L’attrice Evelina Nazzari, dopo aver frequentato il celebre Studio Fersen di Arti Sceniche a Roma – frequentato a suo tempo anche da Pier Paolo Pasolini, Dario Fo, Grotowski, Andy Warhol – debutta nel ruolo di Rossana nel Cyrano de Bergerac (traduzione italiana di Franco Cuomo), per la regia di Maurizio Scaparro, più volte ripreso con grande successo, tra l’altro a Parigi (Palais de Chaillot) nel 1981.
Da allora, ha lavorato in cinema, in tv e soprattutto in numerosi teatri italiani accanto ad attori ed attrici come Pino Micol, Alida Valli, Carlo Giuffrè, Martine Brochard, Ottavia Piccolo, Duilio Del Prete, Arnoldo Foà, Ileana Ghione, Paola Quattrini.

Evelina è donna ed artista versatile, e ci piace sottolineare di lei, tra le sue più interessanti interpretazioni teatrali, la prima rappresentazione in Italia (nella stagione 1994-95) de La deposizione, della canadese Hélène Pedneault: un dramma psicologico a due personaggi, presentato ad Avignon nell’ambito del festival 1994. In carriera, finora, ha ricoperto ovviamente tanti altri di ruoli di rilievo, come quello di Maria Antonietta (prima assoluta) di Stefania Porrino, in cui ha impersonato la regina dai 15 anni fino alla tragica morte. E’ proprio il caso di dire che ad Evelina l’arte scorre probabilmente nel sangue: un padre come il suo si presuppone che lasci una forte impronta genetica. Da alcuni anni, Evelina si dedica anche alla scrittura, teatrale e narrativa. Il motivo del nostro incontro è un omaggio alla figura di Amedeo Nazzari; consideriamo la fortunata stagione dei melodrammi della prima metà degli Anni 50, e suo padre ne è stato un interprete indimenticabile. Il 5 Novembre ricorre l’anniversario della morte del grande Divo, scomparso a Roma nel 1979: la nostra sarà pertanto una chiacchierata-omaggio riguardante un talento italiano della golden age del nostro Cinema. A Evelina la parola; nell’intervista, questa figlia d’arte si riferirà a lui – padre amatissimo – talvolta chiamandolo con il nome di battesimo, indicativo in realtà di una reverenza professionale da attrice.
Tuo padre Amedeo Nazzari aveva origini sarde. Cosa conservava delle sue origini?
“Mio padre è nato a Cagliari nel 1907, da madre vicentina (Argenide Nazzari) e padre cagliaritano (Salvatore Buffa). Aveva due sorelle che, per un curioso accidente, portavano lo stesso nome: Noemi. Quando aveva circa 7 anni suo padre morì tragicamente (per approfondimenti, suggerisco la lettura di due miei libri: Amedeo Buffa in arte Nazzari e Spesso sono arrivata seconda) e la madre, con i tre figli, si trasferì a Roma, a casa della sorella Gisella Nazzari Beltrame. Mise i figli in collegio (mio padre dai Salesiani) e trovo’ un impiego. Amedeo dimentica completamente l’accento sardo e a me racconta poche cose dei suoi primi anni: quando giocava sulle saline, la sabbia evanescente come cipria, le scenate di gelosia da parte di suo padre a sua madre e, soprattutto, gli spaghetti che penzolano nell’essiccatoio del pastificio di suo padre Salvatore”.
Sono oramai 42 anni che tuo padre ci ha lasciati: quale pensi sia la sua eredità artistica più grande e quella umana più importante, come genitore?
“La sua eredità artistica è senz’altro il rigore professionale. Quella umana, invece, la bontà e la generosità. Gli riusciva malissimo essere veramente cattivo. Questo non gli impediva, ogni tanto, di saper alzare la voce e mandare una persona a quel paese! Ricordo una volta in cui, su istigazione di mia madre, dovette rimproverarmi severamente: beh, sembrava che recitasse in un film!”.
E’ al collegio dei Salesiani che Amedeo Nazzari matura la sua vocazione artistica fin dalle prime recite scolastiche, per poi passare ai palcoscenici delle filodrammatiche e arrivare infine, dopo aver abbandonato gli studi di ingegneria, al teatro vero e proprio. Questo perlomeno recita la sua biografia. Come hai vissuto tu, da figlia, la carriera di questo padre bello, vigoroso, amato dalle donne e di successo? Regalaci qualche ricordo.
“Quando sono arrivata nella sua vita, Amedeo era già (suo malgrado e del tutto ingiustamente) sul viale del tramonto. Era incapace di fare pubbliche relazioni e pensava di non averne bisogno. Ma i tempi erano cambiati, e per poter lavorare, invece, bisognava frequentare l’ambiente. Mia madre gli diceva: Amedeo, oramai anche il pizzicagnolo deve fare pubbliche relazioni. Rispondeva lui: Mi conoscono; se mi vogliono, mi chiamano. Quindi, lavorava meno. Era una vecchia gloria che, a volte, recitava la parte del protagonista in un film minore, altre volte compariva in un cameo di un film di successo. E questo non faceva bene al suo umore e alla sua psiche, abituato com’era ad aver lavorato ininterrottamente per trent’anni di seguito (fra i 10 anni di teatro e i circa 150 film). Personalmente ho il ricordo di un uomo sconfitto che, paradossalmente, avrebbe avuto invece ancora molto da dare e che, forse, era in età matura anche diventato più bravo nel suo mestiere!”.

