Andrea Guerra è una delle eccellenze musicali italiane più apprezzate a livello internazionale. Tra i suoi lavori di successo indiscusso troviamo successi clamorosi come La Ricerca della Felicità (The Pursuit of Happyness) con protagonista Will Smith per la regia di Gabriele Muccino o Hotel Rwanda, acclamato film drammatico con Don Cheadle e Nick Nolte. Molto conosciuto all’estero, soprattutto in America, dove è stato infatti inserito anche nell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences (AMPAS) che vota per assegnare i premi Oscar a Los Angeles. Tanti i premi che ha ricevuto in carriera; ricordiamo il premio Top Box Office Films che gli è stato conferito nel 2007 dall’ ASCAP (American Society of Composers, Authors and Publishers) per la colonna sonora de La Ricerca della Felicità; quello del 2005 come miglior compositore allo European Film Award (l’Oscar europeo) per Hotel Rwanda; ha anche ricevuto la nomination ai Golden Globe e ai Grammy Award per la canzone finale sempre del film Hotel Rwanda (Million Voices, scritta in collaborazione con Wyclef Jean, artista americano di origini haitiane, e con il compositore haitiano Jerry Duplessis); nel 2017 a Venezia gli è stato assegnato anche il prestigioso premio Soundtrack Stars 2017, ricevuto alla 74ª Mostra internazionale d’Arte cinematografica (non parliamo degli altri numerosi riconoscimenti in carriera come David di Donatello, Globo D’oro, Nastri D’Argento, Ciak d’Oro, Italian Music Award).

Andrea, hai composto più di 100 colonne sonore per film di vario genere, ed hai lavorato con registi di fama internazionale; ne citiamo qualcuno: Ettore Scola, Rob Marshall, Terry George, Griffin Dunne, Maneesh Sharma, Zhang Yuan, Ferzan Ozpetek, Giuseppe Bertolucci, Gabriele Muccino. Con quali di questi hai potuto esprimere più compiutamente la tua creatività, se si può chiedere? E perché ci sei riuscito meglio che con altri?
“Alla base di uno scambio di creatività esistono la confidenza e la fiducia, e questo si traduce nel lavorare per più tempo e con tranquillità, andando quindi in profondità nel linguaggio. Come potrai immaginare, quindi, il lungo sodalizio è alla base di un buon lavoro. Grandi sodalizi della storia del cinema come quelli Leone-Morricone, Spielberg-Williams, Fellini-Rota, Almodovar-Iglesias hanno portato alla scrittura di capolavori. Con Ferzan Ozpetek ho avuto un’intesa molto proficua; con Gabriele Muccino una esperienza in comune straordinaria. In questi anni, infine, con Riccardo Milani stiamo avendo uno splendido rapporto che ci da grandi e reciproche soddisfazioni, e a me è servito per capire a fondo il suo stile. Bertolucci e Scola sono due amici di vecchia data fin dal primo giorno che li ho conosciuti. Fantastici”.

Chris Gardner Gabriele Muccino Will Smith Andrea Guerra
@Pietro Coccia-GRANATA IMAGES
Nel 2015/16 ti sei dedicato alla scrittura della musica per il film indiano Fan, di genere drammatico. L’attore principale del film era la star di Bollywood Shah Rukh Khan e la regia era di Maneesh Sharma. Quali sono le principali caratteristiche del cinema firmato da registi stranieri rispetto a quello fatto da registi italiani, secondo te?
“C’è una mutazione in corso nel cinema indiano. La trasformazione – da musical con danze al vero e proprio cinema di immagini – sta prendendo piede, così anche il ruolo della musica sta cambiando. E’ una mutazione dolorosa per noi occidentali; è rimasta ad esempio la struttura a “quadri” tipica per mettere in scena le coreografie e che è una eredità narrativa interiorizzata. Il concetto di bellezza e riuscita dello spettacolo in India prevede che si attraversino tutte le fasi narrative. Dramma, situazioni grottesche, commedia, amore, thriller, situazioni patetiche: ciò proviene dalla loro storia letteraria e religiosa. Un film indiano deve contenere tutto questo. Le canzoni e le danze si prestano perfettamente a questi cambi repentini, anzi: li magnificano; questa mutazione verso un cinema più tradizionale invece deve adattare un racconto più identitario e unico, che può smarrire l’intensità nelle singole emotività”.
Una lunga esperienza come compositore che parte da lontano e che si è sviluppata con successo e consacrazione di critica e pubblico: quali sono state le armi vincenti nel tuo lavoro?

