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Morire in Italia: la legge Meloni sul fine vita, inutile o nociva?

L'associazione Coscioni: un testo elaborato con la Conferenza Episcopale Italiana

Alessandra QuattrocchibyAlessandra Quattrocchi
Meloni da Papa Leone, il Vaticano: “Toccati i temi della pace”

Giorgia Meloni, Italian President of the Council of Ministers, arrives at the courtyard of San Damaso, welcomed by Monsignor Leonardo Sapienza, Regent of the Pontifical Household, for a private audience with Pope Leo XIV, Vatican, 2 July 2025. ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI

Time: 6 mins read
Sei anni fa, era il 2019, la Corte Costituzionale italiana con una storica sentenza stabilì che non è reato aiutare qualcuno a morire se la persona è affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze intollerabili e tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, ed è capace di prendere decisioni consapevoli. Da allora più volte la Corte ha invitato il Parlamento a occuparsi della materia con una legge specifica. Invito ora accolto dal governo Meloni, peccato che il provvedimento elaborato dall’esecutivo, se dovesse passare com’è adesso, renderebbe più difficile e non più facile morire “con dignità”, dietro evidenti pressioni della Chiesa cattolica.
Così dice, a ragione, l’Associazione Luca Coscioni – cioè l’organizzazione non profit che ha guidato larga parte degli sforzi per legalizzare la libertà di scelta, anche col coinvolgimento diretto del suo tesoriere Marco Cappato che si è fatto più volte processare per aver accompagnato a morire in Svizzera (dove si può) diversi cittadini italiani (la sentenza del 2019 della Corte Costituzionale nacque appunto dal caso in cui accompagnò DJ Fabo ovvero Fabiano Antoniani, cieco e tetraplegico dal 2014 in seguito a un grave incidente). L’Associazione nasce nel 2002 nel nome dell’economista e docente universitario affetto da sclerosi laterale amiotrofica, scomparso nel 2006, e vuole promuovere la ricerca scientifica e i diritti civili in particolare per le persone con disabilità.
Sgombriamo intanto il campo da confusioni: spesso si usano come sinonimi “eutanasia” e “suicidio assistito”, ma legalmente si tratta di cose diverse. Nella prima un medico o un’altra persona somministra direttamente un farmaco letale per causare la morte del paziente, su sua richiesta (agendo quindi in prima persona). Nel suicidio assistito, il medico o un’altra persona fornisce al paziente i mezzi, come un farmaco, per togliersi la vita, ma è il paziente stesso che lo assume e causa la propria morte. Dal punto di vista concreto, l’eutanasia diventa indispensabile se il malato non è fisicamente in grado di comandare ai propri muscoli. La differenza in realtà si può aggirare, per esempio fornendo al paziente – se può premerlo – un pulsante per attivare l’iniezione del farmaco. Però dal punto di vista legale molti paesi tracciano una linea di demarcazione.
Negli Stati Uniti, il suicidio assistito da un medico è legale in un numero limitato di stati, tra cui Oregon, Washington, California, Colorado, Vermont, New Jersey, Maine, Hawaii, Montana (in base a una sentenza giudiziaria) e Nuovo Messico. La pratica consente agli adulti affetti da malattie terminali di richiedere a un medico un farmaco per porre fine alla propria vita, nel rispetto di condizioni che variano a seconda degli Stati ma sempre sono rigorose. In Europa l’eutanasia è legale in Olanda, Belgio, Lussemburgo, e Spagna, il suicidio assistito anche in Svizzera, Germania e Austria. Variano però le condizioni del paziente: ci sono paesi dove può togliersi la vita “con assistenza” anche un malato di depressione, o un malato di Alzheimer al primo stadio. In gran parte del Continente, e in quasi tutti i paesi a maggioranza cattolica, entrambe le pratiche sono vietate.
E cosa dice in Italia il testo base del disegno di legge sul fine vita? È stato approvato oggi, 2 luglio, dalle Commissioni Giustizia e Affari Sociali del Senato, con il voto contrario delle opposizioni, ed è stato redatto dai parlamentari Pierantonio Zanettin (Forza Italia) e Ignazio Zullo (Fratelli d’Italia). Si compone di quattro articoli, con possibili emendamenti da presentare fino all’8 luglio, e forse l’inizio della discussione nell’aula del Senato il 17 luglio. Visto il caldo estivo e l’approssimarsi della chiusura dei lavori parlamentari, l’iter sarà lungo; ma vale la pena esaminare i quattro articoli per capire come il governo si sia mosso.
