Si avvicina il traguardo dell'Italian American Country tour, e siamo in procinto di toccare la terza e ultima costa del continente. La prima è stata, naturalmente, New York. La seconda New Orleans, approdo per molti emigrati che non videro mai Ellis Island, arrivando direttamente qui. L'ultima è San Francisco, che abbiamo preso via terra “navigando” per miglia attraverso Colorado, Utah e Nevada.

Le sequoie delle Muir Woods, sulle colline di San Francisco
La California evoca in molti un immaginario balneare ma, appena arrivati, ancor prima di toccare l'Oceano siamo saliti sulle colline di San Francisco, nelle Muir Woods. Abbiamo camminato nella Redwood Forest di cui cantava Woodie Guthrie, uno degli ispiratori del nostro viaggio, nella sua celebre canzone:
“This land is your land
This land is my land
From California to the New York island
From the Redwood Forest to the Gulf Stream waters
This land was made for you and me”.
Le sequoie delle Muir Woods hanno un'età media tra i 500 e i 700 anni. Ci piace pensare che questi alberi siano testimoni viventi dei cambiamenti che qui si sono verificati e delle vite di chi arrivò da un altrove lontano per mettere radici in una terra che presto divenne la loro terra.
E come le moltissime specie arboree che popolano la città, anche le persone giunte qui dai molti “altrove” del mondo trovarono un ambiente favorevole alla convivenza e alla contaminazione.

Valentina Imbeni, direttrice della Scuola Internazionale di San Francisco muir woods san
Cross-pollination, nel suo significato primo, indica il trasferimento di polline tra piante diverse per azione del vento o degli insetti. In senso metaforico è usato per indicare la fusione di idee e conoscenze provenienti da culture differenti. L’abbiamo imparato parlando con l’emiliana (e ora californiana) Valentina Imbeni, direttrice della Scuola Internazionale di San Francisco. Nata nel 2002 da un piccolo gruppo di genitori italoamericani, oggi la scuola conta 170 bambini di 15 diverse nazionalità, la maggioranza dei quali figli di genitori americani interessati a quanto l’Italia ha da offrire in termini di educazione. L’approccio formativo è quello di Reggio Emilia, eccellenza a livello mondiale, fondato sulla creatività e l’espressività del bambino.
Ascoltiamo una canzone che gli alunni hanno composto insieme a Carlo, l’insegnante di musica: il tema è Halloween, una delle feste più americane, ma il testo è in italiano, piccolo esempio di “cross-pollinazione” musicale. Alla Scuola, come la chiamano semplicemente qui, sono diciassette le lingue parlate. “Non è una scuola italiana all’estero – ci dice Valentina – ma una scuola internazionale con in più la lingua italiana”. E proprio la diversità è la chiave di lettura di questa città, ancor più che del resto degli Stati Uniti: “Qui tutti vengono da un altro posto. Cosa vuol dire essere americani? Tutti sono emigrati qui a un certo punto: ciascuno conserva l’orgoglio delle proprie origini, ognuno diverso dall’altro, e a San Francisco in modo speciale”.

Lezione di italiano alla Scuola Internazionale di San Francisco
Nel corso dell’Italian American Tour, il rapporto con la lingua italiana è stato spesso al centro delle nostre interviste. Secondo le testimonianze raccolte, sono rari i casi in cui essa è rimasta viva nelle famiglie italo-americane. Nella quasi totalità dei casi, il percorso di allontanamento dalla lingua madre si ripeteva in modo identico.
La prima generazione, quella arrivata dall’Italia, parlava solo l’italiano a cui affiancava una lingua che la sociologa e scrittrice Amy Bernardy all’inizio del Novecento definiva “una lingua speciale […] composta di parole italiane foneticamente affini ad altre parole inglesi che [perdono] il loro significato originario”.
Già nel 1894 il giornalista Adolfo Rossi aveva osservato ad esempio che Brooklyn diventava “Broccolino”, cortile (yard in inglese) diventava “jarda” e badile (shovel in inglese) diventava “sciabola”.
La seconda generazione, la prima a nascere negli USA e a frequentare le scuole americane, in casa parlava italiano – o più spesso il dialetto della regione di provenienza dei genitori – ma appena varcata la soglia si trovava totalmente immersa in un mondo anglofono e acquisiva la nuova lingua, spingendo ai margini l’italiano. Mandando i propri figli nati in America nelle scuole pubbliche, dove l’unica lingua insegnata era l’inglese e dove erano esposti ad abitudini e modi di vita americani, la prima generazione di immigrati scatenò involontariamente un conflitto tra i propri valori e quelli dei figli.

L’ultimo panorama che vediamo prima di lasciare la macchina che ci ha accompagnato per oltre 10.000 km ├¿ lo skyline di San Francisco al tramonto
Lo scrittore Alberto Pecorini descriveva con queste parole crude la situazione all’inizio del Novecento: “Il fanciullo non sa altro dell’Italia che il dialettaccio parlato in famiglia, le parole oscene che ode per le strade del quartiere, i metodi e pensieri primitivi dei suoi genitori analfabeti; non vede mai un libro italiano perchè a casa nessuno sa leggere, non sa nulla d’Italia perchè il padre nulla può dirgli, e cresce intelligente ed educato con un certo senso di repulsione per tutto ciò che sa d’italiano”.
Pochi anni dopo, l’ambasciatore des Planches descriveva una famiglia di immigrati in cui “le figlie crebbero nell’indipendenza delle ragazze americane, frequentarono scuole americane […] Si può, si deve lottare per contrastare al paese d’adozione o di residenza la conquista che va compiendo?”.
La terza generazione, figlia di genitori italo americani, era costretta ad abbandonare l’italiano anche in casa e la conoscenza della lingua si limitava ormai a poche espressioni dialettali e a qualche termine colto qua e là nelle conversazioni degli adulti che usavano l’italiano quando non volevano essere compresi dai figli.
Dalla quarta generazione in poi scompare ogni contatto con l’italiano nella vita famigliare e bisogna attendere che nei giovani rinasca spontaneamente il desiderio di riappropriarsi della lingua ancestrale studiandola a scuola.
Questa è la dodicesima puntata dell'Italian American Country, un tour di 6.000 miglia e 15 tappe attraverso gli USA alla scoperta degli italoamericani che vivono nelle piccole comunità. Da questo viaggio nasceranno un libro fotografico e un documentario che vedranno la luce nella primavera/estate del 2015.
Il progetto è nato a seguito della pubblicazione del libro Explorers Emigrants Citizens edito daAnniversary Books e disponibile su Amazon.