Quando un impero trema, non è sempre colpa del generale, ma spesso è lui a scegliere chi far cadere nel vuoto. E oggi è toccato a Omead Afshar, uno degli uomini più vicini a Elon Musk, pagare il prezzo di un crollo che viene da più lontano e, forse, da più in alto.
Il 2025 di Tesla si sta rivelando una montagna russa senza cinture di sicurezza. Dopo anni di crescita esplosiva, record di vendite e narrazione da “salvatori del pianeta”, oggi la realtà appare diversa: vendite in picchiata, investitori nervosi, utenti disillusi. E mentre il mondo si interroga sul futuro della mobilità elettrica, Musk prende una decisione che ha il sapore del dramma teatrale: licenziare Afshar, capo delle operazioni per Europa e Nord America, uno dei pochi rimasti del vecchio “cerchio magico”.
Afshar non era un nome qualsiasi. Uomo chiave per la realizzazione della Gigafactory di Austin, reintegrato in Tesla dopo un controverso spostamento a SpaceX, rappresentava l’efficienza operativa dentro il caos creativo di Musk. Ma ora, come spesso accade nei regimi assolutisti, è stato scaricato senza troppe spiegazioni.
Worth pulling over on the highway for this selfie pic.twitter.com/dsKwth0Nc4
— Omead Afshar (@omead) November 19, 2021
Dietro il licenziamento: strategia o panico?
C’è chi legge questa mossa come un tentativo disperato di Elon per dimostrare agli azionisti di avere ancora il controllo della situazione. Ma a ben guardare, è una mossa che solleva più domande di quante ne risolva. Se le consegne sono in calo di oltre 90.000 unità rispetto al 2024, se l’Europa sta diventando un terreno minato e la Cina si rafforza come nuovo dominatore elettrico, allora forse il problema non è (solo) operativo.
Il vero nodo potrebbe essere Musk stesso.
Il suo coinvolgimento nella politica americana, il sostegno a Donald Trump, i siparietti mediatici, i post controversi su X (ex Twitter): tutto questo ha eroso quella credibilità ecologista e progressista che aveva fatto di Tesla una vera religione per i suoi fan. Ora, molti degli acquirenti più fedeli — giovani, ambientalisti, progressisti — si sentono traditi. Tesla, nel loro immaginario, non è più l’alternativa, ma parte del problema.
Il mito dell’infallibilità si incrina
L’immagine di Musk come genio visionario sta scricchiolando sotto il peso delle sue stesse scelte. E questo licenziamento appare più come un gesto teatrale che una vera correzione di rotta. Un modo per distogliere l’attenzione dal fatto che, forse, il vero problema non sta nei manager ma nelle strategie di vertice.
Per un’azienda che ha rivoluzionato il settore automobilistico, è ironico vedere come oggi sia proprio la rigidità interna e il culto della personalità a rallentarne l’innovazione. In altre parole, la Tesla che sfidava il mondo sembra ora piegarsi sotto il suo stesso ego.
E adesso?
Il futuro di Tesla dipenderà dalla capacità di riconnettersi con la propria comunità di utenti, di riprendere in mano la narrativa della sostenibilità senza politicizzarla, di tornare a innovare nei prodotti — e non solo nei tweet.
Licenziare un dirigente può servire a dare un segnale. Ma riottenere fiducia richiede ben altro: serve autocritica, serve ascolto, serve leadership vera. Se Musk saprà dimostrare di essere più di un personaggio pubblico, Tesla potrà risollevarsi. Se invece continuerà a gestire l’azienda come un’estensione del proprio ego… allora sì, il prossimo a cadere potrebbe essere proprio il re.
E stavolta, senza nessuno a cui dare la colpa.