Due famiglie simbolo della Sicilia più bella, più produttiva e più colta. Due famiglie che, la mediocrità dei tempi moderni riflessa nelle istituzioni siciliane, rischia di cancellare dalla memoria. Parliamo dei Florio e dei Tomasi di Lampedusa. A loro è dedicata la tre giorni "Dal Gattopardo alla Targa Florio, un secolo di sicilianità" organizzata dal distretto turistico Targa Florio, dall'Aci e dai Comuni di Santa Margherita Belìce e Palma di Montechiaro (con il patrocinio di diverse associazioni, tra cui la Sicilia dei Florio e Sicilia Mundi) che prevede una serie di incontri e dibattiti per non dimenticare: "L'iniziativa – spiega a lavocedinewyork.com Fabio Lo Sicco, presidente del distretto turistico Targa Florio- nasce con l'obiettivo di celebrare quel periodo che va dall'Unità d'Italia alla bell'epoque che ha dato lustro alla nostra Sicilia, grazie ai Florio e ai Tomasi di Lampedusa. Dopo di loro tutto è finito. Non ci sono state più grandi personalità che avessero a cuore la Sicilia, e il risultato si vede. Noi siciliani non abbiamo perso il senso della sicilianità, ma i nostri politici sì".

Fabio Lo Sicco
Un evento con una madrina d'eccezione: donna Costanza Florio, l'ultima discendente di quella famiglia che fece di Palermo una delle capitali europee più belle e più amate dai reali e dai nobili di mezza Europa. La sua bellezza elegante ricorda quella della nonna, donna Franca 'la regina di Sicilia':
"Sono feliccisma di questa iniziativa perché ricordare i miei nonni, Ignazio e donna Franca è sempre un piacere- dice donna Costanza a lavocedinewyork.com – ancora di più se lo faccio da un'Isola che loro hano amato moltissimo ma che tende a dimenticare".
Chiediamo a cosa si riferisce, perché è difficile credere che qualcuno possa dimenticare i Florio e quello che hanno rappresentato per la Sicilia:
"Mi riferisco alle istituzioni sia comunali che regionali. Se lei pensa che ci sono voluti più di 10 anni per riuscire ad intestare un piccolissimo pezzo di giardino, accanto allo stadio, a Vincenzo Florio, l'ideatore della Targa Florio, comprenderà ciò che intendo. Hanno intestato piazze e strade a tutti. Cosa è questo se non volere fare dimenticare chi ha creato lavoro e amato veramente la Sicilia e Palermo? Mi fa pensare che l'amministrazione si vergogni di ricordare chi, al contrario di loro, ha fatto tanto per questa città. Non riesco a spiegarmelo diversamente".
E nemmeno noi. Se a questo aggiungiamo che, invece, a Palermo, ci sono tante strade (e qualche piazza) dedicata agli assassini risorgimentali che hanno versato il sangue dei siciliani, a partire dalla via dedicata al generale Enrico Cialdini, l'amarezza cresce.

