Era il 25 novembre 1960 quando un triplice omicidio tolse tragicamente la vita alle tre sorelle Mirabal. Patria, Minerva e Maria Teresa erano attiviste politiche del “Movimento 14 giugno” contro il dittatore della Repubblica Dominicana dell’epoca Rafael Leónidas Trujillo. Quel giorno, mentre le tre donne si trovavano in macchina vennero bloccate da agenti del Servizio di informazione militare, che prendevano ordini direttamente dal dittatore. I sicari, prima di inscenare un incidente stradale, le massacrarono di botte, le torturarono brutalmente, le stuprarono e infine le strangolarono.
Nel 1999 con la risoluzione 54/134, l’Assemblea Generale dell’ONU ufficializzò proprio il 25 novembre come la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Data scelta precedentemente anche da un gruppo di donne che nel 1981 si riunì a Bogotà nel Primo Incontro Femminista Latinoamericano dei Caraibi.

Nonostante gli sforzi per sensibilizzare l’opinione pubblica e i guadagni ottenuti, ancora a troppe donne vengono negati i loro inalienabili diritti e le libertà fondamentali. Non solo in Paesi dove la donna è trattata con inferiorità, ma anche nei Paesi sviluppati, il femminicidio è ancora un fenomeno molto presente. Almeno una donna su tre, dai 15 anni in su, subisce una qualche forma di violenza nella propria vita, che sia a casa, a scuola o al lavoro.
Gelosia estreme e possessione, spingono uomini rabbiosi, incapaci di accettare la fine di una relazione, ad uccidere la propria compagna o addirittura la madre dei loro figli. Si tratta molto spesso di uomini insicuri, che temono l’abbandono, uomini narcisiti, che hanno subito traumi nell’infanzia e che da adulti non sono in grado di impostare relazioni sane.
Le donne che si ingarbugliano in queste pericolose relazioni, molto spesso sono empatiche e sensibili, con un forte spirito missionario, capaci di soddisfare le esigenze del partner capriccioso, ma altrettanto insicure. Il contatto con questo genere di uomini le rende col tempo sempre più vulnerabili, impotenti, gli succhiano via le energie e si convincono di essere sbagliate, finendo così per non trovare mai il coraggio di ribellarsi. L’errore delle vittime è quello di sperare che questi uomini cambieranno per loro. Non lo faranno mai, perché sono persone incapaci di amare, aride e vuote.

(Foto di Nino Caré/Pixabay)
Avevo 23 anni quando decisi di farmi un bel regalo e affrontare una volta per tutte il mio ex fidanzato, chiedendo l’aiuto delle forze dell’ordine. Iniziavo a temere le sue imprevedibili reazioni, e mi sentivo come una di quelle ragazze raccontate dai telegiornali, che finiscono vittime di un fidanzato troppo geloso.
La mia era una “relazione tossica”, come purtroppo tante altre. All’inizio, “lui” si era venduto bene. Un classico di questi personaggi. Si mostrano brillanti e piacenti, ma poi, poco a poco, cominciano a svelare la loro vera natura, attuando un vero e proprio “piano di addomesticamento”. E il primo passo da buon predatore per sottomettere la compagna è ovviamente isolarla.
Con gelosie insane e non giustificate da eventi oggettivi, mi proibiva di vedere le mie amiche. O meglio, era lui a fare la selezione di chi potevo o non potevo frequentare. Le amiche che per i suoi standard erano troppo “libertine”, non erano adeguate a me, perché c’era il rischio che mi portassero via da lui. Le avvertiva come una minaccia. Ovviamente erano banditi gli amici uomini, e guai se provavo a rivolgergli la parola. Mi concepiva come un oggetto di sua proprietà. Ma non certo un oggetto da “adorare” e trattare con i guanti bianchi, anzi! Mi svalutava, mi criticava, mi faceva sentire inadeguata, non all’altezza, portandomi con il tempo a dubitare di me stesse. Con giochetti perversi, spesso con la tattica del silenzio, mi innescava sensi di colpa, fino a quando questi non erano abbastanza sufficienti da farmi piegare ai suoi piedi. Indossava la veste della vittima, e mi scaricava le responsabilità di tutte le discussioni. Negli anni, la mia autostima si frantumava. Diventavo sempre più debole mentre gli permettevo di manipolarmi. Alla fine in un qualche modo, secondo i suoi racconti, ero io la carnefice e lui la povera vittima indifesa. Già, perché lui infondo mi amava, ma ero io comportarmi male. Lui semplicemente “usciva fuori di testa” perché mi amava troppo. Era così che giustificava i suoi comportamenti: “se tu ti comportassi bene, io non avrei motivo di diventare così aggressivo“.

