“Le grandi ambizioni servono a coprire i grandi vuoti.”
— Paul Valéry
Parigi, 14 luglio 2025 –
Nel giorno simbolo della rivoluzione francese, Emmanuel Macron ha pronunciato un discorso che ambiva ad essere storico, ma che rischia di suonare come l’ennesimo esercizio di retorica in un contesto politico sempre più ostile, dentro e fuori dai confini nazionali. Di fronte alle telecamere, ai dignitari internazionali e alla cittadinanza riunita lungo gli Champs-Élysées, il Presidente francese ha chiamato l’Europa a una “svolta di sovranità”, evocando l’immagine di un continente capace di difendersi da solo, senza dipendere dalla protezione americana.
Il presidente oratore, ma non leader
Macron ha parlato da europeista convinto, come ha sempre fatto dal 2017, quando lanciò per la prima volta l’idea di una “sovranità strategica europea”. Tuttavia, oggi più che mai, le sue parole sembrano scollate dalla realtà politica. L’uomo che si propone come architetto del futuro dell’Europa è lo stesso che, in patria, fatica a mantenere un fragile equilibrio tra crisi sociali, opposizione parlamentare e crescente disaffezione popolare. La grandeur che evoca sembra più una nostalgia personale che un progetto condiviso.
Non a caso, in tutta Europa il suo appello ha trovato ascolto, ma non seguito. Le sue iniziative per costruire una difesa europea autonoma si sono moltiplicate negli anni — proposte di fondi comuni, industria bellica condivisa, comando militare europeo — ma tutte sono rimaste intrappolate in un limbo tra entusiasmo di facciata e realismo politico. Berlino temporeggia, Roma si concentra su altri dossier, i Paesi dell’Est si sentono più protetti sotto l’ombrello americano che sotto quello europeo. E così, Macron continua a parlare a nome dell’Europa, ma spesso appare solo.
Il caso Patriot: la sicurezza europea a pagamento
Tra i passaggi più forti del discorso c’è stata la critica aperta alla politica degli Stati Uniti, e in particolare alla dottrina ormai consolidata del “America First” di Donald Trump. Un principio che, secondo Macron, non solo indebolisce la solidarietà atlantica, ma trasforma la sicurezza europea in un affare commerciale. “L’America ci aiuta, ma ci presenta la fattura. La difesa comune non può essere un business”, ha affermato con tono polemico.
Il riferimento diretto è alle batterie Patriot fornite dagli Stati Uniti all’Ucraina, acquistate però con fondi europei. In altri termini: l’Europa sta pagando per i missili americani, e spesso a prezzi maggiorati rispetto a quelli del mercato interno statunitense. Non si tratta più di sostegno, ma di una transazione: Washington fornisce, l’Europa finanzia. Una strategia che ricalca perfettamente la visione del mondo di Trump, che ha più volte dichiarato che “la protezione ha un prezzo” e che “la NATO non è un’associazione caritatevole”.
Per Macron, questa situazione rappresenta il fallimento della promessa occidentale. L’alleanza atlantica, nata sulla base di valori condivisi, si è trasformata in un rapporto asimmetrico in cui gli Stati Uniti decidono, e l’Europa paga. Il paradosso è evidente: mentre Washington riduce il proprio impegno strategico sul continente, la dipendenza europea cresce. E il leader francese, pur criticandola, continua a subirla nei fatti.
Macron contro Trump: parole contro potere
La contrapposizione tra la visione di Macron e quella di Trump è tanto simbolica quanto concreta. Da un lato, un presidente che si presenta come paladino dell’integrazione europea, della diplomazia multilaterale, del progetto federale; dall’altro, un ex presidente tornato al potere che tratta la geopolitica come un’azienda da gestire: utile o dannosa, cliente o fornitore, alleato o concorrente.
Trump ha smontato ogni illusione di un’alleanza basata su ideali. L’America protegge solo ciò che le conviene. I suoi Patriot arrivano in Ucraina, ma a spese dell’Unione Europea. E non solo: Washington mantiene il controllo su tecnologia, aggiornamenti, munizioni e tempi di consegna. È un rapporto di subordinazione camuffato da cooperazione.
Macron prova a opporsi a questa logica, ma senza strumenti concreti. Denuncia, ma non dispone di una difesa europea alternativa. Chiede più autonomia, ma non riesce a costruire consenso reale attorno a questa idea. Parla come se l’Europa fosse unita, ma l’Europa resta frammentata, scettica, divisa tra l’atlantismo rassicurante e la fatica di immaginarsi potenza autonoma.
Sovranità declamata, leadership assente
A ben guardare, il 14 luglio 2025 segna il culmine di una traiettoria politica in cui la parola ha sempre preceduto il fatto. Macron è un grande comunicatore, un leader che ama i simboli e i palchi solenni. Ma la distanza tra la sua narrazione e la realtà si è fatta ormai abissale. Il suo discorso appare più come un atto di testimonianza personale che come un progetto politico collettivo. Una grande ambizione solitaria, senza una coalizione credibile che lo segua.
I suoi appelli alla dignità strategica dell’Europa sembrano scritti per i libri di storia, più che per influenzare i vertici di Bruxelles o gli elettori francesi. Il rischio è quello di un narcisismo strategico, in cui la grande visione serve più a scolpire un’eredità personale che a costruire soluzioni reali.
Conclusione: tra parole e potere
Alla fine, il confronto tra Macron e Trump si riassume così: uno vende armi, l’altro vende idee. Ma nel mondo di oggi, contano più i contratti che i discorsi. L’America First ha un prezzo, e l’Europa lo sta pagando. La Francia reclama la guida del continente, ma non riesce a convincerlo.
Il 14 luglio doveva essere un momento di rilancio. È stato, piuttosto, il ritratto di una grande solitudine politica. Macron resta in piedi sul palco della storia, ma il pubblico, ormai, guarda altrove.