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Addio a John McCain, l’uomo che visse per l’“America First”, quella vera

Muore a 81 anni il senatore repubblicano dell'Arizona, per due volte candidato alla presidenza: andando contro il partito, è stato il più efficace critico di Trump

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 5 mins read

E’ morto John McCain, il sei volte eletto senatore dell’Arizona, che riuscì ad essere eroe in Vietnam, due volte candidato alla presidenza e per il quale “America First” fu sempre una filosofia di vita tradotta in valori unificanti ben diversi dagli slogan divisori e acchiappa voti trumpiani.

Nessun politico americano è riuscito negli ultimi decenni a costruire una carriera al Congresso nel segno del “bipartitismo” come  John MacCain, che non vuol dire “inciucio”, ma cercare di anteporre il bene dell’America e degli americani agli interessi di partito.

Il pilota McCain, nipote e figlio di ammiragli della marina,  fu catturato nell’ottobre del 1967 nel Nord Vietnam e trascorse oltre 5 anni ferito e torturato, rifiutando anche una liberazione anticipata quando i nord-vietnamiti avevano capito il valore del prigioniero. Il rifiuto di McCain ancora una volta per una questione d’onore: non avrebbe lasciato quel carcere e quelle torture se non fossero stati liberati prima di lui i prigionieri americani catturati da più tempo.

Nord Vietnam, ottobre 1967: il momento della cattura di John McCain nei pressi di Hanoi, dopo che il suo aereo era precipitato (Foto da Flickr)

Quando agli inizi della sua campagna elettorale, il candidato Donald Trump nel 2015 dirà che McCain non era stato un eroe perché per Trump lo sono “coloro che non si fanno prendere prigionieri”, lo sdegno negli Stati Uniti sarà enorme. Ma McCain, che potrebbe approfittare e azzoppare la campagna di Trump, invece resta in silenzio. Peccato. Sospettiamo che al senatore saranno venuti enormi rimorsi per non aver cercato di fermare con più convinzione Trump in quell’occasione.

McCain negli anni Ottanta diventa un politico dell’Arizona perché lì vive la sua seconda moglie, Cindy. Per vincere le elezioni in quello stato, McCain deve dimostrare di essere un conservatore. E lo sarà infatti. Ma John McCain saprà sempre anche che certe sue posizioni, come quelle sui diritti umani, non hanno colori di partito ma si appoggiano perché giuste.

24 maggio 1973: il presidente Richard Nixon accoglie alla Casa Bianca l’ex prigioniero di guerra John McCain (White House Photo Office Collection – Nixon Administration)

McCain diventa prima un Congressman repubblicano nel 1982, e si mette subito in mostra quando va contro il popolarissimo presidente del suo partito, Ronald Reagan, che ha mandato i soldati in Libano. Quando poi accade la strage dei marines a Beirut, McCain dirà di aver sperato di non aver avuto ragione, ma quella profezia lo lancerà nella sua carriera al Senato.

Non sempre sarà tutto “limpido” nella sua straordinaria maratona trentennale al Senato. Negli anni ottanta è coinvolto in uno scandalo finanziario, sui contributi versati da un finanziere poi in disgrazia a cinque senatori, tra cui McCain. Anche se alla fine verrà scagionato da ogni accusa, certi sospetti lo feriranno così tanto da fargli trasformare un momento nero della sua carriera politica, ribaltandolo con una grande vittoria: McCain riuscirà nel 2002 a far passare la prima legge di riforma per un maggior controllo sui contributi elettorali.

Casa Bianca, 1987: l’allora Presidente Ronald Reagan con John McCain

McCain sembra destinato alla presidenza fin dall’inizio della sua carriera politica, e la prima volta ci prova cercando la nomination del GOP nel 2000. Con un bus gira il paese, ipnotizza i reporter e sembra poter aver la meglio su George W. Bush quando la campagna dell’avversario comincia velenosi attacchi con notizie false riguardanti la sua famiglia, tra le quali quella di aver avuto una figlia fuori dal matrimonio.

McCain non raggiungerà mai quella nomination che farà diventare GW Bush presidente (chissà come sarebbe stato il senatore dell’Arizona da presidente post 9-11 o se con McCain ci sarebbe mai stato 9-11…). Aspetta la prossima occasione, che si ripresenta alle presidenziali del 2008. Questa volta il senatore dell’Arizona vince la nomination del GOP, ma invece di vedersi arrivare come avversaria democratica la “battibile” Hillary Clinton, si ritrova col “fenomeno” Barack Obama. Perde dopo che il crollo di Wall Street, nel settembre 2008, spinge inesorabilmente il candidato del “change” Obama ma anche perché McCain sbaglia a nominare per vicepresidente l’impreparata giovane governatrice dell’Alaska, Sarah Palin. Svanito il sogno della presidenza, nel suo celebre discorso  di saluto per l’elezione di Obama, McCain riconosce “lo storico momento per la comunità afroamericana” e ricorda anche che “gli americani non rinunciano mai e mai si arrendono”,  facendo capire quindi che lui, col ritorno al Senato, continuerà a segnare la storia del suo paese e lo farà mettendo sempre “prima l’America”.

Così il sigillo ad una incredibile vita e carriera politica arriva il 25 luglio del 2017, quando ancora una volta John McCain antepone gli interessi del suo paese a quelli del suo partito, votando “no” alla legge voluta da Trump per far fuori l’”Affordable Care Act”, o meglio conosciuta come “Obama care”. McCain in questa sua ultima occasione, non “tradisce” il GOP perché ritiene quella di Obama una buona legge di riforma sanitaria, ma perché sa bene che chi vorrebbe ora distruggerla non ha presentato un’alternativa valida. McCain, nel floor del Senato, quando ormai sa che il suo voto è diventato quello decisivo, in una scena da suspence cinematografica, si avvicina dichiarando il suo voto: “no”.  Trema il Senato e si scatena soprattutto l’ira di Trump. McCain, che sa già di avere un tumore assassino, trova ancora la forza per ribadire la sua versione di “America First” e la sbatte in faccia proprio a quel Trump e alla sua propaganda falsa e pericolosa.

Nel suo ultimo discorso, nell’ottobre del 2017, ricevendo la Liberty Medal per la sua politica bipartisan,  McCain dirà di essere contro coloro che cercano “half-baked, spurious nationalism cooked up by people who would rather find scapegoats than solve problem” (quel mezzo cotto, falso nazionalismo preparato da persone che preferiscono trovare un capro espiatorio che risolvere il problema). Un discorso, quello di McCain in quell’occasione, diretto a Trump e che in certi passaggi sarebbe utile che fosse ascoltato anche in Italia.

Nel suo libro autobiografico, The Restless Wave: Good Times, Just Causes, Great Fights, and Other Appreciations, McCain mostrerà ancora molta preoccupazione per il futuro degli USA e del mondo con Trump alla Casa Bianca. Il vecchio senatore, “maverick” della politica americana, aveva persino dato disposizioni affinché ai  suoi funerali, che si terranno anche a Washington,  fosse chiaro che la partecipazione del presidente Donald Trump non sarebbe stata gradita. Trump intanto, con twitter, ha fatto le condoglianze alla famiglia McCain.

McCain lascia con la sua condotta di vita politica, un esempio e allo stesso tempo un monito per tutti che riassumiamo così: attenta America, con Trump stai rischiando di perdere tutti quei valori tipicamente americani, come dovere, onore, patria, e quindi verità, giustizia e libertà, per la difesa dei quali uomini come John McCain furono sempre pronti a sacrificare la propria vita.

 

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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