Lei si chiama Emanuela Galliussi ed è una giovane attrice italiana che vive a Manhattan. Ha lavorato per il cinema (Medina, Muccino, Binasco, Ottaviano, Soavi e altri), per la televisione (Ferrari,De Maria, Gaudino e altri), e per il teatro (Paravidino, Comenicini, Landi e altri). È attualmente autrice, attrice e coproduttrice di una neonata webseries girata interamente a New York, che si chiama “Metamorfosis”. Per il futuro ha grandi progetti, su cui però non si sbilancia ancora.
Emanuela, com’è nata la tua passione per la recitazione?
«Avevo 7 anni quando ho iniziato a studiare danza al Piccolo Teatro a Udine, e 9 quando ho iniziato a fare teatro. Volevo fare la ballerina, ho ballato in una compagnia stabile e a 15 anni mi avevano presa alla London Contemporary Dance School, ma la perdita improvvisa di mio fratello rivoluzionò tutta la mia vita così decisi di rimanere a Udine. Il teatro iniziò piano piano a essere sempre più presente fino a mutarsi in totale necessità».
E cosa hai fatto affinché questo desiderio (necessario) si trasformasse in realtà?
«A 18 anni mi sono trasferita a Roma e nel 2002 mi sono diplomata alla Silvio D’Amico. Ho iniziato così a lavorare al cinema e in televisione. Ho avuto la fortuna di lavorare con registi sensibili e attenti come Valerio Binasco il quale mi ha affidato, nella sua prima regia cinematografica, il ruolo di Valentina, ragazza non vedente, e Fulvio Ottaviano che, con “La talpa al bioparco”, mi ha fatto scoprire il mio lato comico».
Raccontaci come è successo che dall’Italia ti sei trasferita a New York.
«Nell’agosto nel 2006 mi sono trovata costretta a rimanere a Roma per girare un film, un thriller psicologico su un gruppo di sopravvissuti. Improvvisamente un mio amico mi ha chiamato e mi ha parlato di quest’“acting coach” americana, Susan Batson, che lavorava con Juliette Binoche e Nicole Kidman: “Manu, fa un seminario per dieci giorni a Roma”, mi ha detto. E io: ”No seminari basta” e lui:”Manu, dicono che è capace di far arrossire gli attori in scena”. E, infine, io: ”Quando inizia?”. Ed eccolo lì, l’incontro che ti cambia la vita. Per i primi tre giorni di laboratorio mi ero convinta che questa donna era solo una pazza, ed ero sicura di stare spendendo male i miei soldi, e poi improvvisamente: il colpo di fulmine. È stata la donna che mi ha insegnato cosa vuol dire ricercare la verità dentro se stessi e come trasferirla al personaggio.
Che mi ha dolcemente spinto ad andare all’estero. Che mi ha finalmente detto che i miei sogni non erano utopie ma erano solo delle belle mete da raggiungere. E così è iniziato il mio viaggio: Londra, Parigi, New York. Ho lavorato con Juliette Binoche e Susan Batson a Parigi e nel 2009 ho ricevuto il visto artistico per poter lavorare negli Stati Uniti. Per il primo anno, pur avendo il visto, non ho messo piede negli Stati Uniti, perché volevo con tutta me stessa lavorare nel mio paese, cambiare le cose. Nel 2010 ho fatto avanti e indietro tra impegni a Roma e Nyc; ho partecipato a uno stupendo spettacolo teatrale “La malattia della famiglia M”, per la regia di Fausto Paravidino, che mi haaffidato il ruolo di Maria in una commedia checoviana (come spesso è stata descritta), in cui tutti sono malati di amore, della mancanza di amore, di comunicazione, nessuno sa dare e nessuno sa ricevere».
E quindi poi hai deciso di rimanere a New York?
«Poi gli impegni a NYC si sono infittiti. Ho girato una webseries “The Realm”, diretta da Caio Ribeiro, un film, “Days & Nights” di Jacques Zanetti, “The Prescription” di Medina, “The Liberation of James Joyce” di Ryan Alexander, “When Dogs Run Free” di Dan Cowen, “Placebo” di Justin Ho e una puntata pilota di una serie di improvvisazione per la tv. E poi l’ultimo lavoro, in corso, la webseries “Metamorfosis” che sto scrivendo con Jenniffer Turpeau».
Parlaci allora un po’ di “Metamorfosis”.
«È una serie per il web che parla di due donne, entrambe hanno appena concluso la loro relazione, entrambe si trovano ad affrontare questo dolore, per capire, infine, che per amare veramente senza essere “bisognose d’amore”, è necessario prima di tutto riuscire ad amare se stessi per evitare di cadere nell’autoannullamento, nell’annullamento della propria personalità. Tutto questo succede a NYC, città che accoglie entrambe: una portoricana e un’italiana (interpretata da me). E quindi si parlerà anche della difficoltà sociale di vivere in un paese straniero: per esempio Angelika,l’italiana, si troverà ad affrontare il problema del visto e del lavoro. Quindi, anche se la città di New York gioca un ruolo fondamentale, “Metamorfosis” si allontana di molto dal genere “Sex & The City”. Non è una serie contro gli uomini (nel senso di genere), ma parla piuttosto di come tutti gli esseri umani debbano affrontare necessariamente una trasformazione (metamorfosis) nel corso della loro vita. Ogni episodio avrà un regista o una regista diverso/a, perché c’è l’idea di voler rappresentare i diversi punti di vista e il gusto artistico differente dato dalle diverse culture. E quindi abbiamo già confermato come “directors” un americano, una paraguayana e un asiatico».
Perché avete scelto il web?
«Perché è libero, perché è gratis per gli spettatori/utenti e perché permette di raggiungere tutti: dall’Italia, agli USA, all’Asia».
Cosa pensi attualmente dell’Italia?
«Voglio ancora lavorare nel mio paese ma, quando ho deciso di andare via, ero troppo stanca perché combattevo contro un muro di gomma: i pugni e le urla rimbalzavano e mi colpivano così forte che mi avevano stordito e mi stavano mandando al tappeto. Non è sempre facile, lontani da casa, dagli affetti, da tutto ciò che culturalmente ti è familiare, ma l’energia della sfida, della possibilità è per me semplicemente… vita».