“L’Italia è un paese che merita tanto, io sono contentissimo di essere italiano, sono contento di rappresentare l’Italia, sto cercando di fare il mio meglio”, con un sorrisetto, stringendo la coppa, perché il suo meglio oggi è il trionfo sull’erba di Wimbledon. Jannik Sinner lo ha detto alle telecamere di Sky Sport subito dopo aver battuto Carlos Alcaraz. Dovremmo saperlo, che ci tiene, visto che all’Italia ha fatto vincere le ultime due edizioni della Coppa Davis; ma anche se quasi tutta Italia è appesa spasmodicamente alla sua racchetta, c’è sempre qualcuno che protesta: non è italiano, o non è abbastanza italiano questo altoatesino nato in montagna, a San Candido, al confine fra Sud Tirolo e Austria, di lingua tedesca.
Fra le geometrie ossessive sul Centrale, l’emozione del bel gioco e la passione per due ragazzi (22 e 23 anni appena) che fra l’uno e l’altro hanno vinto gli ultimi 7 Slam; per gli italiani c’è anche (soprattutto: milioni di sono scoperti esperti di tennis all’improvviso) l’orgoglio nazionale. Sinner è il primo italiano a vincere il più prestigioso dei tornei, è il numero uno del mondo da oltre un anno, ha sfiorato la vittoria al Roland Garros sulla terra di Parigi e ha già vinto sul cemento veloce di New York e Melbourne. In altri termini si candida potenzialmente all’impresa storica, la vittoria dei quattro tornei dello Slam nell’anno solare (l’ultima volta nel tennis maschile riuscì a Rod Laver, era il 1969). Chi lo avrebbe sognato ancora due anni fa?
“Siete proprio voi che mi date la forza di continuare” ha detto Sinner. Due sono le critiche rivolte al campione dai capelli rossi. La prima, aver preso la residenza a Montecarlo (come peraltro una montagna di altri tennisti: ottimi campi, atmosfera tranquilla): e se è vero che i giocatori pagano le tasse sui montepremi nei paesi dove giocano, è anche vero che buon parte della fortuna che Sinner sta accumulando viene dalle pubblicità: orologi, spaghetti, caffè, creme solari, tormentoni a ogni cambio di campo. Per non parlare degli sponsor, dal borsone Gucci al contratto con la Nike. Si parla di decine di milioni di euro (qui un articolo che fa una disamina accurata anche delle enormi spese che sostiene un numero uno del mondo).
Gira in rete un’intervista a un Sinner diciassettenne che mostra la pressa che si era comprato per incordarsi le racchette da solo perché alla fine, dice, rappresenta un bel risparmio. È evidente che il ragazzo meraviglia, nato da una famiglia di lavoratori di un paesino di montagna, con la testa fredda che si ritrova, ha deciso di usare il suo immenso talento finché dura e assicurare il futuro suo e dei suoi, presenti e potenziali. Resta che su quei milioni di guadagni extra gioco, Sinner le tasse non le paga in Italia.
Ai milioni che lo adorano non importa. Ma l’altra critica è molto diversa: Sinner appunto non sarebbe abbastanza etnicamente “italiano”. In visita a Papa Leone con la famiglia, a domanda ha risposto “sì, a casa parliamo tedesco”. Ma proprio questo è il punto: che vuol dire essere italiano? L’Italia è un paese, per fortuna, ormai fortemente multietnico. Gli sportivi italiani sono variegati di tutti i colori. Non dovrebbe essere una novità:dai fenici ai greci ai cartaginesi (anche l’esercito di Annibale qualche figlio lo avrà seminato nella discesa dalle Alpi) ai saraceni ai normanni ai francesi angioini agli spagnoli agli austriaci, nella storia ne son passati tanti di conquistatori nello Stivale: siamo da sempre un melting pot esemplare, altro che ‘italica razza’.
L’Alto Adige, quella fetta di Tirolo a sud delle splendide Dolomiti, fortunosamente conquistato ormai oltre un secolo fa dai Savoia al tavolo della pace della prima guerra mondiale, è Italia quanto Napoli e Milano, per il semplice motivo (l’unico importante) che sono ormai gli abitanti a voler restare in Italia, per amore o per convenienza. Se c’è posto (e c’è posto, c’è posto) per gli italiani che arrivano dall’Africa e dall’Asia, con buona pace di chi vorrebbe respingerli, c’è posto anche per quelli con i capelli rossi nati fra i balconi coi gerani che a casa parlano tedesco.
Però l’Italia, quella istituzionale, ha perso un treno. Nella tribuna d’onore a Wimbledon non c’era nessuno (mentre era arrivato anche il re di Spagna Felipe a tifare Alcaraz alla caccia del suo terzo titolo). Non c’era il ministro dello Sport, Andrea Abodi, che ha cercato di rimediare con un post emotivo su X: il sogno dei sogni, “questo meraviglioso trofeo che sa di Tradizione, Valore e Onore. Con te non solo nella vittoria, nel giorno del trionfo, con te sempre” (ma a distanza, gli hanno fatto notare decine di italiani nei commenti).
Giorgia Meloni, anche lei abbondando con le maiuscole patriottiche, ha scritto “Un’altra pagina di storia per lo sport italiano: Jannik Sinner trionfa a Wimbledon e fa sognare un’intera Nazione. Orgogliosi di te, campione!”
“Ho intorno a me delle persone che mi vogliono tanto bene ed è la cosa più importante, oggi c’era la mia famiglia ed è la cosa più emozionante, grazie mille a tutti e ci vediamo in Italia” ha chiosato Jannik. L’ultima volta che è stato invitato al Quirinale, lo scorso gennaio, non c’è andato: era una cerimonia in cui Sergio Mattarella voleva celebrare i successi del tennis nazionale nel 2024, e va bene che c’erano Errani, Paolini, Berrettini, ma certo l’assenza di quella testa rossa pesava come un buco nero. Motivo, il consiglio medico di “riposo assoluto” dopo la vittoria agli Australian Open pochi giorni prima. Il capo dello Stato potrebbe essersi risentito. Se lo inviterà di nuovo, questa volta Sinner l’italiano prevedibilmente ci andrà.