una nota la deputata italocanadese Pd Francesca La Marca.
In effetti, Marchionne, nato a Chieti il 17 giugno 1952, aveva doppia nazionalità, italiana e canadese. Laureato in Filosofia e in Legge a Toronto e in Economia e commercio a Windsor, fino al ’94 ha lavorato tra Canada e Stati Uniti, prevalentemente nel campo legale, per poi, una volta tornato in Europa, ricoprire incarichi manageriali in diverse grandi aziende, fino ad approdare alla svizzera Sgs. Un “uomo dei due mondi”, è stato ribattezzato dalla stampa in queste ore, proprio per questa sua doppia appartenenza a due Paesi, due culture, da un lato all’altro dell’Oceano.
Poi certo: sul suo operato si può discutere. A guardare i dati, gli si deve riconoscere di aver evitato alla Fiat il tracollo. I numeri dicono anche, però, che i dipendenti diretti di Fca in Italia sono ad oggi 29.000 compresi quelli di Maserati e Ferrari, dai 120mila che erano nel nel 2000. Il prezzo pagato, insomma, è stato alto: un trasferimento di sedi e risorse che ha indubbiamente indebolito il sistema industriale del nostro Paese. È il Mercato, bellezza. Di certo, fiutò che l’amministrazione entrante Obama avrebbe rappresentato la congiuntura giusta per il “colpaccio”: acquisire la Chrysler, grazie a vantaggiosissimi prestiti federali concessi dall’allora Presidente. Marchionne, in fin dei conti, è stato un uomo del suo tempo: un tempo in cui il sistema economico occidentale si è fondato sul verbo del libero mercato e del capitalismo. Oggi, può darsi che quell’epoca, della “globalizzazione a cuor leggero”, con il nuovo verbo protezionista che avanza, stia tramontando. Ma questa, in fondo, è un’altra storia.