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July 6, 2013
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Intervista a New York con Raffaele Sollecito: “La giustizia italiana è come una roulette”

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Raffaele Sollecito

Raffaele Sollecito

Time: 33 mins read

Ai lettori de La VOCE di New York presentiamo il trascritto dell’intervista con Raffaele Sollecito realizzata lunedì all’interno del Palazzo di Vetro dell’ONU, intervista concessa in esclusiva a Radio Radicale.  Raffaele, che in queste settimane si trova negli Stati Uniti, aveva già concesso delle interviste ai network tv americani, e ha accettato di parlare con la Radio quando, venerdì 28 giugno, avevamo avvicinato Sollecito dopo averlo riconosciuto ad una importante conferenza sulla pena di morte che si è tenuta al Palazzo di Vetro. All’Onu Sollecito doveva tornare lunedì per altri incontri,  non ci ha voluto dire con chi, ma sospettiamo con organizzazioni che si occupano di giustizia internazionale e diritti umani.

Ovviamente molti lettori conoscono la vicenda dell’allora laureando Raffaele Sollecito e della studentessa americana Amanda Knox, coppia di giovani innamorati finiti in carcere nel 2007 a Perugia con l’accusa di aver ucciso la studentessa inglese Meredith Kercher, che condivideva con Amanda l’appartamento. Poi i ragazzi furono assolti in appello nell’ottobre 2011 ma, notizia di queste ultime settimane, saranno sottoposti di nuovo a processo, questa volta a Firenze, dopo che la Cassazione ha annullato quella sentenza di secondo grado.

Il loro caso ha diviso l’Italia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti tra innocentisti e colpevolisti, per un processo giudiziario che sembra infinito e che continua a trascinarsi con tempi che proprio non hanno nulla a che fare con quella giustizia “pronta” di cui parlava un certo Cesare Beccaria oltre due secoli fa.

Eccovi il trascritto dell’intervista avuta con Raffaele Sollecito al Palazzo di Vetro e andata in onda giovedì su Radio Radicale.

Raffaele, sei qui a New York da circa un mese e mezzo, perchè sei venuto negli Stati Uniti?

Prima di tutto vorrei dire che concedo questa intervista pro bono, perchè da quando ero un adolescente sono sempre stato un sostenitore dei radicali e quindi di Radio Radicale. Sono venuto qui ormai da un mese e mezzo, prima di tutto per visitare una parte della mia famiglia che è americana e che diversi membri della nostra famiglia in Italia non avevano mai conosciuto. Dall’altra parte sto tirando su i fondi necessari per la mia difesa attraverso la rete di sostenitori che ho qui negli Stati Uniti. Sto facendo interviste appunto, per rendere pubblica la situazione e spiegare la tremenda ingiustizia che sto vivendo. E dall’altra parte anche per riuscire a sostenermi economicamente per la prossima battaglia che dovrò affrontare.

Quindi per la tua battaglia legale tu pensi che restare qui negli Stati Uniti ti possa dare più possibilità di trovare, oltre che dal lato economico, un supporto anche dal lato morale, emotivo? Ti senti qui in una situazione più a tuo agio che stando in Italia per quanto riguarda la tua vicenda, ti senti meglio in America che in Italia in questo momento?

In questo momento direi che gli italiani sono molto condizionati dalla pessima pubblicità che si è sempre fatta su questo caso da parte dei media italiani, e qui ricevo molto supporto sia perchè ho scritto un libro, con la casa editrice americana Simon and Schuster, e sia perchè sono molto sensibili ai casi di ingiustizia qui, in quanto le regole, le leggi che ci sono negli Stati Uniti per quello che riguarda i diritti civili, sono molto più restrittive e chiare… Invece in Italia a quanto sembra si può andare avanti  facendo processi contro una persona ad ampio raggio, senza che nessuno possa mai mettere la parola fine appunto, così c’è qualcuno che nell’alto del suo potere può continuare a reiterare nei processi nei confronti dell’accusato.

