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April 6, 2014
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Molto più che un “beautiful game”: il calcio nei suoi aspetti culturali, sociali e politici

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Pelè esulta per il gol nella finale Brasile-Italia dei Mondiali messicani del 1970

Pelè esulta per il gol nella finale Brasile-Italia dei Mondiali messicani del 1970

Time: 10 mins read

 

posterAlla Hofstra University, nel Long Island, questa settimana si terrà la conferenza “Soccer as the Beautiful Game: Football’s Artistry, Identity and Politics,” con la partecipazione straordinaria di Edson Arantes do Nascimento, conosciuto in tutto il mondo col nome di Pelè. Ci saranno oltre 150 esperti e accademici arrivati da tutti i continenti a parlare di calcio. Per celebrarlo certo, ma anche attaccarlo, dibattendone tutti gli aspetti senza temere "l'espulsione". Infatti gli autorevoli accademici con i loro paper entreranno anche "a gamba tesa" sullo sport che questa estate appassionerà, durante i mondiali del Brasile, miliardi di persone. La VOCE di New York, che seguirà i lavori della conferenza, ha intervistato Stanislao G. Pugliese, uno dei professori della Hofstra University che ha ideato e organizzato un simposio che si preannuncia, è il nostro pronostico, intellettualmente spettacolare.

Prof. Pugliese, possiamo chiamare questa la più grande conferenza accademica sul calcio che sia mai stata organizzata in America? O forse nel mondo? A chi va, oltre a lei, il merito dell'organizzazione di questo straordinario evento?

Stan finale

Il Prof. Stan Pugliese

Mentre ci sono state altre conferenze sul calcio in America e nel mondo, la mia collega e co-direttore, la Dottoressa Brenda Elsey, conferma che questa è davvero una delle più grandi mai organizzate. E lei dovrebbe saperlo bene,  ha infatti partecipato l'anno scorso a Zurigo ad una conferenza della FIFA dedicata alla storia della Coppa del Mondo ma quel convegno non era grande come la nostra conferenza. Siccome è riconosciuta in tutto il mondo come una grande studiosa del calcio latino-americano, la Dott.ssa Elsey ha potuto invitare i più importanti studiosi del mondo, provenienti da ben 20 paesi. La conferenza è organizzata anche dalla Hofstra Cultural Center, che si occupa di logistica, e Hofstra Office of University Relations.

Il titolo del simposio: “Soccer as the Beautiful Game: Football’s Artistry, Identity and Politics,”. Arte, identità, politica. Tutti questi aspetti del calcio sono sicuramente presenti in Europa, Sud e Centro America, forse in Africa, un po' in Asia… Ma non negli Stati Uniti. Perché? 

Non direi che l'arte, l'identità e la politica non rientrano nel "soccer" americano; sono sicuramente presenti, ma non nello stesso modo o nella stessa misura in cui sono in America Latina o in Europa. Io sto insegnando un corso sulla storia del calcio e sto scoprendo che c'è una lunga storia del calcio negli Stati Uniti. E ovunque c'è storia, c'è arte, politica e questioni di identità. Chi gioca? Chi paga? Chi guarda sulla televisione? Quali forze politiche, economiche e culturali rendono il calcio diverso in America? Penso che queste siano domande interessanti.

Gli inventori del calcio moderno sono stati gli inglesi. Qualcuno dice anche i fiorentini del Rinascimento… Poi i più forti di tutti i tempi sono stati considerati sempre i brasiliani, con o senza Pelè… Ma secondo lei, quanto la cultura e la storia sociale di un popolo influenza la performance di una nazionale di calcio per farle vincere la Coppa del mondo? E' possibile che gli Stati Uniti non abbiano avuto finora la "cultura" e la "storia" adatta per vincere nel calcio?

