Stockton, Missouri. Ottobre 1985
“Somebody's gonna hurt someone / Before the night is through
There's gonna be a heartache tonight / A heartache tonight, I know”.
Le parole di Heartache Tonight degli Eagles e gli scrosci di pioggia che martellano sulla lamiera sono gli unici rumori all'interno dello school bus giallo degli Stockton Tigers mentre entra nel parcheggio dello stadio della Marionville High School. Alle nostre spalle è in arrivo un intero paese: autobus, macchine e decine di pick-up con a bordo compagni di scuola, amici, familiari; ogni abitante di Stockton in grado di muoversi è lì per sostenerci. “Ain't much else to do on a Friday Night” era stata la frase buttata lì con la tipica noncuranza country dalla mia host family per giustificare la loro presenza alla prima partita di playoff del campionato studentesco di football.
Il campo è un'unica grande pozzanghera, la condizione migliore per noi, considerati gli underdog dopo che i Comets ci avevano strapazzati durante la regular season. È soprattutto la condizione ideale per appesantire le gambe di Bobby Eden, la star dei nostri avversari e l'incubo dei miei compagni di squadra che non sono mai riusciti a contrastarne la velocità, la potenza e gli imprevedibili cambi di direzione.
Al termine del secondo tempo, dopo due ore di battaglia nel fango, il risultato è in parità. Per decidere la partita sono necessari i tempi supplementari che si aprono nel peggiore dei modi: Bobby Eden riesce a ritrovare per un attimo la sua esplosività e va in touch-down alla prima azione. La nostra difesa regge sul tentativo di trasformazione e il risultato si ferma sul 20-14 per i Comets.
Abbiamo quattro azioni per tentare di pareggiare o addirittura vincere. Proprio al quarto tentativo riusciamo a sfondare la linea di meta portando il risultato sul 20-20, basta una trasformazione e la vittoria è nostra.

Paolo Battaglia con la divisa dei Stockton Tigers, ieri e oggi
Coach Hancock mi si avvicina e, calmo, mi dice: “Tocca a te!” Era stato lui che il giorno in cui mi ero presentato al campo d'allenamento, mi aveva detto: “You're Italian, you kick” e dopo un rapidissimo provino mi aveva promosso kicker titolare dei suoi Tigers.
Ci aveva visto giusto e ai playoff arrivo a pochi punti dal record di segnature nella storia della scuola e senza avere mai fallito un extra point, la trasformazione dopo la meta.
Entro in campo tranquillo, la pioggia continua a cadere incessante ma l'unica cosa che vedo sono i pali della porta oltre i quali devo spedire la palla in un gesto ormai diventato naturale. I tre passi di rincorsa vanno come al solito ma al momento di iniziare il movimento del calcio, sento il piede sinistro scivolare nel fango di qualche centimetro. L'impatto con il cuoio del pallone ovale è potente ma impreciso. Ne esce una traiettoria sbilenca e dopo pochi istanti di silenzio irreale sento la palla rimbalzare sulla traversa e uscire. Tutto si ferma, mentre le ginocchia si piegano e cado a faccia in giù nel fango, mi chiedo per la prima e forse unica volta perché ho deciso di lasciare la mia famiglia e la mia città per passare un anno da foreign exchange student.
Ma lo spettacolo deve continuare e i Comets galvanizzati dallo scampato pericolo iniziano il secondo tempo supplementare in attacco, certi di avere ormai la partita in pugno. Arrivano a pochi pollici dal touch-down quando Bobby Eden, ancora lui, perde il pallone che viene recuperato dalla nostra difesa. Dopo tre azioni senza nulla di fatto, al nostro attacco resta una sola possibilità per segnare ed evitare il terzo tempo supplementare. Sono certo che il coach ci pensi a lungo prima di affidarmi il pallone dicendomi “You can do it..”". L'incoscienza di qualche minuto prima è scomparsa; durante la rincorsa sento tutto il peso della pioggia e del fango che mi inzuppano la divisa ma piede e pallone si incontrano nel punto giusto e il calcio finisce esattamente tra i pali. Finisco ancora una volta nel fango, questa volta trascinato dalla gioia della vittoria.
Stockton, Missouri. Ottobre 2014
Con un fast forward di più di un quarto di secolo, si arriva all'estate 2014, al momento di stabilire il percorso del nostro Italian American Country Tour. Programmando le diverse tappe non posso fare a meno di notare che Stockton si trova vicinissimo (almeno secondo gli standard di un viaggio di oltre 10.000 chilometri) a Tontitown dove arriveremo intorno al 15 di ottobre. Comincio a curiosare sul sito della mia vecchia scuola e scopro che il 17 ottobre gli Stockton Tigers riceveranno la visita dei Marionville Comets. Decido quindi che il nostro tour si può concedere un giorno di deviazione dalle rotte italo-americane per assaporare un classico venerdì sera da small town americana: allo stadio per tifare i Tigers della Stockton High School, con l'ancor più classico contorno di cheerleaders e banda della scuola che intona l'inno americano.
Per arrivare a Stockton usciamo dalle Interstate e ci inoltriamo negli Ozarks sulle blue highways cantate da William Least Heat-Moon, non a caso nato proprio in Missouri. In un continuo saliscendi, attraversiamo le dolci colline di questa regione rurale che ha dato vita a una delle più caratteristiche culture autoctone americane, rappresentata in decine di film, telefilm (a volte caricaturali come il famoso The Beverly Hillbillies) e nella musica folk. Nel 1941, la stessa Library of Congress commissionò per il proprio Archive of Folk Culture una ricerca sul campo registrando oltre 800 canzoni, ballate e brani strumentali tipici di questa regione.