Anche se, per la verità, venerdì hai assistito ad una conferenza qui all’ONU dove sotto accusa e sulla pena di morte sono stati messi gli Stati Uniti, con ad esempio il caso dei tre di West Memphis, di quei condannati a morte che dopo 18 anni di galera, sono stati trovati non colpevoli. Quindi diciamo che anche qui negli Stati Uniti c’è un problema giustizia…

Si certamente il problema giustizia c’è ovunque. Io parlo della sensibilità ai casi. Perchè, nel caso di West Memphis, dove ho notato che ci sono delle analogie su come è stata condotta l'indagine, come il pubblico ministero ha condotto le accuse, ci sono delle analogie che sono sconcertanti.

Ci puoi dire qualcosa su queste analogie col tuo caso?

L’ossessione della teoria accusatoria nei confronti di questi ragazzi, che per vie circostanziali purtroppo non si riuscivano a trovare delle prove solide anche perchè questo delitto è stato fatto all’aperto non al chiuso e ci sono molte differenze sul delitto stesso. Ma proprio la strategia accusatoria e la volontà accusatoria, che si è protratta con una teoria quanto meno, poco plausibile e assurda contro questi ragazzi, fino al punto di non dargli spazio per nessun tipo di teoria diversa e c’era appunto l’ostinazione dell’accusa stessa. Questi ragazzi non hanno avuto la possibilità di difendersi, ma ovviamente il caso di per sè è molto diverso. Però una volta che si è fatta chiarezza dopo anni e anni, lo Stato ed il sistema hanno cercato di porre rimedio al danno, nel caso mio invece, lo Stato sta perpetuando nell’errore e questa cosa è abbastanza deplorevole.

Quindi tu in questo momento non ti fidi della giustizia italiana?

Io non… semplicemente la giustizia italiana è diventata come una roulette, nel senso che non si sa mai quello che ti capita, perciò ho paura di come queste persone che mi accusano, abbiano questo enorme potere ed usano questo potere per distruggermi la vita, tenendo questo caso come molto personale. Ho visto ultimamente il capo della magistratura di Perugia,  sarebbe il procuratore capo, che in una conferenza stampa ha affermato parole del tipo “abbiamo vinto” o “la corte di cassazione ci ha dato ragione”. Sono stato sconcertato da queste parole, perchè non ho capito che tipo di lotta è questa o se magari è una partita dove ci sono persone in squadre che si fanno gol vicendevolmente, questa cosa mi lascia alquanto perplesso e disarmato perche si parla di vite umane. Non è una battaglia. Ed il fatto che loro l’abbiano presa così personalmente, mi fa tremendamente paura di come stanno affrontando la cosa. Oltretutto c’è da considerare un’altra cosa che per me è degna di nota, è che durante il processo di appello quando c’è stata la sentenza, molte persone provenienti dalla questura di Perugia, e dagli ambienti della procura perugina erano tutti in fila dietro, appoggiati al muro, in divisa, ad aspettare la sentenza in segno di disapprovazione. Questa cosa è un segno chiarissimo della loro presa di posizione personale nella vicenda ed è stato, posso elencare anche altri episodi, dove si è visto chiaramente che la polizia di Perugia e gli investigatori nel mio caso, hanno preso di petto la questione come se dovessero in qualche maniera vincere la battaglia o dimostrare qualcosa per forza per poter essere, in qualche maniera….per avere ragione in quello che dicono.

Da quando sei arrivato negli Stati Uniti hai avuto contatti con Amanda? Vi siete sentiti?

Certamente, ci siamo visti a New York per puro caso perchè lei doveva venire qui per parlar con la sua pubblicista ed io ero qui dai miei familiari.

Perche lei è appena uscita da circa un mese col suo nuovo libro…

Si ci siamo incontrati, ci siamo visti un giorno, e per puro caso è successo che ci siamo visti proprio il giorno che è uscita la sentenza, cioè che sono uscite le motivazioni della sentenza della Cassazione e questa cosa ovviamente non ci ha dato un buon incontro, nel senso che è stata una giornata un po’ travagliata e proprio perchè ci stavamo chiedendo come mai c’è questo accanimento.