Questo è una domanda complicata. Non vogliamo soccombere agli stereotipi nazionali: i tedeschi "ordinati", i "caotici" italiani, i "gioiosi" brasiliani ; gli inglesi “aspri”. Tuttavia, se accettiamo la premessa che il calcio è una parte della cultura, allora come potrebbe essere possibile che la cultura di una nazione non influenzi il calcio che gioca? Per esempio: ho sempre pensato all'Italia generalmente come un paese conservatore. Quindi, lo stile del "catenaccio" sviluppato anni fa rifletteva il carattere nazionale? Ricordo di aver pensato che ci sono stati momenti nella storia del calcio italiano in cui sembrava che gli Azzurri scendevano in campo pensando più al "non dobbiamo perdere" piuttosto che "dobbiamo vincere". Se si inizia con questo pensiero in mente, o una certa filosofia di gioco, è quasi inevitabile che si giocherà in un certo modo. Guardando indietro come storico, e so che questo sembrerà eretico dirlo, ma forse era giusto che l'Italia perdesse la finale nel 1970. Quello che voglio dire è che se l'Italia avesse vinto quella partita, forse il catenaccio avrebbe dominato per un'altra generazione. Invece, giocando allo stesso modo nel 1974, abbiamo ottenuto nulla e così iniziò il processo di rifondare il calcio italiano in un gioco diverso, quello che ha fatto finalmente diventare nel 1978 e nel 1982, un gioco molto più interessante e divertente. Ma potremmo anche leggere troppo di carattere nazionale in una sola sconfitta o vittoria. Quando il Brasile perse la finale 1950 contro l'Uruguay, ci furono brasiliani che sostennero che il Brasile fosse un paese "arretrato", tale che non avrebbe mai vinto una Coppa del Mondo! Per più di un decennio, i brasiliani hanno giocato più un calcio "disciplinato" ed i tedeschi un calcio più divertente. Significa che il loro carattere nazionale è cambiato? Forse.

Poster fascista

Un poster con il saluto fascista per i mondiali italiani del 1934

Lei è uno storico soprattutto del periodo fascista. L'Italia vinse i suoi primi due mondiali nel 1934 e nel 1938. A suo avviso esiste un legame fra fascismo e calcio? Mussolini fu l'inventore del calcio come strumento di propaganda e controllo delle masse?

Se non l'inventore, colui che ha approfittato di più. Mussolini e il regime fascista erano molto consapevoli del valore propagandistico dello sport e hanno fatto di tutto per assicurarsi che l'Italia avrebbe vinto due Coppe del Mondo. Ma questo era parte di una più ampia idea generata alla fine del 1800s e l'inizio del 1900s che gli imperi avevano bisogno di corpi forti e sani. Il movimento ginnastico in Germania, prima ancora che il regime nazista, era parte di questa storia. In America e altrove, c'era un interesse malsano in eugenetica. Per il fascismo, Mussolini e i gerarchi del regime erano giovani e vigorosi rispetto alle sclerotiche democrazie liberali in declino. Mussolini è stato spesso fotografato a cavallo, in moto, con gli sci e mentre il calcio non era il suo sport preferito, ha pienamente sostenuto le squadre di calcio in entrambe le Coppe del Mondo. Le squadre, tra l'altro, erano obbligate a salutare in stile fascista sul campo. E c'era l'influenza del Futurismo. Usiamo "Dinamismo di un footballer" di Umberto Boccioni (1913) come la copertina posteriore del programma. Vorrei esplorare il rapporto tra le idee del Futurismo sulla modernità, la velocità e il dinamismo con il calcio.

Ma non fu solo il fascismo a prendere in ostaggio il calcio. Negli anni 1950 e 1960, l'Unione Sovietica ha tentato un "calcio scientifico" per accompagnare il loro presunto "socialismo scientifico." E le immancabili, inevitabili, leggi ferree del capitalismo contemporaneo hanno prodotto una situazione in cui una manciata di squadre di proprietà di oligarchi russi, miliardari arabi, e un (ex) primo ministro italiano dominano i loro campionati e concorrenza internazionale. Naturalmente, tutto questo è reso possibile dai miliardi che vengono dai diritti televisivi. 

