Organizzata dalla Fondazione Palazzo Strozzi grazie alla collaborazione con l’Arcidiocesi di Firenze e al sostegno di Banca CR Firenze, Bellezza divina tra Van Gogh, Chagall e Fontana è l’esposizione che ripercorre, tra sperimentazioni ed avanguardie, il secolo di arte tra la metà Ottocento e la metà Novecento. I curatori Anna Mazzanti, Lucia Mannini, Carlo Sisi e Ludovica Sebregondi hanno scelto, oltre a Vincent Van Gogh, Marc Chagall e Lucio Fontana, anche Edvard Munch, Pablo Picasso, Jean-François Millet, Max Ernst ed Henri Matisse. A illustrarcela da vicino è la dottoressa Ludovica Sebregondi, storica dell’arte e direttrice scientifica della Fondazione Palazzo Strozzi, che ci ha fatto da guida durante la mostra, raccontandoci aneddoti interessanti su alcune delle opere esposte.
A chi è venuta questa idea e come è nata la collaborazione che l’ha portata alla luce?
La mostra è nata da un’idea dell’arcivescovo di Firenze, il cardinale Giuseppe Betori che, in occasione del V Convegno Ecclesiale Nazionale che ogni dieci anni riunisce i vescovi italiani e che in novembre sarà ospitato dalla città, ha voluto una mostra sull’arte sacra in un luogo laico, e ha pensato a Palazzo Strozzi, la maggiore sede espositiva fiorentina. Siamo stati ben lieti di accogliere una proposta nuova, diversa e stimolante per me e i curatori con cui collaboro. Si trattava di ripensare a un periodo nel quale non si ha consapevolezza dell’esistenza di un’arte sacra, mentre sono molti gli artisti (credenti o atei, di fede cattolica, protestante ed ebraica) che nel secolo che va all’incirca dal 1850 al 1950 hanno affrontato temi legati alla spiritualità.
Quali sono stati i tempi di realizzazione della mostra e quali le principali difficoltà che avete incontrato?
La direttrice scientifica della Fondazione Palazzo Strozzi, Ludovica Sebregondi
Dalla prima idea all’apertura della mostra sono passati quasi tre anni, tempo necessario per progettare, adeguare l’idea originaria agli spazi, chiedere i prestiti delle opere, ottenere le risposte, stabilire la struttura del catalogo, contattare gli altri autori, scriverlo e, con la casa editrice Marsilio, portarlo fino alla stampa. Molte diverse professionalità concorrono a realizzare una mostra: l’architetto che progetta l’allestimento, i responsabili della promozione che scelgono l’opera da utilizzare come immagine, i grafici per le didascalie, solo per citarne alcuni. Ma anche i restauratori che hanno riportato allo splendore originario le opere (ne sono state restaurate ben undici). E, al momento dell’allestimento, quando i capolavori giungono da tutto il mondo compiendo lunghi viaggi, sono presenti tecnici altamente specializzati nella movimentazione e restauratori che controllano lo stato di conservazione delle opere (il cosiddetto “condition report”). Le difficoltà maggiori ci sono state soprattutto per ottenere opere di artisti importantissimi come Vincent van Gogh, Marc Ghagall, Jean-François Millet, Edvard Munch, Pablo Picasso, Max Ernst, Georges Rouault, Henri Matisse, Renato Guttuso, Lucio Fontana, prestate dal Museé d’Orsay di Parigi, dai Musei Vaticani, dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, dal Museo Diocesano di Milano, dall’Art Institute di Chicago, dal Museo Picasso di Barcellona, dal Museo Reina Sofía di Madrid.
Bellezza divina è una mostra molto particolare che tenta di evidenziare il rapporto fra l’arte e la sacralità con cento opere di illustri artisti. Quale processo culturale ed artistico è stato percorso, oltre che nella scelta delle opere, anche nell’allestimento delle sale espositive?
L’allestimento di Bellezza divina, che si deve all’architetto fiorentino Luigi Cupellini, è ritmato da un sistema di campate, come in un chiostro ideale, in cui però le volte non si chiudono, restando aperte in una sorta di citazione degli spazi del sacro del Novecento. Il colore scelto per le pareti, il blu, e l’illuminazione che focalizza l’attenzione sulle opere lasciando il resto degli spazi in una luce soffusa, aiutano a creare un’atmosfera sospesa, meditativa, di grande impatto. Per la scelta delle opere, si è prima seguito un filo storico, soprattutto nella prima sala, in cui sono esposte grandi opere che testimoniano l’eclettismo degli stili e le diverse modalità di accostamento al tema sacro nella seconda metà dell’Ottocento. Segue una sala meno tesa, dedicata alle raffigurazioni della “Madonna”, cui fa seguito la parte centrale della mostra, che percorre la narrazione della “Vita di Cristo”, dall’Annunciazione alla Resurrezione. Si passa poi alla presentazione dell’idea della “Chiesa” basata sull’accostamento di icone quali il grande papa Pio XI di Adolfo Wildt, sul rito e sugli arredi (tra cui la casula di Henry Matisse). Il percorso espositivo si chiude con l’evocazione della “Preghiera” incarnata dall’Angelus di Millet, immagine universale di come il sacro entri nella vita quotidiana.
Le opere esposte abbracciano anche diversi stili pittorici ed espressivi, con accostamenti fra il sacro ed il profano, tangibili. Cosa possiamo dire riguardo l’eclettica rappresentazione mariana di Munch, personificata in Rosa Mystica?
