Negli Stati Uniti, c’è una nuova forma di disagio che attraversa la classe medio-alta. Parliamo di famiglie con redditi tra i 200.000 e i 350.000 dollari all’anno: tecnicamente benestanti, spesso in cima al 10% della popolazione per reddito, ma sempre più sotto pressione. Vivono in belle case, mangiano biologico, iscrivono i figli a sport e scuole private, eppure non si sentono ricchi. Anzi, molti faticano a pagare l’università o a comprare casa.
Secondo il Wall Street Journal, è il segnale di un cambiamento più profondo. Il costo della “vita da upper-middle class” – che un tempo era sinonimo di stabilità – è cresciuto più dei redditi. Le famiglie che rientrano in questa fascia si trovano strette tra inflazione, mutui, prestiti scolastici e una pressione sociale costante a mantenere standard elevati.
In California, ad esempio, si inizia a parlare di vera ricchezza solo sopra i due milioni di dollari annui. Chi guadagna meno, pur stando molto sopra la media nazionale, rischia di sentirsi inadeguato. È un effetto ottico che nasce dalla vicinanza con la fascia più alta: chi vive accanto a chi ha stock options, rendite o eredità milionarie, tende a misurarsi con quei parametri – e perde il senso di proporzione.
Questo fenomeno ha un nome: malessere da benessere. Non si tratta di povertà materiale, ma di un senso crescente di insicurezza e ansia in una fascia che, almeno in teoria, dovrebbe sentirsi al sicuro. E proprio questo è il punto: l’ideologia del successo americano ha spostato l’asticella talmente in alto che persino chi ce l’ha fatta si sente in ritardo.
Il sistema non nega più la disuguaglianza, la mette in scena. E mentre mostra i suoi eccessi – i super-ricchi, i miliardari filantropi, le startup etiche – offre una narrazione in cui chi è “solo” benestante finisce per sentirsi parte del problema. Così, anche chi ha molto finisce per vivere come se avesse poco.
Il risultato? Una classe che consuma come i ricchi, ma si indebita come i poveri. Che vuole sicurezza, ma vive di ansia. E che alimenta il sistema mentre ne subisce gli effetti. Più che una contraddizione, è un equilibrio instabile. E forse, uno dei segnali più chiari che il benessere, oggi, non è più una condizione ma una performance.