Scorrendo gli oltre 150 interventi della conferenza, si vede che l'aspetto principale sarà quello dell'influenza che in certi paesi ha avuto la politica sul calcio e viceversa. Con il calcio si fa politica, si influenzano le opinioni pubbliche, insomma si può mantenere o anche perdere il controllo sociale, soprattuto in quei paesi con percentuali elevate di popolazioni sotto i livelli di povertà… Marx parlava della religione come l'oppio dei popoli: se avesse scritto il Capitale nel XX secolo avrebbe detto invece che era il calcio?  Quale tra i numerosi interventi prevede sarà più provocatorio nelle sue tesi?

Molti intellettuali di sinistra deridono sport in generale e il calcio in particolare. Anch'io a volte penso che il calcio funzioni come un soporifero, sia in paesi sviluppati sia nei paesi sotto-sviluppati del mondo. Chissà cosa sarebbe successo se, invece di guardare il calcio per tutto il weekend, avessimo parlato di politica? Probabilmente ci sarebbe stata una rivoluzione! Quindi sì, lo sport e il calcio possono funzionare in una certa misura, come il panem et circenses della Roma antica. Ma vi è una distinzione importante: panem et circenses o l'oppio dei popoli possono lavorare solo sulle persone che non sono consapevoli di essere manipolati. E se, invece, siamo consapevoli del fatto che lo spettacolo di massa del calcio funzioni per proteggere lo status quo?  Alcuni studiosi affronteranno questi temi e altri fatti come la corruzione, le scommesse e il grande business del calcio. L'intervento del keynote speaker, Jennifer Doyle (Università di California a Riverside), sosterrà l'abolizione della Coppa del Mondo! Sono in attesa di ascoltare e con una certa ansia quell’intervento.

Anche Papa Francesco è un gran tifoso di calcio. Si parlerà anche del rapporto tra religione e calcio? Sarebbe il caso di dire che il calcio è ormai, in certi paesi, come una religione?

Uno studioso parlerà della squadra di Papa Francesco in Argentina. E sì, se esaminiamo il fanatismo, la lealtà, la devozione di miliardi di tifosi in tutto il mondo, il calcio sembra avere molte delle caratteristiche di una religione: testi sacri e luoghi sacri, pellegrinaggi e martiri, profeti, santi ed eretici. Al livello più sublime c'è anche la perdizione, dannazione, redenzione e salvezza. Ci sono momenti gloriosi della trascendenza. È questo un bene o un male? Direi piuttosto che è un fatto fondamentalmente umano.

In Italia la crisi economica ha fatto esplodere proteste anti euro e anti Europa.  Si parla di secessioni e indipendenza, si scende in piazza in Veneto, Sardegna, Sicilia… Lei pensa che una vittoria ai Mondiali del Brasile degli Azzurri, risolverebbe le antiche questioni di identità  o che potrebbe dare la carica per risolvere tanti problemi come forse riuscì a fare la vittoria di Rossi, Tardelli e Zoff, con Pertini presidente, nell'82?

Zoff

1982: Dino Zoff alza la Coppa del Mondo dopo la magica finale di Madrid contro la Germania vinta dagli Azzurri per 3-1

Avevo 17 anni quando abbiamo vinto i Mondiali nel 1982 e non dimenticherò mai uno dei miei eroi, il partigiano Sandro Pertini, alla finale di Madrid e Zoff con la coppa. Per quanto quella vittoria fosse benvenuta, non credo che abbia risolto qualsiasi dei problemi e difetti strutturali a lungo termine in Italia. La vittoria del 1982 non poteva impedire Tangentopli. Sono sicuro che il giorno dopo che abbiamo vinto a Madrid, i politici stavano nuovamente intascando tangenti. E abbiamo vinto nel 2006, ma c’è ancora la Lega, i secessionisti, i razzisti, l’incompentenza e la corruzione. Ma, tanto importante quanto queste vittorie sportive sono state (si pensi al regime militare in Argentina nel 1978, o la vittoria della Germania Ovest nel 1954, che la riportò nella famiglia d'Europa), penso che siano delle spinte a breve termine piuttosto che delle soluzioni ai problemi. Infatti, è una sconfitta che può cambiare un paese più di una vittoria. Sto leggendo l'ultimo libro di Pelè, "Why Soccer Matters" e in essa egli scrive che la sconfitta infame del Brasile al Maracanà nel 1950 ha lavorato effettivamente per unire i brasiliani. Una vittoria nella Coppa del Mondo non risolverà i problemi fondamentali in Italia; infatti, una vittoria potrebbe renderli peggio. E' come il pensiero dei generali francesi dopo la prima guerra mondiale: abbiamo vinto, quindi la nostra strategia e la tattica sono le migliori. Quindi, non dobbiamo cambiare nulla.

