Il CAV. Nicola De Rosa (nella foto) oggi ha sessantasei anni, ne aveva diciannove quando lasciò Controne (Salerno), novecento anime alle pendici degli Alburni, e si imbarcò sulla nave Raffaello, destinazione l’America. De Rosa, tranquillo ed elegante signore in vacanza con la moglie, è un uomo generoso, anche se la vita non è stata generosa con lui. Un velo sottile di malinconia copre i suoi occhi mentre, senza timori, si racconta. Nel 1991 papa Wojtyla lo volle Cavaliere del Sacro Sepolcro di Gerusalemme, nel 1995 il presidente della Repubblica Scalfaro gli conferì l’onorificenza di Cavaliere Ufficiale della Repubblica Italiana.
Quando partì dall’Italia e perché?
«Nel 1966, perché c’erano solo debiti e cambiali. Mio padre faceva l’industria boschiva e io lavoravo con lui, il mondo girava così, non c’era denaro».
L’America era la speranza?
«Mia nonna materna, Filomena Odato sposata D’Agosto, viveva a New York, ci aveva fatto l’atto di richiamo. Partii con mio padre, mia madre, mio fratello e una delle mie sorelle. L’altra rimase qui. Avevo 19 anni. Ci imbarcammo il 18 febbraio 1966, arrivammo a New York sette giorni dopo con la nave Raffaello».
Com’era la vita a bordo?
«Per me fantastica, per il divertimento e per le bellezze. Fu così fino a Gibilterra, poi le cose cambiarono in peggio».
Che cosa ha lasciato a Controne?
«Gli affetti dell’infanzia, Controne è come una calamita per me».
Come fu il suo impatto con New York?
«Difficile, non conoscevo l’inglese ma incominciai grazie ai fratelli di mia madre che mi fecero lavorare come stuccatore. Poi lavorai in una panetteria. Nel 1969 mi sposai e cambiai lavoro, il panettiere lavora di notte e mia moglie non voleva star sola. Mi diedi al settore decorazione pittura. Poi arrivò la proposta di lavorare negli alberghi, prendevamo appalti, avevamo sei dipendenti».
A un certo punto accade qualcosa di particolare.
«Nel dicembre del 1973 caddi e nella mia gamba sinistra si formò un ematoma, ad aprile i medici scoprirono che avevo un tumore alla gamba. Asportarono il male, ma sei mesi dopo ricomparve. Mentre nella mia gamba cresceva il tumore, altri tre se ne sviluppavano nei polmoni. Quella caduta mi salvò la vita».
Si trovò ad un bivio e fu obbligato a scegliere.
«Il medico che mi amputò la gamba, prima di operarmi mi disse: non devi sentirti diverso, sarai più forte di prima. Avevo 27 anni e due bambini. Lo autorizzai ad operarmi».
Fu un’esperienza dura?
«Durissima, ma solo per il primo anno, poi ho dovuto accettare. All’inizio mi sentivo inferiore, sentivo gli occhi della gente sui miei passi. Superai tutto anche grazie a mia moglie che ha vissuto tutto ciò come se nulla fosse accaduto».
Una parentesi dura dalla quale è uscito fortificato grazie all’amore di Giovanna, la sua compagna di vita. Poi le cose cambiano per questo ragazzo di Controne con cui la vita non era stata generosa.
«Mio suocero mi prese a lavorare nel suo ristorante, imparai a fare il pizzaiolo, ci rimasi qualche anno. Tra il 1979 e il 1980 stavo a casa, mi stancava il lavoro del ristorante».
La svolta avviene dopo il terremoto in Irpinia.
«Molte persone venivano in America, le accompagnavo al Consolato, le mie erano opere di beneficenza. Un paio d’anni dopo Di Lorenzo, il Console italiano a New York, mi chiese di lavorare con lui, di accompagnare le delegazioni provenienti dall’Italia».
Da trent’anni accompagna le autorità italiane a New York, ha la stima e la fiducia delle Nazioni Unite, dell’Ambasciata a Washington, del Console Generale. Ha accompagnato i presidenti della Repubblica, i ministri, i primi ministri. Con chi ha maggiori legami?
«Il più esatto è Andreotti, educato e preciso negli orari. Mi scrive ancora di suo pugno gli auguri di Natale».
Perché nutrono sentimenti nei suoi confronti?
«Perché quando vengono a New York i politici sono diversi da qui. Sono come pecorelle smarrite, si affidano a me, per loro sono un punto di riferimento e tutto quello che si dicono resta segreto. È la mia regola».
Quali auto chiedono per accompagnare le delegazioni italiane a New York?
«Prima le limousine, dal 1992 invece preferiscono le berline».
Recentemente i suoi collaboratori hanno accompagnato il presidente Monti, mentre scriviamo stanno accompagnando il ministro Fornero. Il far del bene al prossimo è una costante della sua vita, tanto che fonderà la Casa dei Bambini.
«Una casa per accogliere i bambini in terapia postoperatoria, non tutti potevano permettersi di pagare una casa o un albergo. Fu un progetto mio e del vice console di New York, Armando Tancredi. Poi l’abbiamo venduta e con il ricavato abbiamo comprato un piano attiguo all’ospedale che ospita ancora bambini in terapia post-operatoria».
Che cosa la lega a Controne?
«I ricordi dell’infanzia e la cordialità del vicinato, la gente del paese. Sono un po’ rimasto deluso, un tempo il bisogno e la miseria ci univano. Io sono rimasto legato a quella tradizione, ma la gente del paese è cambiata.