Il primo riafferma il diritto alla vita: diritto resta centrale  “senza distinzioni” di età, stato di salute o condizioni sociali. Affermazione che appare del tutto superflua: le leggi sul fine vita, dovunque siano, impongono regole draconiane per evitare abusi, la volontà del paziente espressa lucidamente è sempre prioritaria, che si consenta la morte solo quando è in preda ad atroci sofferenze, o prima che ci arrivi. In nessun luogo del mondo è possibile per legge, per esempio, togliere la vita a un anziano senza memoria (anche se in alcuni Stati i genitori possono decidere di interrompere la vita di un neonato che sia destinato in breve tempo a morte certa).
Il secondo articolo ribadisce che l’accesso al suicidio assistito potrà avvenire solo in base ai requisiti imposti già della Corte costituzionale: patologia irreversibile, sofferenza insopportabile (già in atto fisica e psichica), dipendenza da sostegno vitale (incluso nutrizione/idratazione forzate), e piena capacità di intendere e volere. Il quarto articolo prevede l’istituzione di un Comitato Etico nazionale.
Ma, e qui casca l’asino, è soprattutto il terzo articolo a causare polemiche. Impone che prima di accedere al suicidio assistito, il paziente debba aver intrapreso un percorso specifico di cure palliative. Ora, in Italia la sanità è gestita dalle singole regioni e non dallo Stato. L’accesso al “percorso di cure palliative” nonché agli ausili per i disabili varia a seconda delle regioni e spesso è un tracciato a ostacoli continui, con disomogeneità e carenze nei servizi; imporlo serve a rimandare l’evento senza tempi certi, tanto più che si parla in questi casi spesso di pazienti con malattie progressive che nel corso di anni di sofferenze, e non di settimane o mesi, vedranno progressivamente sparire la loro capacità autonoma di muoversi e quindi di accedere al suicidio assistito. Aggiungiamo che secondo il DDL le procedure non saranno a carico del Servizio Sanitario Nazionale: né personale, né strutture, né farmaci potranno essere forniti tramite il SSN: un netto esclusione del coinvolgimento pubblico, sicché per accedere al suicidio assistito bisogna… potersi permettere di rivolgersi al settore privato. O di andare a morire in Svizzera.
Secondo l’associazione Coscioni, è una proposta di legge “che cancella alla radice il diritto, che in Italia esiste da sette anni, all’aiuto medico alla morte volontaria”, e che fin qui ha permesso di arrivare al suicidio assistito a molte persone senza affrontare un viaggio all’estero costoso e straziante. L’associazione sottolinea anche la curiosa circostanza che l’approvazione del testo coincida con la visita in Vaticano, oggi, di una delegazione del governo guidata da Giorgia Meloni in persona: “dopo due mesi di trattative informali, sulla base di testi tenuti segreti, con la Conferenza episcopale italiana, unico interlocutore del Governo”.
Per la Chiesa, la lotta all’eutanasia e all’aborto sono l’ultima frontiera della resistenza al mondo che non è guidato dai principi cattolici: non spetta alla persona decidere, la vita è un dono sacro di Dio e deve essere tutelata dalla sua concezione fino alla morte naturale. Eutanasia attiva e suicidio assistito sono forme di “omicidio” e violazioni della dignità umana, anche in caso di malattie terminali o sofferenze estreme; accettabile è solo evitare “l’accanimento terapeutico”. E in verità questo finora ha consentito ampie zone grigie dove negli ospedali – anche cattolici – il paziente in fase terminale viene “lasciato andare”, evitando interventi troppo pesanti o riducendo le cure che lo mantengono in vita, in base ai desideri suoi o della famiglia; perché una cosa sono i dogmi, altra cosa il buon senso di chi esercita ogni giorno la professione medica di fronte alla sofferenza umana.
L’Italia secondo la Costituzione è un paese laico, eppure – in questo e in altri casi –  secondo il Vaticano i princìpi della Chiesa dovrebbero essere inderogabili per tutti, anche per chi cattolico non è, o non è affatto credente.
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Alessandra Quattrocchi

Alessandra Quattrocchi

Giornalista e scrittrice, si occupa di politica nazionale e internazionale, cultura, società lingua e letteratura Alessandra Quattrocchi is a journalist, essayist, videomaker and storyteller. She deals mainly in politics, literature and the arts.

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