Era un abuso emotivo. C0sì lo hanno chiamato le mie psicologhe. Una forma di violenza psicologica, subdola, invisibile e silenziosa, grave tanto quanto quella fisica, e che può portare a conseguenze devastanti. Le donne possono esserne vittime inconsapevoli, poiché è una forma di violenza ancora a volte negata. Ma purtroppo, spesso, la violenza psicologica è l’anticamera di quella fisica. E infatti…
Un giorno, mentre eravamo insieme in un centro commerciale, un ragazzo che conoscevo, mi salutò ed io ricambiai. Il mio ex fidanzato si ingelosì in maniera spropositata e litigammo fino all’indomani mattina. Quando ci incontrammo per chiarire, la discussione degenerò. Eravamo in un parcheggio e durante il litigio cominciò a tirare pugni e calci contro la macchina. Io mi chiusi dentro per paura. Lui mi intimava di scendere, tirando testate contro il finestrino. Gli rispondevo che non sarei scesa dalla macchina fino a quando non si sarebbe calmato. All’ennesima testata, il finestrino si ruppe, e tutti i vetri mi caddero addosso; mi coprii il viso con le mani e d’istinto chiusi gli occhi. Un miracolo che nessun pezzo di vetro mi entrò nell’occhio. Un passante vedendo la scena, telefonò i carabinieri. Quello era stato il primo vero gesto violento nei miei confronti. Il primo di una lunga serie. Quando i carabinieri arrivarono, lui aveva l’atteggiamento di un “cane bastonato”. Io ero furiosa, mentre lui si atteggiava a un agnellino indifeso. In quell’occasione mi era stato chiesto dalla polizia di sporgere denuncia, ma scossa e ancora accecata dall’affetto che provavo nei suoi confronti, nonostante la rabbia, avevo rifiutato. Avevo solo chiesto che lui promettesse di non ripetere mai più episodi simili e per nessun motivo. Ovviamente non fu così. Quel giorno, perdonando quel gesto, gli diedi il via libera per mancarmi di rispetto. Quel giorno ho autorizzato che la violenza contro di me e i miei oggetti fosse cosa lecita. Quante volte, dopo quell’episodio, mi alzò le mani e io non sporsi mai denuncia! Quante altre volte recava danni ai miei oggetti, ed io tacevo, anzi, addirittura lo coprivo.