Fu Anna Magnani a intuire le sue doti: giovane artista allora emergente e moglie del regista Goffredo Alessandrini, Nannarella insistette con suo marito affinché Amedeo Nazzari facesse parte del cast di Cavalleria. Fu un successo: il film, presentato a Venezia alla Mostra del Cinema e poi proiettato in tutte le sale d’Italia, fu uno dei maggiori incassi del 1936.
“Vero; girò Cavalleria per questo motivo che dici. Anche se, all’inizio, Amedeo non voleva. Il suo primo film, Ginevra degli almieri, non era andato bene e, soprattutto, lui non si era piaciuto. Lo avevano contattato mentre recitava l’Edipo a Colono al Teatro Greco di Siracusa. Lui rifiutò di tornare a Roma per un provino, ma si fece fare, dal fotografo di piazza, alcune fotografie su un ronzino disegnandosi i baffetti con la matita del trucco, aggiungendo, nel telegramma alla produzione, C’è un mio film in circolazione, andate a vedere quello, e se vi piace… Chiese anche una cifra più alta di quella proposta dalla produzione e, dopo lunghe trattative, gliela concessero. Dovette anche fare un corso di equitazione (forse a Pinerolo), perché a cavallo non ci sapeva andare. Alla fine fu scritturato, e il suo secondo film fu la sua fortuna”.
La notorietà: come l’ha vissuta?
“Certo, il successo gli faceva piacere. A chi non farebbe questo effetto? Era pero’ fondamentalmente schivo, e l’impossibilità di fare dieci passi per strada senza essere fermato da tanti ammiratori lo infastidiva, a tal punto che qualche volta fingeva di essere un suo sosia, o suo fratello. Non credo ci siano delle vere e proprie tappe, nella sua carriera. Ha fatto veramente di tutto: film di cappa e spada, commedie brillanti, drammi ottocenteschi, film di qualità e film – come si suol dire – per guadagnare la “pagnotta”. Ha cominciato con Cavalleria nel 1936 e ha lavorato ininterrottamente fino agli Anni 50; meno negli Anni 60 e 70. Ha avuto tantissime partners (Anna Magnani, Alida Valli, Lilia Silvi, Clara Calamai, Yvonne Sanson, Myriam Bru, Silvana Mangano, Giulietta Masina, Ava Gardner e tante altre) ed è andato sempre molto d’accordo con tutte, tranne una (non ne rivelo il nome, però)”.
Recita wikipedia: Richiestissimo anche all’estero, si recò prima in Spagna per interpretare tre film, poi in Argentina, dove però gli proposero di recitare la parte di un italiano criminale e corrotto. All’idea di dover diffamare il suo paese, Nazzari rifiutò di adempiere al contratto e la notizia giunse addirittura a Evita Perón che, dopo essersi fatta illustrare il copione, prese le difese dell’artista e gli offrì di rimanere comunque in Argentina per visitare il paese e per conoscere personalmente molte famiglie di italiani emigrati. Bhè, è un episodio interessante su cui soffermarsi.
“La storia è più o meno quella descritta. Mio padre mi raccontava la sensazione di stupore quando, forse una volta o due, si era trovato a fianco della Perón mentre riceveva i cittadini (“i sudditi”, in qualche modo), che andavano a chiedere favori, spesso denaro. E lei apriva un cassetto e distribuiva soldi: banconote a destra e a manca; ma è vero che ascoltava, anche, le lamentele di questo e di quello”.

Quale dei film melodrammatici di tuo padre ti piace particolarmente, e cosa ne pensava lui?
“La verità? A me non piace nessuno dei film della serie melodrammatica di Raffaello Matarazzo. E, francamente, li confondo un po’. Credo che siano un importante fenomeno sociologico. Dopo la guerra, la gente aveva bisogno di piangere per le disgrazie altrui, e i cosiddetti film “strappalacrime” realizzavano pienamente questa necessità. La gente lo fermava e gli diceva, Quanto mi sono divertito con quei film signor Nazzari, ho pianto tanto! Quello che ne pensava mio padre non lo so; so solo che lui come uomo ed attore non rinnegava niente”.
Accenniamo un attimo al film Le notti di Cabiria di Federico Fellini (1957) con Giulietta Masina. Come te li descriveva tuo padre questi due mostri sacri?
“Credo che mio padre si sia trovato benissimo sia con Fellini che con la Masina; erano un regista (grande e visionario) e un’attrice (bravissima). Li ammirava molto, ma non li frequentava, e non me li ha mai descritti come mostri, tantomeno sacri. Le notti di Cabiria è uno dei miei film preferiti, e il cameo di papà ritengo sia fantastico”.