La Crocifissione Bianca di Marc Chagall
Abbiamo voluto esporre anche opere “di rottura”, che hanno fatto discutere al loro apparire, come la Madonna II di Edvard Munch del 1895-1902. Una figura femminile nuda è rappresentata frontalmente fino all’inguine, l’espressione del volto è in bilico tra estasi erotica e agonia, mentre la falce lunare posata sul capo evoca l’aureola. L’immagine è lontana dall’iconografia consueta e Munch, rifiutando i tradizionali attributi religiosi, trasforma Maria in emblema del sesso femminile. Sulla cornice fluttuano spermatozoi che confluiscono verso un feto, la cui testa scheletrica, simile a quella dell’Urlo, allude all’eterno ciclo di nascita e morte: all’istante della fecondazione Munch attribuisce infatti una dimensione religiosa. Immagine scientifica e immagine sacra sono unite in un accostamento tipico dell’ambiente della Berlino dell’epoca, dove soggiornò a lungo. L’artista non aveva intenzioni sacrileghe, poiché voleva creare una forma di sincretismo, congiungendo sacro e profano, la figura della Vergine e quella della donna, in un’ottica di riavvicinamento dei grandi temi della sessualità freudiana e più in generale delle scienze umane – in forte sviluppo a fine Ottocento – con il Cristianesimo. I temi del dipinto – piacere e dolore, nascita e morte, il passaggio tra generazioni – convergono nella formazione di un nuovo emblema iconico. Lontano da intenzioni sacrileghe, Munch annotava nel diario che “la gente comprenderà che vi è qualcosa di sacro e si toglierà il cappello come fosse in chiesa”.
Ci sono aneddoti particolari, legati a qualche dipinto? Mi raccontavi di una preferenza di Papa Francesco per La Crocifissione Bianca di Marc Chagall…
La Crocifissione Bianca è stata eseguita nel 1938, dopo la cosiddetta “Notte dei cristalli”, quella tra il 9 e 10 novembre, quando in Germania, Austria e Cecoslovacchia i nazisti distrussero negozi ebraici e le sinagoghe furono date alle fiamme, ed è un atto di denuncia contro le persecuzioni. L’artista sostituisce il perizoma di Cristo con lo scialle da preghiera, il tallit, la corona di spine con un tessuto, introduce figure in abiti tradizionali, sinagoghe in fiamme, popolazioni in fuga su barconi e a piedi. Chagall è tornato più volte nelle proprie opere sul rapporto tra ebrei e cristiani, ed è forse proprio il forte dialogo interreligioso che l’anima, oltre all’attualissimo richiamo al dramma dei migranti, a farne l’opera preferita da papa Bergoglio, come aveva dichiarato in una intervista rilasciata in Argentina quando non era ancora pontefice. È la prima delle Crocifissioni dell’artista, la più grande, la più emblematica e bella, e si tratta dunque di uno straordinario prestito da parte dell’Art Institute di Chicago.
Una particolare menzione merita la realizzazione del filmato multimediale, in presa diretta. Di chi è stata l’idea?
Spazio, luce, sacralità è un “video-trittico” della durata di 18 minuti. Noi curatori abbiamo voluto in mostra la presenza dell’architettura e ci siamo rivolti ad Art Media Studio di Firenze. Il video artista, Vincenzo Capalbo, con Marilena Bertozzi, ha pensato – guidato dal professor Ulisse Tramonti della Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze – a questo affascinante viaggio tra alcune architetture chiave d’Europa tra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento. Il video-trittico, attraverso suggestioni visive, immagini, luce, suoni, esplora lo spazio della chiesa e racconta l’evoluzione dell’architettura sacra, dalle esperienze di fine Ottocento di San Paolo dentro le mura, al rifacimento della facciata del duomo di Firenze in stile neogotico, fino alla chiesa di Notre Dame de la Consolation a Rancy, progettata da Auguste Perret in cemento armato, in cui avviene il passaggio dallo storicismo alla modernità. Immagini che si susseguono fino ad arrivare alla sublimazione dello spazio e della luce attraverso la cripta della chiesa del complesso monastico della Tourette a Eveux e della cappella di Notre Dame du Haut a Ronchamp di Le Corbusier. Lo schermo triplice si ispira a una pala d’altare in cui le rappresentazioni in movimento raccontano l’architettura, lo spazio, come elemento narrativo dominato da una profonda spiritualità. La saletta scura rappresenta in mostra un momento di pausa riflessiva, favorito da un’acustica ovattata, poiché le preghiere, i canti, i passi, l’acqua che scorre, era quanto effettivamente si sentiva nel momento in cui le scene sono state girate.
Perché vale la pena visitare Bellezza divina?
È una occasione unica poiché non è mai stata realizzata una simile esposizione. Quando si pensa all’arte sacra ci si immagina il Medioevo, il Rinascimento o il Barocco, non certo un periodo così vicino a noi, che sembra, distratto, lontano da tematiche spirituali. Gli artisti si sono invece concentrati soprattutto sulla dimensione umana di Cristo nel drammatico periodo tra l’inizio della Prima Guerra mondiale e la fine della Seconda, segnato da sofferenze, lutti, dolori. Di qui le potenti raffigurazioni di Crocifissioni e Pietà presenti in mostra, da Picasso a Van Gogh, da Fontana a Vedova. La rassegna consente di comprendere come gli artisti abbiano ripensato al tema sacro e, pur avendo negli occhi le infinite rappresentazioni del passato, l’abbiano affrontato con spirito nuovo, perché, come ha scritto Lucio Fontana, “Dio è invisibile. Dio è inconcepibile. Dunque oggi un artista non può più presentare Dio su una poltrona con il mondo in mano, la barba”.