Sabato scorso ero all’aeroporto di Doha, in attesa di volare in India, proprio nelle ore in cui gli aerei americani stavano iniziando la loro missione in Iran. Sono stato quindi sfiorato dalla Storia, visto che Teheran ha lanciato la sua prima, e unica, rappresaglia contro la base americana in Qatar, inducendo la stato islamico medio-orientale a chiudere il proprio spazio aereo. Questione di ore, quindi, e il Giro del Mondo in 60 giorni che sto facendo con Maria Teresa Cometto per puro scopo turistico (la celebrazione di 30 anni di matrimonio) sarebbe stato scombussolato, costringendoci a riorganizzare voli e alberghi, a saltare tappe.
Peraltro, sicurezza personale a parte minacciata da qualche impreciso missile iraniano che sarebbe potuto finire sull’aeroporto civile, certamente meno difeso della base USA, l’essere costretti a bivaccare all’Hamad International per qualche giorno fuori programma sarebbe stata una reclusione a 5 stelle. Si tratta infatti dello shopping aeroportuale votato nel 2025 quale il migliore al mondo per il terzo anno di fila, e il servizio ai passeggeri in transito è inappuntabile, come abbiamo sperimentato due volte, da Oslo a Città del Capo, e poi da Johannesburg in India.
Mentre scrivo (da Jaipur, appunto) ho notizia del cessate il fuoco tra USA e Iran, e pure tra Israele e Iran. Le agenzie non hanno ancora comunicato la riapertura della ripresa dei voli sul Qatar, che aveva reagito immediatamente e duramente all’attacco missilistico iraniano con una nota ufficiale di condanna contro Teheran. Il portavoce del ministero degli esteri di Doha ha affermato che “la difesa aerea del Qatar ha annullato con successo l’attacco e intercettato i missili iraniani”, e che “il Qatar considera questo (attacco) una flagrante violazione della sovranità dello Stato del Qatar, del suo spazio aereo, della legge internazionale e della Carta delle Nazioni Unite. Affermiamo che il Qatar si riserva il diritto di rispondere direttamente in una maniera equivalente alla natura e alla proporzione di questa sfrontata aggressione in linea con la legge internazionale”. Contraddizioni in seno al popolo (islamico) si sarebbe detto una volta, ma è scontato che il Qatar non risponderà in nessun modo. Questi sembrano proprio essere i giorni della cessazione delle ostilità mai veramente cominciate. Un raid di successo durato poche ore, con risposta telecomandata di Teheran, e tutto è finito. Per ora, almeno. Sembra il bis dell’altra azione fulminea americana che eliminò dalla faccia della terra Soleimani, la mente operativa della Guardia Rivoluzionaria Islamica. Anche allora l’azione ordinata da Trump sorprese tutti, e la reazione finì nel niente.
Non è ora di riconoscere che il presidente americano sa scegliere il momento di rischiare grosso nelle partite che contano? E che ha la lucidità di capire le carte che sono in mano all’avversario? Forse dipingerlo come il mago del deal, attributo che peraltro a lui piace perché ci ha costruito la carriera commerciale, significa da una parte fargli un complimento gonfiato, ma dall’altra sminuire il fiuto dell’azzardo che è qualità da statista.
Si è visto nella vicenda russo-ucraina quanto poco, per non dire nulla, abbia pesato la sua prosopopea spaccona del “conosco Putin e conosco Zelensky, il primo giorno che sarò alla Casa Bianca li convincerò a finire la guerra”. Per indirizzare le sorti del conflitto nel senso giusto della storia, ossia a vantaggio della causa del paese aggredito, Trump finora ha fatto solo una mossa giusta: costringere Zelensky, che non aspettava altro, a diventare partner al 50% dell’America nello sfruttamento delle terre rare e del gas naturale. È stato un modo indiretto e scaltro di dire a Putin che l’America non mollerà Kiev. In questo conflitto, Trump non ha ancora maturato la chiarezza strategica mostrata nella difesa di Israele contro l’Iran nucleare. Ma che Putin abbia di fatto snobbato l’Iran, che sperava di essere meglio difeso da Mosca, non può passare inosservato a proposito della capacità di lettura degli avversari e degli alleati da parte di Trump.
A proposito dell’”arte del deal” del presidente, l’esito dell’offensiva delle tariffe scatenata ad alzo zero contro tutti i partner commerciali degli USA, amici e non, è tuttora incerto. Qualcosa Trump alla fine porterà a casa a vantaggio dell’import-export USA, ma non saranno i risultati miracolosi promessi nel Liberation Day.
Il commento finale è dedicato a quelli che hanno detto e scritto che è stato Netanyahu a “manovrare” Trump e a indurlo a usare le superbombe del Pentagono. Della serie “pur di parlare male di Trump”, eleviamo Bibi a master dell’universo! È proprio vero che la sindrome anti Trump è irreversibile.