Nel 1957 Amedeo Nazzari sposa Irene Genna, attrice italo-greca, dalla quale un anno più tardi nasci tu, Maria Evelina, che hai proseguito la professione paterna.
“Ho fatto l’attrice perché da piccola l’unica cosa che sapevo fare bene a scuola era recitare poesie. E perché in casa si parlava quasi solo di spettacolo. A 19 anni ho fatto un provino con Maurizio Scaparro che cercava la protagonista femminile del Cirano di Rostand. Con alle spalle un solo anno di scuola di recitazione sono stata scelta e ho fatto una tournée di otto mesi, vedendo tra l’altro i teatri più belli d’Italia. Una vera ubriacatura! E’ un lavoro che appassiona, anche se io sono estremamente timida. Il lavoro dell’attrice è un percorso ad ostacoli; ho fatto tanti spettacoli, a volte uno dietro l’altro, altre volte aspettando per mesi una scrittura. Non mi sono specializzata in teatro. Credo che un attore debba conoscere ogni mezzo di espressione. Mi è anche capitata un po’ di TV e pochissimo cinema. Diciamo che è il teatro ad avermi scelto: finora è andata così”.
Da Hollywood giunse a tuo padre la proposta di girare un film con Marilyn Monroe, ma lui è noto che rifiuto’ per la difficoltà di recitare in inglese e per il timore di cadere nel ridicolo nelle scene di canto e di ballo (il film, Facciamo l’amore, sarà poi effettivamente realizzato con Yves Montand). E’ stato uno dei rimpianti di tuo padre?

“Mio padre era un vero orso, diciamolo. Quando andò a Hollywood, sulla scia del successo de Le notti di Cabiria, avrebbe potuto giocare meglio le sue carte. Lui pero’ preferiva i ristorantini in tête à tête con la sua giovane moglie alle feste sfarzose nei locali e nelle ville delle star. E poi non sapeva bene l’inglese; era questo che, anche, probabilmente, gli toglieva sicurezza. In quale modo però andarono realmente le cose non so dirti”.
Grazie a un timbro di voce profondo e virile, in linea con il suo personaggio, Amedeo Nazzari è uno dei pochissimi attori italiani della sua epoca a non essere mai stato doppiato. A partire dagli Anni 70, diradò sempre più gli impegni televisivi e cinematografici a causa di problemi di salute. Nel 1979 ci ha lasciati. Che età avevi tu quando è morto, pochi mesi prima che gli dessi il primo nipotino, Leonardo?
“Avevo 21 anni: troppo giovane per perdere un padre col quale avevo da poco avviato un rapporto adulto”.
Hai qualche recriminazione da farti nel tuo rapporto con lui? Qualcosa che avresti voluto dirgli – intendo – e non hai fatto in tempo o non hai avuto il coraggio di dire?
“Tutto. Avrei voluto dirgli proprio tutto: parlare con lui del lavoro appena intrapreso, parlare di come vedevo i rapporti umani, di come vedevo la vita… Mia madre aveva spesso fatto da tramite, ma anche un po’ da schermo, e lo stavo scoprendo proprio negli anni in cui si è ammalato. Ho solo fatto in tempo a dirgli che lo amavo. Sì, questo lo sapeva”.
La comunità degli italiani all’estero conosce la storia artistica di papà. Dove era particolarmente famoso?
“Non so bene rispondere; comunque lo era sicuramente in Francia, Spagna, Grecia, Argentina. Negli Anni 60 fece una specie di tournée in Canada; era uno show (con altri personaggi famosi) concepito proprio per gli italiani all’estero. So che ebbe molto successo”.
Progetti sul tuo futuro? Ci anticipi qualcosa?
“Da qualche anno scrivo. L’ultimo nato è Spesso sono arrivata seconda (vagabondaggi autobiografici di un granello di sabbia), in cui parlo, naturalmente, anche di Amedeo. Probabilmente cercherò di riportare in scena un mio testo teatrale, che ha già avuto un suo piccolo percorso, qualche anno fa. Si intitola Torna fra nove mesi, ed è la storia del percorso di lutto di due donne, forse due voci della stessa madre. Covid permettendo”.
Concludiamo dicendo che Evelina – che ha sempre conciliato l’impegno nella interpretazione di novità assolute, soprattutto di giovani autori, con una presenza assidua ed applaudita nei grandi classici del repertorio teatrale, da Goldoni (Il bugiardo), a Albee (Honey, in Chi ha paura di Virginia Woolf?), da Cekov (Il giardino dei ciliegi, Zio Vania) a Wilde (Un marito ideale), da Ibsen (Nora, in Casa di bambola) a Giraudoux (Andromaca, ne La guerra di Troia non si farà), senza peraltro trascurare autori più “leggeri” (Neil Simon, Jean-Noël Fenwick) – tra le sue ultime e più apprezzate interpretazioni ha proprio Torna fra nove mesi, da lei stessa scritto con il vero nome di Maria Evelina Buffa, e Ventiquattr’ore della vita di una donna, adattamento teatrale dalla novella di Stefan Zweig.