L’esterno della Stockton High School
Gettando lo sguardo ai lati della strada, sembra che la situazione economica sia migliorata dagli anni Ottanta quando, appena usciti dal paese, era un susseguirsi ininterrotto di decrepite mobile homes o addirittura di roulotte in cui abitavano molti dei miei compagni di classe.
Sono 24 anni che non metto piede a Stockton e quando la nostra macchina si ferma nella piazza centrale mi sento completamente perso. Gli amici con cui ho appuntamento mi avevano avvertito: ormai 10 anni fa il centro del paese è stato colpito da un tornado e la ricostruzione ne ha cambiato completamente l'aspetto. Chiediamo informazioni in un distributore e il ragazzo che ci indica come arrivare alla nuova high school indossa una maglietta “Tiger Pride”: tutto il paese si sta preparando per la sfida di stasera.
A scuola ci accoglie Kevin Burns, school counselor ma soprattutto quarterback dei Tigers del 1985. Ci accompagna orgoglioso a visitare la scuola ed è un tour che lascia senza fiato: Stockton è un centro di poco più di mille abitanti, con una popolazione scolastica che nell'high school non raggiunge i 200 ragazzi, la maggior parte dei quali abbandonerà la scuola dopo il diploma; eppure, quando la vecchia scuola superiore fu danneggiata dal tornado, la comunità locale decise di costruire un nuovo edificio adeguato ai tempi.
Oggi studenti e insegnanti possono contare su aule informatiche all'avanguardia (e costantemente aggiornate), su una biblioteca che farebbe impallidire molte biblioteche civiche italiane, su laboratori scientifici e tecnici che molti nostri atenei possono solo sognare, su una palestra che per i nostri standard è un palazzetto dello sport. Più in generale, colpisce una sensazione di cura e attenzione per tutto ciò che circonda i ragazzi durante la loro vita scolastica.

La palestra principale della Stockton High School
È inevitabile il confronto con le nostre scuole superiori dove, anche in una città ricca come Modena, le aule di informatica sono ancora oggi un'eccezione, mentre la regola sono edifici fatiscenti, se non addirittura pericolosi o per instabilità strutturali o per la presenza di Eternit.
Un confronto impietoso e deprimente, soprattutto quando si considera che in un paese dalla ricchezza culturale straordinaria come il nostro, un serio investimento sulla scuola potrebbe essere uno dei principali punti di svolta per uscire dalla crisi che ci attanaglia.
Per la cronaca, i Tigers hanno perso 12 a 28 contro i Comets di Marionville, ma non solo perché come dice un ex compagno di squadra: “Paolo Battaglia si trovava nella parte sbagliata del campo. La tribuna”.
Questa è la ottava puntata dell'Italian American Country, un tour di 6.000 miglia e 15 tappe attraverso gli USA alla scoperta degli italoamericani che vivono nelle piccole comunità. Da questo viaggio nasceranno un libro fotografico e un documentario che vedranno la luce nella primavera/estate del 2015.
Il progetto è nato a seguito della pubblicazione del libro Explorers Emigrants Citizens edito da Anniversary Books e disponibile su Amazon.