“Il mio mondo in bianco e nero? Macché, io vivo tra i colori. Il marmo è anche blu, è arancione, venato di verde o di oro. La rifrazione della luce ne cambia l’aspetto e lo rende ogni volta più sorprendente. Sono una privilegiata a stare in mezzo a tanta bellezza”
Annalena Tappeiner è una ragazza altoatesina classe 1996. Coraggiosa. Molto speciale. È l’unica donna a lavorare in una cava di marmo: Acqua Bianca a Lasa, in Val Venosta, 1.567 metri di altitudine nel Parco nazionale dello Stelvio. Fra blocchi che hanno 400 milioni di anni, una quantità stimata in 500 milioni di metri cubi.
Da diciotto mesi si sveglia la mattina prima dell’alba. Fuori è ancora notte: parte che è buio e con 16 colleghi maschi sale in quota. Entra nella galleria: tutto è scuro lì dentro, illuminato solo dai generatori elettrici che punteggiano i percorsi interni. D’inverno la temperatura scende sottozero e l’umidità di sente eccome. Dieci ore dopo, quando esce, Annalena trova di nuovo il buio: per un cavatore la luce del sole non arriva mai.
Com’è arrivata nella cava?
Partiamo da lontano. La scuola non faceva per me, mi sentivo male inchiodata al banco. Sono una che fa, non imparo nulla ascoltando passivamente la lezione. Così mi sono messa a lavorare appena ho potuto: commessa in un panificio. Mi ha fatto capire molte cose, era ora di cambiare tutto. Radicalmente
E così?
Me ne sono andata lontano: in Australia come ragazza alla pari. Niente montagne, spazi enormi, il mare, l’oceano. Un’esperienza di 11 mesi fondamentale. Con i soldi guadagnati mi è venuta voglia di viaggiare: destinazione Nuova Zelanda. Altra corsa, altro giro. Mai ferma.
Però alla fine della fiera è tornata a casa.
Mi mancava la valle. Sui monti ritrovo le radici: avevo bisogno di riassestare il mio equilibrio. Sono tornata a scuola. Tre anni all’istituto tecnico professionale per scalpellini a Lasa: ho imparato molto e nel 2020 ho incorniciato il diploma.
Ci siamo quasi?
Mia madre ha letto un annuncio sul giornale: la Lasa Marmo, un simbolo nella valle da oltre un secolo, cercava personale. Mi sono presentata al colloquio. Prima domanda: lei è interessata a un posto in amministrazione? Risposta: no, grazie, voglio andare in cava. Ho firmato il contratto quel giorno stesso.
Un lavoro da uomini in mezzo a soli uomini: non tanto facile.
Il primo giorno mi guardavano diffidenti. Dicevano: vediamo quanto durerà. Era impensabile vedere una ragazza lì. Sia per una questione fisica, sia per i pregiudizi. Ma le macchine facilitano il lavoro. Una volta tutto veniva fatto a mano: per tagliare un blocco servivano due settimane, oggi bastano sette ore.
Com’è entrata nel mondo dei maschi?
Lavorando tanto e bene. Dandomi da fare senza risparmio. Imparando in fretta. Quando hai la faccia bianca di polvere sotto gli occhialoni protettivi non c’è differenza fra uomo e donna. Ho guadagnato il loro rispetto giorno per giorno.
Qual è il momento più bello nella cava?
Quando si spengono tutte le macchine. Resti lì davanti alle gigantesche pareti di marmo con attorno il silenzio: sembra di stare in una cattedrale. Momenti in cui avverti la grandiosità della natura.
Che sensazioni dà il contatto con il marmo?
È liscio e freddo, eppure ha un’anima viva. Da grezzo diventa lucido. La struttura cristallina è resistente al gelo e impermeabile all’acqua. È purissimo: la materia perfetta.
Che cosa la emoziona?
Pensare che un blocco tagliato da me vada a comporre la Moschea di Abu Dhabi, la stazione ferroviaria di Monaco di Baviera, la torre di Isozaki a Milano. Oppure diventi l’opera di uno scultore.
Lì dentro avverte il passare delle ore?
Non è un tempo sospeso. Il tempo vola quando si lavora come facciamo noi.
Un lavoro non privo di rischi…
Serve attenzione massima. C’è un margine di imprevedibilità quando il bancone della pietra si apre al diamante. E devi saper manovrare le macchine. Io ho avuto buoni insegnanti: i colleghi mi hanno spiegato come si fa.
Tutti la cercano, tutti vogliono sentirsi raccontare la storia di Annalena. Gli altri sono contenti della sua popolarità?
La maggioranza sì. Certo ci sono anche gli invidiosi.
Com’è la sua vita fuori dalla cava?
Abito a Rablà, una frazione di 1400 persone: metà maschi e metà femmine. Vado a casa e mi rilasso suonando il piano. Canto canzoni tristi. Poi lavoro all’uncinetto davanti al camino, con una tazza di tisana calda e il mio gatto. Chiacchiero con Romina, l’amica che abita con me. Ho il tempo di pensare, riflettere. D’estate arrampico in Val Martello, paradiso degli escursionisti.
E gli amici?
Sanno che mi annoio a passare la serata al bar o in discoteca. Non spasimo per i social. Se vogliono vedermi vengono a casa mia e stiamo bene insieme. Quando ho spiegato che sarei andata a lavorare nella cava hanno detto: se c’è una che può farlo, quella sei tu
L’uncinetto, i tatuaggi e due piercing. Tradizione o modernità?
Un misto, senza regole fisse. So che niente è per sempre: mi piace cambiare. I tirolesi sono gente chiusa e la loro mentalità sta stretta ai ragazzi che scappano via dalla Val Venosta. C’è ancora tanto da fare sul versante dei ruoli, dei generi, della parità, degli stereotipi.
Dove sarà Annalena fra vent’anni?
La immagino circondata da cani e gatti. La vedo in una casa sua, in mezzo ai fiori e con un prato attorno.
Che cos’altro vede?
Una figlia. Una ragazza che potrà fare ciò che vuole. E tutto quello che oggi pare straordinario per lei sarà la normalità.