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June 16, 2025
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Putin, Netanyahu, Trump: dove eravamo rimasti?

Sono mesi che assistiamo impotenti a quello che non vogliamo ammettere: il mondo è ormai dominato dalla legge del più forte

Angelo FigorillibyAngelo Figorilli
Cpi avverte Orban, rispetti mandato d’arresto su Netanyahu

Benjamin Netanyahu (ph: ANSA)

Time: 3 mins read

L’ultima nota di agenzia dettata dal capo di Israele ha i toni roboanti e definitivi di chi sa di non avere avversari “dominiamo i cieli di Teheran” annuncia Netanyahu “e questo cambia tutto”. Sono mesi ormai che cambia tutto e noi si fa fatica a inseguire il cambiamento brutale che ci si para davanti, anche solo con le parole.

Penso a chi scrive sui giornali o parla in tv e da mesi si ostina a tenere separati i torti di Netanyahu da quelli di Putin come se non fossero della stessa pasta i due uomini che con la loro ferocia tengono in scacco il mondo dettando i tempi delle loro guerre e ingannando tutti sulla loro volontà di pace. E poi c’è il terzo cultore della forza, affascinato come un bambino dalle parate e dai soldatini che fa sfilare per la prima volta a Washington per il gusto di paragonarsi agli altri due.

Trump, il presidente più pazzo del mondo (vi prego, è solo una citazione) che oggi si presenta al G7, al ritiro di quelli che una volta erano i suoi alleati per dire che si, forse proprio Putin può diventare il negoziatore tra Netanyahu e l’Iran, perché in fondo di uso della forza se ne intende. E gli alleati di questo presidente americano sono da mesi anche loro alla ricerca di una via di uscita perché non vogliono ammettere che la stagione della forza é ormai tra noi e ci sta cambiando. E questa stagione della forza è guidata da un trio che non ha altre regole, altri valori che non siano quelli di vincere cancellando ogni nemico e avversario.

US President Donald J. Trump (R) and Russian President Vladimir Putin (L) arrive on the first day of the G20 summit in Osaka, Japan, 28 June 2019 ANSA/EPA/LUKAS COCH

Provate a riavvolgere il nastro di questi mesi, quello dell’Ucraina e di Gaza, provate a riavvolgerlo insieme, senza ogni volta ribadire che si tratta di storie diverse, di aggrediti e aggressori da distinguere, e capirete che tutto va in una unica direzione, il più debole deve arrendersi e sparire. E ora aggiungete l’ultima puntata della serie, quella dei missili balistici su Haifa e Tel Aviv che rispondono come possono, cioè a caso, al piano di attacco di Israele, devastante nella sua potenza militare ma altrettanto cieco e incurante del futuro tragico che può procurare, perché spera che gli iraniani ringrazino chi li bombarda, anzi scendendo in strada a dire accomodatevi.

Ecco allora dinanzi a tutto questo, dinanzi all’idea che non ci sia limite all’orizzonte dell’uso della forza, che almeno le parole trovino la forza di essere quelle giuste.

Quanto è apparso impotente ad esempio lo spreco di energie sulla parola genocidio, che si vedeva da subito che era un’arma di distrazione di massa, noi a impegnarci tutti a spiegare perché era giusto o meno utilizzarla e ogni giorno che passava i morti e il dolore di Gaza aumentavano sistematicamente con la brutalità che usa non chi vuole vincere ma chi vuole cancellare per sempre ogni traccia di vita su una terra che deve essere sua. Così come quanto tempo abbiamo sprecato a parlare di spiragli, di colloqui di pace, di negoziati, a dare credito ogni volta, aggrappati alle telefonate raccontate da un presidente americano che nel frattempo manda i marines in California a caccia di migranti, che un giorno dice che il capo della Cina è un brav’uomo e un altro lo minaccia con dazi sparati come missili sui mercati finanziari che esplodono facendo morti e feriti dovunque e a caso.

Quello che non vogliamo vedere è che il mondo sta andando in una direzione che non sappiamo più governare, che gli strumenti che avevamo a disposizione li abbiamo quasi tutti sfasciati dalla mancanza di coraggio, anche solo quello di usare da subito le parole giuste: se questi tre -Trump Putin e Netanyahu- fanno le cose che fanno non possono essere considerati né amici né alleati né negoziatori di nulla.

Si dirà e anche se lo avessimo fatto, noi, Onu, Europa, quello che resta del mondo, sarebbe cambiato qualcosa?

Probabilmente no ma almeno avremmo dimostrato di aver capito chi abbiamo davanti. Ora invece continuiamo a cercare le parole per nasconderci e sperare che ci facciano meno male possibile. E non è un bella prospettiva, e nemmeno un bel vedere. Proprio in questi giorni il Corriere della Sera in prima pagina scriveva “Israele: arriveremo ovunque” un titolo che dice una cosa vera, e anche un brivido lungo la schiena.

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Angelo Figorilli

Angelo Figorilli

Ha lavorato per anni in Rai come inviato. Ha viaggiato un po’ in giro, in Afghanistan e Iraq per le guerre, in Francia per le rivolte nelle banlieues, in America per Obama e per Trump. È stato anche molto in redazione davanti al computer, fino a dirigere gli esteri del Tg2. Ha scritto i libri “il cane Patàn e altre storie” “Banlieues i giorni di Parigi” e “Lettere che non sapevano dove andare”. Nell’ultimo anno ha realizzato con Francesco Paolucci e Maurizio Maggiani il documentario “L’uomo più buono del mondo - la leggenda di Carlo Tresca”. Vive tra Roma quando deve, Sulmona, dove è nato, e Capalbio, perché lì trova finalmente il tempo di leggere e qualche volta di scrivere, con calma

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