La spagnola Telefonica ha acquistato Telecom, o meglio il 66% di Telco, che controlla il 22,4% di Telecom Italia e nomina la maggioranza dei membri del Consiglio di Amministrazione. Negli ultimi anni, i marchi passati nelle mani dei non italiani sono davvero molti. Anche se abbiamo già avuto modo di parlarne precedentemente, ne ricordiamo alcuni: Bulgari, Parmalat, Loro Piana, Invernizzi e Locatelli ai francesi, Buitoni, San Pellegrino agli svizzeri, Algida ad un gruppo anglo-olandese, la Peroni ai sudafricani, Valentino a quelli del Qatar, ecc… Non è una difesa del Made in Italy quella di cui vogliamo discutere. Sappiamo bene che in tempi di globalizzazione, volenti o nolenti, si determinano questi processi, soprattutto se si tratta di capitali che non hanno cittadinanza. Quello che ci interessa, sono certi ricorsi storici succedutisi nella penisola che nel tempo sembrano mostrare caratteristiche simili.
Mi sono venuti in mente, di getto, gli eventi che caratterizzarono la discesa di Carlo VIII nella penisola. L’Italia era da sempre considerata “il giardino d’Europa”. oppure il “giardino dell’impero”, così ci definivano, per i frutti della terra, il buon clima ed il lavoro secolare degli italiani. L’Italia suscitava le brame e l’invidia degli altri popoli, che rovesciarono truppe all’assalto delle ricchezze materiali e paesaggistiche italiche, consapevoli che non esistesse uno stato forte e dominante.
Carlo VIII rivendicava dei diritti ereditari sul Regno di Napoli e per mettere le mani sulla penisola non esitò a prendere le armi dalla Francia. Trovò l’appoggio di Ludovico Sforza (detto il Moro), ma anche degli Este di Ferrara, dei Gonzaga di Mantova e di Giovanni della Rovere, cardinale nemico di Papa Alessandro VI (Rodrigo Borgia) e potremmo dire, anche se le vicende sono complesse, una certa neutralità veneziana. Insomma, gli Stati italiani erano troppo litigiosi e instabili per vedere chiaramente in Carlo VIII un nemico da fermare. Ognuno, dalla discesa del re francese, ne avrebbe potuto ricavare qualcosa. L’importante era che nessuno dei Signori italiani predominasse. Si accorsero solo successivamente, con la facile conquista del Regno di Napoli, che le aspirazioni e il potere di Carlo VIII divennero sempre più estesi.
Per la prima volta si formò una lega di Stati italiani per sconfiggere i francesi. I due eserciti si affrontarono nella celebre battaglia di Fornovo (6 luglio 1495). La battaglia durò pochissimo, circa un’ora, e sembrò finire in pareggio. Carlo VIII fermò le sue mire espansionistiche e tornò in Francia, gli Stati italiani con il maggior numero di perdite negli eserciti si misero a leccarsi le ferite, ognuno per conto suo. Chi avrebbe potuto veramente avvantaggiarsi della situazione, gli Stati italiani, non lo fece: si unirono giusto il tempo per combattere colui che all’inizio veniva visto come risolutori dei contrasti interni, per poi tentare di eliminarlo nel momento in cui si mostrò uno dei tiranni più spietati. Per molti storici quell’occasione avrebbe potuto dare inizio ad un processo di unificazione, qualcosa di simile uno Stato italiano, magari confederato. Forse la storia d’Italia sarebbe stata un’altra. Ma gli Stati tornarono ognuno nel loro “particolare”, diffidenti uno dell’altro, a volte amici altre volte nemici.
Questa diversità, costruita sull’idea del Comune e delle Signorie, fu per molti secoli una risorsa stimolante a livello commerciale, finanziario, strategico militare. L’Italia e i suoi Stati erano i più ricchi, poi la lenta decadenza dovuta all’impossibilità di contrastare insieme l’invasore. L’Italia divenne una penisola da conquistare: prima Carlo VIII, poi, pochi anni dopo, Carlo V d’Asburgo e i Lanzichenecchi, capaci quest’ultimi di saccheggiare, distruggere, annientare, in particolar modo Roma (1527). Da quel momento la storia si scriverà soprattutto in altre parti del mondo.
Magari qualcuno potrà pensare, a ragione, che c’è dell’ immaginazione ad affiancare questi episodi. Tuttavia, nei tempi contemporanei, non arrivano re o principi a conquistare ma capitali e manager a scalare le società. Come diceva Machiavelli: “A Carlo re di Francia fu licito pigliare la Italia col gesso”, cioè con grande facilità, segnando col gesso di tappa in tappa gli alloggiamenti per le sue truppe, così gli spagnoli di Telefonica sono entrati come le lame nel burro. Hanno acquistato le azioni di Telecom a 1,09 Euro quando nel 2006, prima di un lento e continuo ribasso, valevano quattro volte tanto. Generali, Intesa e Mediobanca, i principali azionisti di Telecom mi ricordano il ducato di Milano e quello di Ferrara, il Regno Pontificio, la Repubblica Venezia, la Signoria dei Medici a Firenze. Nell’incapacità di trovare accordi, nelle gelosie personali, nelle vendette e ripicche, nelle reciproche contestazioni lasciano campo libero allo “straniero”. Ciascuno sembra avvantaggiarsene a scapito dell’altro finché la situazione non sfugge di mano ed è necessario unire le forze per scacciarlo. Sarà necessariamente così? Noi raccontiamo un carattere, un modo di essere e di divenire. Ci auguriamo, tuttavia, che possibili spietati Lanzichenecchi post-moderni, questa volta, guardino altrove o siano un po’ distratti.