“Mi rende molto orgoglioso essere nelle accademie che reputo più importanti del pianeta, cioè Oscar-EFA (l’Oscar europeo), i David Donatello, l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences.
Sono stato fortunato ad avere una vocazione pittorica, cioè ad avere la vista tra i miei sensi di raccordo. La musica da film è stato il mio modo di dipingere, arte che adoro ma che non ho incontrato nella roulette della scelta degli studi da ragazzo. Guardare è il mio spartito; poter dare senso, molteplicità, punteggiatura ed anima alla proiezione è proprio un godimento che ha reso il mio lavoro una passione. In aggiunta, ho avuto la fortuna di poter essere per generazione uno dei compositori che ha potuto scrivere musica e sperimentare guardando il film, perché la tecnologia lo ha permesso (mentre la generazione precedente poteva solo ricordare il film visto in moviola). Una grande differenza. Dopo il lavoro musicale, era una mania e un hobby quello di guardare la televisione senza volume ed ascoltare la filodiffusione per ore e scrivermi gli abbinamenti che scaturivano casualmente, per arrivare a ciò che non riuscivo ad inventare con il ragionamento. C’era molto da scoprire”.
Non scrivi solo per il Cinema, ma anche per la tv: quali le differenze di scrittura musicale nei due ambiti?
“Tante, basti pensare che il cinema domina con la sua dimensione e parla per immagini, quindi nel linguaggio dei sogni; la televisione, invece, attraverso la parola – quindi, per concetto – E’ proprio molto diverso. A me piace tanto anche scrivere per la televisione proprio per questa diversità. Mi insegna tanto”.
Il 7 Ottobre è uscito al Cinema “La Scuola Cattolica”, pellicola tratta dal libro omonimo di Edoardo Albinati, per la regia di Stefano Mordini. Distribuito da Warner Bros.Pictures, questo film racconta una storia di rapimento, omicidio e di stupro accaduti nel 1975, tragicamente passati alla storia come il delitto del Circeo, e porta con sé una importante polemica da ancora prima del debutto nelle sale: è vietato ai minori di 18 anni. Senza entrare nel merito della questione – ne dibatteranno ampiamente i critici cinematografici – vorrei che tu parlassi delle musiche che hai scritto per questo film, e spiegassi da cosa sei stato influenzato artisticamente per trattare un film cosi’ drammatico.

“Con Stefano Mordini è stato un incontro molto stimolante, una sorpresa. Molto dialogo durante la scrittura, un lavoro sui concetti e poi addirittura sul metodo. Ho anche convinto Stefano su alcune scelte particolari che preservavano il senso della struttura del film sacrificando magari l’effetto sulle scene singole. Anche il montaggio è stato rivisto in questo senso. Abbiamo dovuto ricominciare più volte. Il film è corale e rappresentava uno spaccato ampio e specificatamente storico. Servivano una punteggiatura ed una identificazione narrativa. Per questo l’uso della musica classica per rappresentare una cornice di punto di vista artistico ed ineluttabile, una ricostruzione storica attraverso sonorità di canzoni rock e pop e perfino l’uso delle sonorità della musiche contemporanee colte molto in voga in quell’epoca, per dare alle situazioni di tensione un senso narrativo e di verità (al di là del genere). Il Maestro Luca Salvadori, mio collaboratore e co-orchestratore storico, in questo è stato un grande, ed il suo apporto fondamentale. Un lavoro tutto pianificato che ci ha realizzati profondamente oltre la bellezza tematica. E’ stato un fantastico progetto di costruzione della struttura che, prima dell’apporto della colonna sonora, non era così funzionale”.
I tuoi prossimi progetti?
“Attendo l’uscita dell’ultimo film di Roberto Faenza e di Kim Rossi Stuart che ho appena terminato, e sto incominciando il nuovo film di Riccardo Milani. Mi riserverei di raccontarteli magari più avanti”.

Una domanda inevitabile, in chiusura: essere figlio di un poeta, scrittore e sceneggiatore come Tonino Guerra è qualcosa che ha segnato per forza la tua vita e la tua preparazione culturale (vorrei ricordare che a tuo padre – dalla collaborazione con il regista ferrarese Michelangelo Antonioni – giunse anche la candidatura al premio Oscar nel 1967, per il film Blow-Up). Quale il lascito, l’insegnamento, il tratto più importante che hai ereditato da tuo padre?
“Guarda ti stupirò: mio padre è stato completamente assente. La mia famiglia si è sciolta in un divorzio che avevo un anno di età, e nelle mie memorie la figura paterna non è esistita. Tutto ciò che è avvenuto è stato merito di mia madre Paola, che ha cresciuto me e mia sorella Costanza in un’epoca in cui ancora il divorzio non esisteva. Successivamente, il riavvicinamento con mio padre: avevo una trentina d’anni ed è stato molto amichevole, benché per un istinto emotivo non ho mai voluto foto insieme, che infatti non troverai in giro, se non quelle fatte in un periodo molto avanzato. Non rispondevo mai neanche a domande su mio padre: indirizzavano alla tipicità del figlio d’arte che non mi piaceva affatto, e non rendevo giustizia a mia madre; e poi, il tutto era beffardo nel mio caso. Devo dire però che poter vedere un esempio di successo così da vicino è stato molto importante, e mi ha fatto capire che l’impegno e la determinazione e la bellezza di tutto il gioco dell’arte potevano essere realizzati: ne avevo prova tangibile, e nei momenti complessi è stato un esempio importante”.