In missione a New York per presentare il sistema culturale torinese, il sindaco Piero Fassino ci parla della sua visione di una città vivibile e attraente. Confrontandola con New York, ma premettendo: “New York è New York e non c'è altra città come questa. Sarebbe assurdo e arrogante mettersi a fare paragoni”. La visita di Fassino crea comunque una linea di contatto culturale tra le due città con l'obiettivo, da una parte, di far conoscere all'estero l'offerta torinese, dall'altra di portare nella città sabauda un poco della cultura che ha casa a New York. Abbiamo incontrato il sindaco alla presentazione della mostra dei disegni di Matteo Pericoli alla Birreria di Eataly e poi di nuovo all'apertura della mostra dell'artista Giorgio Milani, organizzata dal Consolato di New York e che Fassino ha voluto inaugurare a conclusione della sua missione negli USA.
Torino si presenta a New York. Quali sono, se ci sono, i punti di contatto tra queste due città.
Se non c'è cosa in America che non avvenga a New York, non c'è cosa significativa in Italia che non sia avvenuta o avvenga a Torino. A Torino è nata l'auto, la RAI, il cinema, la moda (che solo in seguito si è trasferita a Milano ma di cui inizialmente era Torino il centro), il jazz italiano. A Torino è stata fatta l'Unità d'Italia. Alcuni l'hanno definita città di frontiera, l'avanguardia d'Italia, il posto dove avvengono prima le cose che poi diventano patrimonio di tutti. È un po' il barometro del paese. Il cambiamento fa parte della cultura della città.
C'è qualcosa di New York che vorrebbe a Torino e che cosa invece Torino potrebbe regalare a New York?
Io di New York vorrei i musical di Broadway di cui sono pazzo. Torino forse potrebbe dare a New York il suo charme.
Qual è lo scopo della sua missione qui a New York?
Far conoscere Torino e il suo sistema culturale e prendere contatti con le istituzioni culturali locali per avviare dei progetti di collaborazione.
Come è andata?
Bene, abbiamo incontrato sia il MET che il Guggenheim e abbiamo già avviato il processo per organizzare delle cose insieme. Porteremo opere di nostre istituzioni a New York e porteremo a Torino opere da New York.
Negli ultimi decenni Torino ha puntato moltissimo sulla cultura. Perché ritiene che per una città in trasformazione sia strategico investire in cultura?
Noi partiamo da una considerazione semplice quanto decisiva: nell'epoca della globalizzazione la competizione non avviene più solo tra imprese ma anche tra territori. Sono forti i territori che sono attrattivi, che offrono un'alta qualità della vita, che offrono sapere e conoscenza. Nessuno sceglie di andare a vivere in una città desolata. Se investo in sapere, ricerca, innovazione avrò un luogo attrattivo che sarà in grado di offrire delle opportunità. Sono finiti i tempi in cui, appena c'erano delle difficoltà economiche si andava a tagliare la cultura che veniva ritenuta non indispensabile e quindi finiva per essere la prima a risentire di ogni crisi. È anzi proprio nei momenti di crisi che è importante investire in cultura.
Perché il sistema cultura sia fattore di crescita sociale, tuttavia, è necessario che sia inclusivo, che garantisca a tutti la possibilità di usufruire dell'offerta culturale. Qual è la formula di Torino per un sistema socio-culturale accessibile a tutti?
È importante e necessario garantire pari opportunità e accessibilità per tutti. Il fascino degli USA e di New York, d'altra parte, è proprio quello del pionierismo, del potercela fare. Una volta, durante uno dei miei primi viaggi a New York, ho incontrato due fratelli italoamericani. Il nonno era partito dall'Italia come falegname e arrivato qui si era messo a fare intelaiature per finestre. Oggi i due fratelli sono i più grandi produttori di infissi della East Coast. Quando chiesi loro cosa l'America avesse dato loro, mi risposero: istruzione e opportunità. Beh, secondo me questo è tutto.
Tuttavia ultimamente New York, diventata carissima, sta perdendo quella capacità di accogliere anche chi ci sta ancora provando. Chi non ce l'ha ancora fatta non può più permettersi di vivere in questa città. Cosa succede invece a Torino?
Su New York non so e sicuramente non voglio dare lezioni a nessuno, ma noi, nella trasformazione urbana della città, ci ispiriamo a principi di mixità sociale con l'obiettivo di rompere la gerarchizzazione del territorio. Evitiamo di creare zone accessibili solo a una certa categoria sociale. Un territorio articolato allarga le opportunità.
Cambiando argomento, lei fu autore della legge elettorale che garantisce il diritto di voto degli italiani all'estero. Oggi i saggi di Napolitano vorrebbero cambiare quella legge. Cosa ne pensa?
Io credo che bisogna tenere conto delle specificità di ogni paese. L'Italia è un paese da cui in due secoli sono partiti in 60 milioni. Il 12 per cento ha anche mantenuto la cittadinanza. C'è un'altra Italia nel mondo. È assurdo pensare che queste persone non debbano avere alcuna rappresentanza. Credo che una legge che garantisca il diritto di voto agli italiani all'estero sia semplicemente il riconoscimento di un diritto di rappresentanza democratico innegabile. Oggi più di prima, perché se prima non c'era sistemi di comunicazione e chi partiva finiva davvero per vivere un distacco profondo dalla terra d'origine, oggi con internet e i tanti mezzi di comunicazione che abbiamo a disposizione non è più vero che gli emigranti non sanno nulla dell'Italia, anzi sono informatissimi e quindi non vedo perché non dovrebbero votare.
Per che squadra tifa Fassino?
Juve. Ma come sindaco ogni domenica mi auguro che vinca anche il Toro. Tranne quando c'è il derby…
Mi tolga una curiosità: come fa a essere così magro vivendo in una regione dove si mangia così bene?
Perché corro dalla mattina alla sera da una parte all'altra.