Ricordo ancora un altro episodio, quando durante una discussione, mi diede un forte spintone e caddi a terra. Eravamo a casa, nella sua camera da letto. Mi tirò anche un calcio sulle gambe, ma mi ero difesa quella volta, e d’istinto gli graffiai la faccia. Non l’avessi mai fatto! I suoi occhi si erano incendiati di rabbia. Scherziamo? Mica potevo permettermi di reagire! Io non dovevo fare niente, mentre lui su di me poteva tutto.
Ma dopo 5 anni non ce la facevo più, questi episodi si ripetevano con una frequenza di tre/quattro volte a settima. Ogni giorno c’era qualcosa una discussione che finiva per oltrepassare i limiti. Avevo detto basta! Basta subire, basta remare contro qualcosa che diventava sempre più ingestibile e insopportabile. Avevo capito che non sarebbe mai cambiato nulla, ed era inutile insistere. Mi ero annullata, non avevo più amiche con cui confidarmi, la mia famiglia era arrabbiata con me. Mi sentivo persa, e volevo solo iniziare a cercarmi. Non sapevo più chi ero, e probabilmente non lo avevo mai nemmeno capito, perché avevo permesso che lui definisse l’immagine che io avevo di me stessa. Mi sentivo sola, amareggiata, ma ero lucida. Sapevo che ero diventata il cibo preferito di un predatore affamato. Ma avevo deciso che volevo scegliermi. Quindi un bel giorno, mi feci coraggio e lo lasciai. Sapevo di avere un rapporto di dipendenza, e che non sarebbe stato facile portare avanti quella decisione, ma sapevo anche, che continuare, voleva dire cadere in un burrone, prima o poi, e da cui non sapevo se sarei più stata in grado di salvarmi.
Ovviamente, lui e la sua possessione non sarebbero svaniti così facilmente nel nulla, perché questa non era relazione normale. C’era una gerarchia, e io dovevo rimanere sottomessa. E infatti, i mesi successivi furono i peggiori. Non si arrese. Sembrava un incubo. Mi seguiva ovunque. Telefonava i miei parenti, infangava la mia immagine. Nel tentativo di farmi terra bruciata attorno, inventava che lo stessi tradendo. Cercava di farmi apparire come la carnefice di un film che esisteva solo nella sua testa malata. Alternava momenti di vittimismo, inscenando pianti disperati dove implorava il mio perdono, a momenti di aggressività. Le provava tutte pur di convincermi a tornare da lui. Un bugiardo e un manipolatore cronico. Non sapevo come venirne fuori. Quando trovava il modo di vedermi, mi strattonava, mi imponeva di ascoltarlo e mi diceva “tu non fai quello che vuoi”. Erano iniziati i classici atti persecutori. E fu in quei momenti che pensavo di finire al telegiornale. Era il classico psicopatico che non accettava il rifiuto e la mia volontà di finire la nostra relazione.

Non era facile sottrarmi a lui, perché anche se lucida, la debolezza tante volte prevaleva e finivo per ascoltarlo. Covavo sempre la speranza che prima o poi lui cambiasse. Gli incontri chiarificatori, sfociavano in litigi al di sopra delle righe. Un giorno venne a cercarmi per parlare, ma in preda alla rabbia, mi rifiutai di continuare ad ascoltalo e salii in macchina per andare via. Lui mi inseguì, e andai fuoristrada, schiantandomi contro un muro nel tentativo di seminarlo. Macchina distrutta, ma io viva per miracolo.
Mi creava uno stato di ansia e angoscia continua, ma temevo di raccontare la mia versione agli altri. Volevo tenere fuori chi era a conoscenza di questa storia, perché sapevo che lui era molto bravo a girare la frittata e avevo paura che le persone non mi credessero. Con pratiche di mobbing, la difficoltà più grande per le donne è infatti dimostrare le molestie e le umiliazioni subite per timore di non essere credute.
Ma un giorno, quando finalmente raccontai tutto alla mia famiglia e quando durante un altro episodio, vidi il tentativo disperato di mio padre di difendermi, decisi di andare alla polizia. Quel giorno accettai di ricevere aiuto e mi dissi: “Non sono più in grado di gestirla da sola”. Quando si prova ad uscire da una relazione tossica, il percorso non è facile. Servono tanta consapevolezza e determinazione. Infatti, più tempo passa, più diventa difficile per la vittima riuscire a uscirne con “pochi effetti collaterali” e disinnescare i meccanismi che ci stanno dietro. E infatti, io mi porto ancora dietro straschichi. Sottovalutare l’abuso emotivo è grave perché potrebbe comprometterne il recupero.