La conferenza celebra Pelè, che per molti esperti di calcio, rimane il più grande calciatore di tutti i tempi. Secondo lei, e risponda da appassionato più che da professore, lo è stato veramente? Se si fa questa domanda agli argentini e soprattutto ai napoletani, si sa, faranno il nome di Diego Armando Maradona… 

Io sono un tifoso del Napoli e quindi eternamente in debito a Maradona per i due scudetti che ha portato (non solo lui!) a Napoli. Sto scrivendo un libro sulla storia e la cultura di Napoli e credo che Maradona sia stato davvero uno “scugnizzo” del tardo ventesimo secolo. Ma questo non significa che non posso riconoscere Pelè come il più grande calciatore di sempre. Una volta, quando mio figlio Alessandro ed io stavamo guardando una partita (lui è un tifoso juventino), ha chiesto quale squadra avrei voluto vincesse. Gli ho detto: "Chi gioca meglio," e ho capito che con quella risposta lo avevo un po’ confuso.  Perché il calcio esige partigianeria, ma spesso mi sento come lo scrittore uruguaiano Eduoardo Galeano che una volta scrisse: "vado allo stadio del mondo con la mano tesa come un mendicante e imploro: una bella mossa per l'amore di Dio".

Pele Chinaglia

Giorgio Chinaglia e Pelè con la maglia dei Cosmos

Lei è cresciuto nel Tristate? Lei era forse uno di quesi bambini che andavano alla partita a vedere Pelè giocare nei NY Cosmos? Sono stati Pelè, Chinaglia e Beckembauer ad accendere la sua passione per il soccer? 

Sì, sono cresciuto nel Long Island ed era appassionato dei Cosmos, non solo Pelè ma di tutti loro. Ho trascorso molte notti ad ascoltare le partite alla radio mentre la mia famiglia era addormentata ed era allo stadio quella notte Chinaglia segnò 7 gol. E' stata una parte fondamentale della mia (sprecata?) gioventù. Ma non solo i Cosmos: il calcio in generale era un modo per identificarmi come "italiano" e distinguermi dal mio fratello "americano" che giocava a baseball. Non volevo assimilarmi e il calcio è stato un perverso "distintivo d'onore" nel momento in cui gli sport popolari del liceo erano baseball, basket e football.

Con i suoi figli tiferà Stati Uniti o Italia? Questa estate i mondiali saranno proprio in Brasile. Dopo questa conferenza accademica, magari andrà a vederli con Pelè? 

Mentre ammiro la squadra americana, non vi è alcun dibattito o dissenso: in casa nostra siamo tutti tifosi degli Azzurri. (Io sono altrettanto entusiasta quando mio figlio Alessandro e mia figlia Giulia giocano di come quando gli Azzurri giocano.) È una scelta, una affinità elettiva, un modo per me e i miei figli per cercare di mantenere vivo un filo con l'Italia (dove trascorriamo le vacanze ogni anno.) E' un modo per i figli degli immigrati di mantenere legami con la madre patria e forse anche un po' di placare il senso di colpa per averla lasciata. Ma è necessario accettare il dolore con la gioia. E' stato doloroso vedere l'Italia perdere contro la Spagna la finale del Euro 2012. Dopo i Mondiali di 2006 ho scritto un saggio: "On Soccer and Suffering". Per ricordare a me stesso che per ogni vittoria, a volte ci sono molte sconfitte. 

Per quanto riguarda i Mondiali in Brasile: se dopo la conferenza Pelè mi invita, sarò felice di andare! 

 

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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