Donna Costanza Florio
L'oblio di cui parla donna Costanza si manifesta anche in un altro episodio che riguarda il glorioso ritratto di donna Franca Florio (foto di copertina), al momento esposto a Villa Igiea (oggi è un hotel messo in vendita), che andrà all'asta. Né la Regione, né il Comune hanno manifestato l'intenzione di comprarlo (magari non hanno i soldi, ma non si sono spesi per trovare soluzioni), di fare in modo che la regina di Sicilia resti nella sua città: "Mi hanno solo detto che faranno in modo che resti in Italia. Ma che senso ha? Donna Franca è di Palermo e qui dovrebbe restare ma le istituzioni, a quanto pare, non ci tengono".
Chissà se qualche mecenate potrà raccogliere il suo appello.
Donna Costanza condivide con noi anche un'altra riflessione che solo la più recente storiografia ha avuto il coraggio di formulare: la decadenza dei Florio, come tanti altri fatti, è stata orchestrata da quei governi post unitari che avevano deciso di ridurre la Sicilia ad una mera colonia, così come è ancora oggi: "La mia famiglia disturbava i poteri del Nord, ecco perché c'è stata la decadenza. Palermo era una capitale europea quando in Piemonte si andava in giro con le carrette e le pecore. Per rendere grande il Nord dovevano distruggere il Sud e la famiglia Florio ed è quello che hanno fatto".
Ricordiamo, se ce ne fosse bisogno, che stiamo parlando della famiglia che fece di Palermo la città prediletta dei reali di mezza Europa che arrivavano sui loro panfili per svernare nella splendida Villa Igiea. La Palermo della bella epoque, dell'art nouveau, di archietti come Damiani Almeyda e Ernesto Basile, del teatro Massimo e del teatro Politeama che attiravano in città turisti colti che andavano alla ricerca delle novità liriche che a quei tempi, grazie ai Florio, si facevano a Palermo. Sostiene Cristina Alaimo (storica dell’arte): “La cosa interessante per Palermo in quegli anni è che si sviluppò un sistema dell’arte. I Florio contribuirono in maniera significativa a innestare e coadiuvare questo sistema. In città si svilupparono dei circoli di conversazione in cui l’intellighenzia, gli imprenditori, i borghesi e anche gli uomini dell’amministrazione che ne facevano parte cercavano di promuovere il dialogo fra arte e industria e arte e istituzioni pubbliche”.
E' la famiglia della grande impresa meridionale (dalle compagnie di navigazione, agli stabilimenti del vino Marsala, alle tonnare) simbolo di una Sicilia, che all'indomani dell'Unità di Italia, sapeva sperare. Dice lo storico Lupo che“i Florio nella Palermo di fine Ottocento, inizio Novecento erano di gran lunga il potentato economico più importante, erano un po’ i padroni della città perché erano i più ricchi, i più potenti per relazioni politiche e anche i più moderni”.
Indimenticabile, poi, il gionale L'Ora, che i Florio vollero per dare voce alla Sicilia e che presto si affermò come una delle realtà giornalistiche più importanti del Paese.
Ed è anche la famiglia di quella che una volta era la gloriosa corsa automobilistica 'Targa Florio', altro evento che attirava in Sicilia piloti e nobili da ogni parte del globo che così potevano scoprire le bellezze dell'Isola.
Difficile sintetizzare in poche righe quella che è stata la dinastia dei Florio, entrata da fare parte di miti e leggende. Dopo di loro il sonno e l'abbandono, se non cieca distruzione. E, come ci ha detto donna Costanza, l'oblio.
Stessa sorte ha riguardato i Tomasi di Lampedusa. Nel corso della presentazione dell'evento, il vice sindaco di Santa Margerita Belice, Tanino Bonifacio, non solo ha ricordato che il romanzo il Gattopardo, di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, è stato il più tradotto al mondo, ma ha anche letto alcuni passi dei racconti dello scrittore dedicati al viaggio "come strumento di conoscenza" (passione condivisa anche dai Florio). E poi si è anche chiesto, come mai, a Palermo, non ci siano percorsi culturali legati a questa famiglia. Ci sono certamente nel suo comune (la famiglia Tomasi di Lampedusa amava trascorerre lì alcuni mesi dell'anno), dove il museo ospita i manoscritti originali del romanzo siciliano più famoso, ma a Palermo, anche in questo caso, la memoria latita.
Presente, tra gli altri, anche Pasquale Amato, il sindaco di Palma di Montechiaro "città creata dai Tomasi di Lampedusa" che si è detto felice di ospitare alcuni eventi legati a questa iniziativa e che ha, anche lui, lanciato un appello affinché si preservi un patrimonio che appartiene a tutti i siciliani.

Nino Vaccarella
Non poteva mancare l'intervento del mitico pilota della Targa Florio, Nino Vaccarella, lo sportivo più amato dai siciliani: "Dal 1978 la corsa si è trasformata in un rally. Si corre ogni anno a maggio,- dice a lavocedinewyork– ma la sua risonanza dipende dai suoi organizzatori. Infatti, il centenario della sua nascita è stato un flop proprio perché l'Aci era guidata male. L'anno prossimo ci sarà la centesima edizione. E, siccome c'è un automobil club rinnovato, speriamo sia un grande evento. Ci saranno le più grandi case, incluse la Ferrari".
Ma, a parte questo, il giudizio di Vaccarella sul mondo che ci circonda è chiaro: "Noi non abbiamo perso il senso di sicilianità, è che siamo stati e siamo governati da incapaci. Io non so se la soluzione passa dalla separazione dall'Italia, tutto dipende dagli uomini. La Sicilia è e resta la terra più bella del mondo".
Un inno alla sicilianità è arrivato anche dal Maestro palermitano Madè, pittore di fama internazionale: "Potevo restare in America o a Roma, dove Guttuso mi chiedeva di andare. Ma io sono tornato, perché ogni mia opera apprezzata venga riconosciuta a questo piccolo palermitano".