Ma bisogna trovare il coraggio di parlarne. Riconoscere di avere un problema è il primo grande passo per affrontarlo. Mettersi in discussione e “scavarsi” è fondamentale per poter capire il perché si è deciso di tollerare certi comportamenti. Se non si è disposte a capire le vere cause che stanno alla base delle nostre scelte relazionali disfunzionali, il rischio è che quella stessa situazione si ripeta ancora e ancora, con diverse persone, ma con alla base gli stessi meccanismi.
Posso dire che ho iniziato ad uscirne il giorno in cui ho smesso di fare la vittima, perché finché ci si comporta da vittima, si sarà sempre una vittima. Ci fu un giorno in particolare in cui mi guardai dentro. E’ il giorno in cui finii in ospedale, ma è un giorno che non racconterò, voglio tenerlo per me, perché è troppo intimo e delicato. Ma posso dire che finalmente quel giorno rivolsi la colpa a me stessa. Era colpa mia! Ero stata io a permettergli di trattarmi così! Lui era quello che era, certo, ma io potevo scegliere di interrompere molto tempo prima questo circolo vizioso se solo avessi avuto un po’ di amor proprio. Ma non l’ho fatto. Non l’ho fatto perché ero debole, perché avevo paura, perché ero io la prima a non volermi bene. E così, ho perso tempo, occasioni, ho perso l’opportunità di vivere una giovinezza spensierata. Mi sono fatta rubare i ventanni, gli anni più belli della giovane età. Ho permesso io che questo accadesse. Mi sono messa da sola in questa situazione. Ma forse, ne avevo bisogno per imparare alcune cose, per imparare cosa cercavo, cosa mi piaceva e cosa non mi piaceva. Quel giorno non avevo neanche più lacrime, sentivo che avevo toccato il fondo e pensai solo “voglio andare avanti”.
Ognuno di noi ha potere di scelta, e siamo noi a permettere agli altri di decidere come trattarci. Un uomo che esercita qualsiasi tipo di violenza e possesso, non potrà mai rendervi felice e amarvi nel modo giusto.

Alle donne vittime di questi abusi: reagite, e non siate passive. Non siete sole. Avete voi stesse e questo basta. Tutti noi abbiamo la forza sufficiente per imparare a camminare con le nostre gambe. Non abbiamo bisogno di qualcuno che ci completi, e tanto meno di qualcuno che ci opprima. Scoprite la vostra unicità e ponetevi come priorità. Fategli il dispetto di essere felici, brillate di luce propria, innamoratevi della vostra vita, della vostra quotidianità. Usate la vostra empatia e sensibilità per portare un valore aggiunto alla società, per elevarvi e creare la vita che desiderate. Non spendete queste preziose risorse per cercare di cambiare qualcuno che non vuole essere cambiato. Lasciate perdere e andate oltre, è tutto tempo perso. C’è un mondo là fuori che merita di essere scoperto! Ogni giorno abbiamo la possibilità di scegliere e ogni giorno dovremmo scegliere di essere felici.
Voi potete guardare al futuro sapendo che potrete ancora emozionarvi, perché è proprio qui che sta la differenza: voi siete in grado di vivere con emozione, questi esseri sono invece vuoti, e in quanto tali, incapaci di provare emozioni. Non gioiranno mai, sono già condannati. Per questo hanno e avranno sempre bisogno di fresca linfa vitale da succhiare. Scegliete di non essere quella preziosissima linfa! Usatela piuttosto per costellare di trionfi le vostre vite. Ma chi ve lo fa fare? Struggervi, piangere, disperarvi, perdere opportunità e bei momenti, per chi? Non avete bisogno di una persona che non vi apprezza. Non accontentatevi, guardatevi allo specchio e dite basta! Avete dato e sopportato abbastanza, adesso imparate un po’ di sano egoismo. Siate come una fenice che risorge dalle proprie ceneri.