Nel 1992, un professore di politica economica internazionale della Boston University, Ishwer Ojha, nato in India con studi in America, iniziava ogni lezione facendosi una grande risata. Poi, di colpo, diventava serio, puntava il dito sugli studenti e sgranava gli occhi: “Siamo ormai entrati nell’era dell’information highway – l’autostrada dell’informazione – . Io andró in pensione l’anno prossimo rilassandomi su una sdraio in una bella spiaggia. Voi, mi dispiace dirvelo, invece siete nella merda! Vi toccherá partecipare, essere sempre ’on’”. Proprio cosí, ’in the shit’, “nella merda”, ci diceva il professor Ojha, perché non potremo che partecipare, essere sempre “on”: in allerta, in tensione, col motore delle nostre facoltá di scelta sempre acceso.
Io e i miei colleghi allora non capivamo, lo prendevamo un po’ per picchiatello: un genio e quindi anche un po’ matto. Arrivato all’ultimo semestre dopo trent’anni di carriera universitaria, Ojha aveva la fama di ’premonitore’ ma quando avvertiva noi studenti cheuna nuova tecnologia avrebbe reso la vita piú difficile ci appariva troppo pessimista.
Eppure insisteva: il mondo avrebbe azzerato la velocitá di comunicazione, la rivoluzione dell’informazione avrebbe trasformato non solo il nostro modo di lavorare, ma anche di pensare e che non sarebbe stato facile per nessuno adattarsi in tempo ad un lavoro che in poco tempo sarebbe già diventato obsoleto. E poi provava a a spiegarci che quella ’magia’ chiamata Internet, che in biblioteca sperimentavamo per le nostre ricerche:invenzione pensata per il Pentagono ma che avrebbe sconvolto equilibri di comunicazione in tutto al mondo, un’arma micidiale che avrebbe portato rivoluzioni.
Altro che ’La fine della storia’ di cui il politologo Francis Fukuyama scriveva proprio nel ‘92: secondo Ojha, la storia avrebbe viaggiato ad una velocitá mai conosciuta prima e noi studenti ventenni dovevamo prepararci a non sbattere girata la prima curva.
in foto il prof. Ishwer Ojha
A venti anni di distanza, il “saremo nella merda” del Prof. Ojha appare piú chiaro. Giá a metá del percorso, dieci anni fa, ricordo un libro di Giuliano da Empoli, uscito in Italia per la Marsilio, intitolato ’Overdose. La società dell’informazione eccessiva’. L’allora giovanissimo autore, subito dopo l’11 settembre, ci avvertiva che essere in grado di leggere e guardare in diretta tutto, non significa captare la verità, che capire gli avvenimenti è ancora più difficile quando si è bloccati nel flusso degli eventi. In quel saggio si affermava che per i mass-media la grande sfida non stava piú tanto in quella di riuscire nell’accesso agli eventi ma nel capirli e farli capire.
Guardando a questa “crisi” che colpisce ovunque punti lo sguardo, qui negli Stati Uniti, in Italia, in Europa, Medio Oriente, ti accorgi come ’sapere tutto’ non equivale necessariamente a capire il presente nè tantomeno a raddrizzarlo.
Non si cerca qui di affermare che la censura è l’antidoto alle conseguenze della troppa informazione. Che se ’lasciamo lavorare’ in pace chi ci governa senza sapere sempre tutto di quello che fanno, avremo risultati migliori per tutti. Semmai é il contrario. No, la soluzione non puó piú essere quella ’cinese’ con i flussi di informazione adeguatamente filtrati. Quello che fa paura non é il sapere diffuso, ma gli effetti a cui dovrebbe portare e ai quali invece non porta: piú partecipazione e proposta dal basso ai programmi per le scelte da compiere. Detto in modo piú schietto: sappiamo di piú e quindi ci sembra di contare sempre meno nel processo decisionale delle scelte di chi ci governa.
L’esempio dell’Italia in questi giorni appare il piú evidente. L’ho giá scritto la scorsa settimana, che il governo Monti –al punto in cui si era arrivati- anche da New York appariva necessario ma che non ci fosse nulla da festeggiare. D’accordo, i salti di gioia per l’uscita di scena di Silvio il terribile: ma l’esecutivo tecnico resta comunque una tappa triste per la democrazia italiana.
Ci si affida ai ’professori’, che pur avendo indubbie capacitá, ma governeranno senza aver messo i loro programmi al vaglio di una competizione democratica. E già conosciamo l’obiezione: l’Italia é una repubblica parlamentare e la sovranitá del parlamento assicura che, mediante voto di fiducia, la sostituzione di un governo anche senza elezioni rientri nel naturale percorso democratico della legislatura votata nel 2008 eccetera eccetera “Bull shit!” avrebbe detto il Prof. Ojha, che, tradotto nel miglior italiano possibile, diventa un elegante “cazzate!”.
Non prendiamoci in giro: la soluzione ’Democracy Italian Style’ non sarebbe ammissibile negli USA cosí come nei maggiori paesi europei. Quindi temo che, in piena rivoluzione dell’informazione, in Italia la soluzione presa solo dall’alto sia una bomba pronta ad esplodere.
Se la troppa informazione per chi non ne aveva affatto, come accade in Egitto o in Siria, comporta il ’caos’ della piazza che non accetta piú decisioni senza la possibilità di partecipare, nei paesi dove la democrazia esiste giá, l’aumento delle fonti mediatiche dovrebbe comportare piú ’consenso’. Il cittadino piú informato vota piú convinto e il governo della maggioranza é sostenuto con maggior ragione. Cosí dovrebbe essere.
La democrazia non é una conquista facile, ma una volta iniziato il processo, ogni sua alternativa non funziona piú. La formula ’cinese”, infatti, puó essere applicata solo sui popoli che non hanno mai conosciuto la libertá di informazione ed espressione. Una volta assaggiata quella, non si torna indietro, come non si torna a mangiare ogni giorno riso dopo aver provato la carne.
Umberto Bossi, nel commentare la fiducia ricevuta alla Camera dal governo Monti, ha detto: “Durerá finché la gente incazzata lo caccerá”. Non siamo quasi mai d’accordo con il capo della Lega, ma questa volta come gli si puó dar torto, mentre stiamo andando tutti a mille allora nell’information highway? Siamo ’in the shit’ e non abbiamo alternative, siamo tutti “on” e dobbiamo partecipare.
Una precedente versione di questo articolo è stata pubblicata sull’appzine L’INDRO ed è disponibile su www.lindro.it/