Un atto di pirateria internazionale viene giustamente definita l’assalto della marina militare israeliana della flottiglia dei volontari che puntavano su Gaza per protesta contro lo sterminio del popolo palestinese della striscia.
“Questi volontari non sono soggetti alla giurisdizione israeliana e non possono essere criminalizzati per aver fornito aiuti o sfidato un blocco illegale: la loro detenzione è arbitraria, illegale e deve finire immediatamente”, una delle proteste all’azione israeliana in acque internazionali a nord dell’Egitto.
Huwaida Arraf, avvocato per i diritti umani e organizzatore della Freedom Flottilla, ha affermato che “Israele non ha alcuna autorità legale per detenere volontari internazionali a bordo della Madleen” e ha sostenuto che il blocco navale di Israele viola gli “ordini vincolanti della Corte internazionale di giustizia che richiedono un accesso umanitario senza ostacoli” a Gaza.
L’azione di pirateria non è l’unica compiuta negli anni dalle forze navali israeliane e dagli eredi dei marinai ebrei che furono addestrati a Civitavecchia dalla marina di Mussolini molto prima della creazione dello Stato d’Israele.
Fu allora che il padre del Netanyahu, l’attuale premier israeliano, fu segretario politico e assistente di Zeev Jabotinsky, leader dell’estrema destra sionista e grande amico del dittatore italiano. Avevano molte idee in comune e, fino alla proclamazione delle leggi razziali, una visione del futuro abbastanza simile.
Di loro, dell’accademia navale che fondarono a nord di Roma, ho scritto molto in “Mossad base Italia”, ed. Il Saggiatore, dove racconto dei legami ambigui tra il nostro Paese e il movimento sionista e, tra le altre cose, del piccolo aeroporto dell’Urbe a Roma dove nacque l’aviazione israeliana, quella che oggi lancia tonnellate su tonnellate di bombe su Gaza.
“Il fascismo di Benito Mussolini aveva i suoi adepti anche tra gli ebrei, non soltanto italiani. Zeev Jabotinsky era uno di questi. Aveva persino messo su una scuola a Civitavecchia per insegnare ai suoi seguaci le teorie, l’ideologia del “suo” sionismo, e del governo che avrebbe voluto instaurare una volta “liberata” la terra.
L’Italia sarebbe stata la prima e per un certo periodo la principale base dei discepoli di Jabotinsky, quelli dell’Irgun e della banda Stern, come Menahem Begin e Itzhak Shamir, rei di terrorismo, ricercati dalla legge britannica e poi, anni dopo, approdati uno dopo l’altro sulla poltrona del premier d’Israele. Dalla penisola, sulla penisola, avrebbero condotto una parte della loro lotta contro il colonizzatore britannico, prima di trasformare il nostro Paese in un campo di battaglia nello scontro tra ebrei ed arabi prima, tra israeliani e arabi poi…
Ben Gurion non era squadrista. Ma Capriotti (uno degli istruttori della marina israeliana) aveva più di una cosa in comune con uno degli ideologi della destra israeliana. Zeev Jabotinsky, il fondatore del partito revisionista, aveva studiato a Roma. Amava la borghesia italiana e, anche se troviamo tra i suoi scritti qualche critica al regime squadrista, guardava con una certa simpatia, come molti ebrei italiani peraltro, a Mussolini.
Già nell’aprile 1932 – leggiamo in una nota del diplomatico Ruggiero Guariglia indirizzata al sottosegretario agli Esteri – aveva espresso in “una lettera diretta al prof. Sciaky del Liceo Galileo di Firenze, il progetto di fondazione di una Scuola centrale di Istruttori per la preparazione militare della gioventù ebraica”.
I giovani erano il fulcro del revisionismo. Il Betar, la loro organizzazione, aveva ottenuto da Mussolini la possibilità di inviare allievi alla scuola marittima di Civitavecchia.
“L’organizzazione squadrista piaceva a Jabotinsky e ai suoi seguaci, e il loro sionismo piaceva agli squadristi.
“Se fosse permesso un paragone si potrebbe dire con un notevole senso di realismo che il revisionismo ha nel sionismo una posizione analoga a quella che aveva lo squadrismo nella vita italiana prima della Marcia su Roma”, si legge in una valutazione inviata a Ciano da uno dei suoi collaboratori.
Quasi duecento ebrei, molti dei quali polacchi, si diplomarono prima della fine dell’iniziativa. I corsi erano in italiano. E sulla divisa gli allievi portavano un’ancora, la menorah, il candelabro ebraico usato come simbolo anche del Betar, e il fascio littorio squadrista. In alcune cerimonie salutavano romanamente.
Con una donazione da parte di un sostenitore dei revisionisti, la scuola di Civitavecchia acquistò, per il corso degli ebrei, un veliero, il “Quattro Venti”, che ribattezzato “Sara I” fu adibito a nave scuola.