Ma lei ha capito, lei riesce, dato che ha passato tanti anni ormai in Italia, riesce a capire il sistema giudiziario italiano oppure ancora per lei è un oggetto misterioso?

Ma diciamo che è un oggetto misterioso un po' per tutti penso. Dall’altra parte ovviamente lei era molto più sconcertata dall’atteggiamento e dalla decisione in sè, che non nel capire il sistema stesso. Anche perchè di questo passo, una persona può… diciamo che per l’accusa non fa niente quante volte una persona può essere assolta, tanto può sempre fare ricorso fino a che la Cassazione può rimandare tutto il processo, perchè magari non gli è piaciuta la sentenza.

Da quando sei qui, negli Stati Uniti, tu ovviamente sei in contatto con i tuoi avvocati, con la tua famiglia, con i tuoi amici, ma da quando guardi alla tua vicenda dall’America  cosa è cambiato, c’è qualcosa che vedi di diverso, c'è qualcosa di cui magari ti rendi più conto da qua, che ti risulta più lucida, più chiara, oppure al contrario ti si è complicato ancora di più tutto?

Diciamo per come sono andati i fatti, li conosco perfettamente quindi non c'è nessuna complicanza sui fatti di per sè. E' che guardando alle cose in modo più razionale, sono ancora più sconcertato e sono ancora più in disapprovazione rispetto alle metodologie e da come vengono condotte le cose nel nostro caso. Il pubblico fin dall’inizio in questo processo… io sono stato messo in carcere per degli indizi che non avevano nessuna sostanza e le prove, contro di me le hanno cambiate durante la mia detenzione. Cioè hanno fatto le indagini e sono venuti fuori con altre prove durante la mia incarcerazione, non prima di mettermi in carcere. Ho passato più di una settimana senza parlare con nessun avvocato, perchè mi è stato vietato da un documento che il pubblico ministero non ha mai messo agli atti e che ha sempre detto di aver avuto ma che non è mai uscito. Non mi è stata data la possibilità di discutere le prove del DNA durante tutti gli anni della mia incarcerazione fino all’appello. Il preciso momento in cui ho avuto la possibilità di avere una perizia da parte di persone indipendenti chiamate dalla corte sul DNA e sulle prove è stata soltanto in appello, non c’ è mai stata prima per me la possibilità di poter discutere di quello che la polizia aveva fatto, visto che ci è stata sempre negata anche la possibilità di accedere ai dati grezzi che riguardano le perizie stesse fatte dalla polizia scientifica.

L’ultima domanda. Tu sei ancora giovane, hai 29 anni, da qui a 10 anni Raffaele Sollecito dove lo vedi? Cosa pensi farà? Sei ottimista o pessimista sul tuo futuro e dove ti vedi, in Italia o in un altro paese?

Io sinceramente non so cosa pensare del mio futuro. Prima di tutto ne voglio costruire uno, a prescindere da quello che sia, devo avere la possibilità di farlo. Io sono ottimista altrimenti non sarei qui a combattere questa battaglia, sono ottimista di carattere e vivo per… Fondamentalmente la mia personalità è basata sui miei sogni e sulle emozioni che posso avere durante la vita quotidiana che possono essere una carezza, un abbraccio, l’avere una persona accanto che condivide con te ogni momento della vita come può essere una donna che ami. E quello che sono i sogni nella mia vita son sempre stati, cose semplici, tipo ad esempio avere una bella famiglia.  Avere una donna che amo e che mi ricambia nell'amore o avere un grosso cane e tanti figli, o avere la possibilità di fare nel mio lavoro quello che più mi piace. Tipo ho sempre sognato di programmare i videogiochi e di riuscire ad avere successo in questo, con la mia creatività e con la mia fantasia e i miei sogni e le mie speranze.

 

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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