Reduce dalle performance newyorchesi incontro in un bistró di Soho Peppe Voltarelli: il cantautore e cantastorie calabrese che da venti anni gira il mondo con la sua chitarra. La nostra è una chiacchierata informale come quella che fai tra vecchi amici quando ti ritrovi dopo molto tempo in una città aperta come New York City in cui la libertà non è solo una chimera evanescente. A pochi isolati una moltitudine di ragazzi vestiti coi colori dell'arcobaleno festeggiano la sentenza della Corte Suprema che in questi giorni ha respinto la legge secondo cui gli unici matrimoni plausibili sono quelli tra persone di sesso diverso.
È un personaggio mitico Peppe Voltarelli, con una forte presenza scenica ed una potenza espressiva che afferra l'attenzione dell'interlocutore e la tiene stretta con i suoi concetti nobili ed autentici, molti dei quali vissuti e maturati on the road. Contempla l'essenza di una Calabria lontana e amara, dura come i suoi tratti lungo i quali prendono forma le sue parole. Peppe canta e si esprime con tutto quello che può: il suo volto si contorce, si trasfigura tra il dolore e l’ironia dei suoi testi unici per stile e per personalità. Voltarelli è ambasciatore di una Calabria diversa. Ne offre una visione differente rispetto a quella solitamente cristallizzata nel pensiero comune: filtrata dai suoi concetti è una splendida dea, a tratti malvagia, che lui ama e combatte.
Terra di Calabria: madre o matrigna?
Quando ho iniziato a viaggiare per il mondo, molti anni fà, ero poco più che un ragazzino, e la mia terra, la Calabria, era diventata ingombrante al punto da farmi paura. Generalmente evoca cose molto diverse, ma nell’idea collettiva di allora rappresentava soprattutto il male, la malavita, e questo mi pesava molto. Io sentivo dentro me una responsabilità molto grande, quella di dover riscattarla per quello che potevo, veicolando un’immagine nuova della mia terra fatta di gente ricca di speranza e di sogni.
Cosa è cambiato da allora? Si sono accorciate certe distanze?
Non puoi fare a meno di prendere certe distanze da una parte di Calabria quando intraprendi il tuo cammino verso l'emancipazione. Rimane sempre un riferimento importante da cui prende forma la mia essenza e la mia identità, ma purtroppo è una terra che ancora non ha fatto delle scelte chiare come molte altre regioni e territori del mondo. La Calabria deve iniziare a scegliere da quale parte vuole stare.
Quanto è grande la potenza della musica popolare intesa come strumento di denuncia, di informazione e anche come connessione tra le diverse culture del mondo?
La musica ha questo potere straordinario di unire la gente. Attraverso le mie canzoni, che spesso raccontano realtà drammatiche del nostro paese, cerco di documentare e di far conoscere le nostre radici di calabresi e di italiani. La tarantella ha più connection nell’East Village di New York che nell’Aspromonte, per quanto mi riguarda. Bisognava sdoganare quel senso di racconto doloroso e lamentoso che intrappolava certe musiche tradizionali, dandogli un respiro liberatorio ed un carattere internazionale grazie anche alle contaminazioni di musicisti eccellenti che hanno imparato ad amare la nostra musica popolare.
Dai talent show ai fermenti musicali sottotraccia: che periodo vive la musica italiana?
Nell’arte la competizione serve, è una componente stimolante che spinge a fare meglio, ma il processo creativo non deve e non può risolversi solo in questo. Nei talent show che vediamo oggi l’80% è competizione. Si lascia poco spazio alla ricerca dell’identità propria dei ragazzi, e molto spesso ci ritroviamo con una serie di emulatori che sono a tempo determinato e vengono cambiati ogni 6 mesi come le guarnizioni della macchinetta del caffè! In questo le produzioni hanno delle responsabilità. Ci sono molti fermenti musicali positivi in Italia. Torino e Catania credo che siano le piazze migliori in cui si sviluppano dei percorsi interessanti. Le vere novità sono quelle che arrivano dal basso, e che si sono sviluppate per via del crollo del mercato discografico.
Circuiti alternativi virtuosi?
Ci sono diverse etichette indipendenti che sostengono dei giovani talenti di musica underground, Indie-rock, etnica. In Italia esistono centinaia di piccoli festival che alimentano dei circuiti alternativi vivi e produttivi.
Tu che giri il mondo ed hai modo di toccar con mano certe realtà dimmi quanto è grande la Calabria fuori dalla Calabria?
Ci sono infinite Calabrie fuori dall’italia, ed io ho avuto la fortuna di conoscerle e di creare delle connessioni tra loro. Ho visto posti e conosciuto storie di persone che purtroppo non vengono raccontate dai media. Quanto i calabresi lottano, soffrono e diventano grandi fuori dalla nostra terra, spesso non fa notizia. In America, come in Canada ci sono delle grandi comunità di conterranei, anche di seconda e terza generazione che conoscono le nostre radici culturali meglio di noi. In Australia ho trovato in alcuni negozi i dischi in vinile di Rosa Balestrieri: incredibile! La vecchia guardia ovviamente resta legata al ricordo nostalgico della festa del Carmine, che mantiene il suo fascino, ma le nuove generazioni si documentano con perizia e fortunatamente non interrompono la ricerca, mantenendo viva la loro voglia di restare calabresi.
Dopo New York andrai a Montreal dove sei stato invitato per il Jazz Festival.
Si, sono stato invitato per due concerti alla 34 edizione del Festival internazionale del Jazz di Montreal, in Canada. È una grande soddisfazione. Pur non appartenendo ad un circuito prettamente commerciale la mia musica viaggia nel mondo e raggiunge traguardi importanti che la premiano.Io canto la stanchezza di certe dinamiche del nostro paese, che combatto con un’azione concreta: quella che faccio ogni giorno nei locali, nelle piazze, nelle scuole. Porto il mio messaggio di apertura verso l’altro, verso l’esterno. Quella bellezza unica che nasce dal confronto tra le culture e le esperienze diverse. Quell’Italia alternativa che esiste e che per certi versi rappresento.