Il party era finito. Era stata presentata alla stampa la statua di un giovane atleta greco ripescata dal mare. Andai alla Mercedes che mi doveva riportare in albergo. Nel buio dell’abitacolo il bronzeo atleta in carne ed ossa mi tese il braccio per aiutarmi ad entrare presentandosi: “Sono l’ambasciatore di…” Ci guardammo: la stessa emozione attraversò entrambi. Il tragitto fu breve e percorremmo in un minuto gli ampi saloni di marmo che conducevano all’ascensore per salire alle nostre camere. Stavamo per lasciarci per sempre. Non lo volevamo. Il bar era ancora aperto e lui mi invitò a bere qualcosa.
Se c’è una cosa che detesto è bere, perché sono astemia e odio i cocktail. Passammo la nottata a bere: lui alcolici ed io succhi di frutta. Ogni tanto uno dei due si scusava e andava in bagno. Era un uomo avvenente e molto chic; ma io ero completamente padrona di me stessa, lui sempre più brillo. Mi raccontò la sua vita e che proprio il giorno prima aveva divorziato dopo dieci anni di matrimonio. Osservò che il nostro incontro era un segno del destino. Erano le quattro del mattino quando mi disse che in dieci anni non aveva mai parlato tanto con sua moglie come con me quella notte. Per prendere le distanze, gli chiesi la sua età e rivelai la mia: avevo dieci anni più di lui. Rimase male, non ci poteva credere, ma dopo un po’ disse: “Ti attenderò un anno, anche due: decidi con calma”.
Succedeva un paio di anni fa, e non sono più giovane; P. è stato uno dei tanti uomini giusti che ho incontrato nella mia vita. E per loro ero la donna giusta. Solo che io ho sempre scelto la mia libertà. Da molti anni ho un compagno che mi ha riconosciuta come donna libera, non come donna giusta. Io non volevo fare la moglie o la madre e non mi sono mai pentita. Ma mai mi sarei sognata di fare la madre senza essere moglie. Invece ora va di moda per affermare la propria indipendenza dall’uomo, salvo poi dipendere dal capo di un partito politico, che ti fa da apripista nel mondo del lavoro, dal tuo direttore e dalla famiglia d’origine che ti tiene in casa con il pargolo. Il capo è sempre un lui e tuo padre diventa anche il padre di tuo figlio. Ma che vita è?
Faccio queste osservazioni perché un paio di giorni fa ho letto, provando grande tristezza, sulla prima pagina di un quotidiano la dichiarazione di una giornalista che diceva che si era fatta impiantare un seme di un donatore anonimo (a pagamento: un termine ipocrita) per diventare mamma da sola perché “non ho ancora trovato l’uomo giusto”.
E ora lo dico: che brutto termine “l’uomo giusto”. La signorina in questione non si è chiesta come mai lei non sia stata considerata la donna giusta da nessun uomo? Probabilmente si è dimostrata una donna presuntuosa, superficiale ed egoista. L’uomo non è mica un vestito che deve calzare a pennello e il suo seme non serve mica per sfornare un bambolotto a propria immagine e somiglianza. La tale ha studiato economia e forse ha una deformazione professionale: mette i pregi e i difetti degli uomini nelle colonne di dare ed avere. Siamo esseri umani, siamo carne e sentimenti, debordiamo dagli incasellamenti. Niente è come sembra, niente dura, ma ci sono amori che almeno nei sogni durano per sempre. Un figlio deve essere un atto d’amore, magari di una sola notte, ma non lo si può privare del sapere che è stato voluto, che ha un padre. Un figlio ha bisogno di certezze, di rapportarsi con la figura maschile e non basta un nonno giovanile per ricoprirla. Né si può essere così egoisti da affermare: “Mia figlia mi darà la forza”. Ma come fai a procreare una figlia con il fine di farti sorreggere sentimentalmente?
Quando ero ragazza, la più grande vergogna per una famiglia era che la propria figlia ritornasse a casa incinta. Risolsi prendendo la pillola. Ora il problema invece è riuscire a farsi inseminare. In un caso e nell’altro la variante determinante dell’Amore non viene presa in considerazione. Io ho vissuto per l’amore e non me ne pento. Ho rinunciato a vite agiate, mariti giusti, lavori giustissimi per non dover dire “sissignore”, ma ho sempre avuto la fila di uomini fuori dalla porta, anche ora. Non è questione di bellezza, è come ti rapporti con l’uomo. Che è il tuo amore, il tuo nemico, il tuo amico, ma non è un seme da spillare. Ovvio che la signorina di cui sopra non abbia trovato uno straccio d’uomo: gli uomini non sono mica dei kleenex. Né sono disposti a farsi spaccare le budella da una donna prevaricatrice, concentrata su se stessa.

Nelle mie fantasie sin da bambina mi sono sempre identificata con un’Amazzone, la donna forte per antonomasia. Le Amazzoni del mito si facevano inseminare da un popolo di soli uomini: tenevano le femmine e davano loro i maschi. Ma le loro figlie sapevano da chi discendevano. Ancora prima le sacerdotesse della dea Luna, certe che fosse il suo spirito a renderle pregne, per replicare se stesse tentavano attraverso riti sacri di procreare per partenogenesi, mutuando dal mondo animale la meiosi spontanea degli ovuli. (Spesso in questo caso gli individui concepiti sono di sesso femminile perché condividono il patrimonio genetico della madre). Poi si scoprì che era l’uomo a fecondare la donna: il re si univa con la sacerdotessa in un atto sacro talmente coinvolgente da condurre all’estasi.
La giornalista di cui sopra ha parlato con un certo tono di trionfo di aver notato il senso di impotenza dell’uomo davanti alla sua indipendenza partenogenetica. Gode di questo? Ci sono individui psicopatici, cioè sofferenti di anima, che non percepiscono emozioni, non sono capaci di provare amore. Certe donne, se non procreano, non si sentono donne: la religione cristiana ci ha insegnato che bisogna produrre il frutto, ma l’unione tra uomo e donna già produce un frutto interiore: l’Amore.
Socrate diceva: “Io so di non sapere, ma una cosa so: le cose d’amore, perché me le ha insegnate una donna”. E’ sempre la donna che si apre, che dà, che condivide. L’amore sessuale non è un mezzo, cara giornalista, è il fine. Non sai cosa ti perdi. Ti perdi la vita.