Due mesi esatti. Tra due mesi e una manciata di giorni si saprà se il sogno di un trattato globale contro l’inquinamento da plastica potrà trasformarsi in realtà o resterà l’ennesima occasione mancata. Oggi, 5 giugno, Giornata Mondiale dell’Ambiente, l’ONU lancia un nuovo appello, affidando all’UNEP (il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente) il compito di richiamare l’attenzione su uno dei nodi più urgenti: la plastica.
Un problema drammaticamente attuale. Solo nel 2024, secondo i dati UNEP, sono state prodotte circa 400 milioni di tonnellate di rifiuti plastici. Meno del 10% viene realmente riciclato, il resto finisce bruciato, in discarica o disperso nell’ambiente. Le microplastiche sono ormai entrate stabilmente nei corpi umani e animali. E non è solo una questione di inquinamento: la plastica è una bomba climatica. Solo nel 2020, la sua produzione ha generato oltre il 3% delle emissioni globali di gas serra.
Serve una regolazione della produzione e un cambio di paradigma: ridurre, riusare, riprogettare. Limitare il monouso, puntare su materiali alternativi e rafforzare la gestione dei rifiuti, soprattutto nei Paesi più fragili. Ma a ostacolare il cambiamento sono interessi geopolitici enormi.

Nel 2022, l’assemblea dell’UNEP ha approvato una storica risoluzione (5/14) per arrivare a uno strumento giuridicamente vincolante contro l’inquinamento da plastica, incluso quello marino. È nato così il Comitato Intergovernativo di Negoziazione (INC), con il compito di redigere il trattato entro la fine del 2024.
Ma i lavori procedono a fatica. L’ultima sessione negoziale (la prima parte della quinta) si è tenuta a Busan, in Corea del Sud, tra il 25 novembre e il 1° dicembre 2024. La seconda parte, decisiva, è in programma a Ginevra dal 5 al 14 agosto 2025.
“L’impegno del mondo a porre fine all’inquinamento da plastica è chiaro e innegabile. A Busan, i colloqui ci hanno avvicinato a un accordo globale legalmente vincolante,” ha dichiarato Inger Andersen, direttrice esecutiva dell’UNEP. “Ma è evidente che persistono divergenze in aree critiche. Servirà più tempo per superarle.”
Il problema è che il fronte del no si è rafforzato. Con il ritorno di Trump alla Casa Bianca, gli Stati Uniti si sono spostati su posizioni simili a quelle di Cina, Russia, Iran e Arabia Saudita. Tutti contrari a limiti vincolanti sulla produzione di plastica e ostili a ogni clausola commerciale restrittiva.
Questi paesi chiedono un trattato meno ambizioso, focalizzato solo sulla gestione dei rifiuti e con impegni “comuni ma differenziati”, ovvero su base volontaria e proporzionata alle capacità nazionali. Anche l’India si accoda, chiedendo che ogni Paese possa definire i propri obblighi in base al contributo storico all’inquinamento.
Dall’altro lato, l’alleanza “ad alta ambizione” — composta da Unione Europea, Regno Unito, Canada, Australia, Corea del Sud, Emirati Arabi, Svizzera, Cile, Colombia, Uruguay, Ecuador, Georgia, Azerbaigian, Repubblica Dominicana e vari paesi africani — preme per un trattato vincolante che imponga una riduzione concreta della produzione e del consumo di plastica entro il 2040.
La loro proposta prevede obblighi su tutto il ciclo di vita delle plastiche: limiti, divieti, standard globali, trasparenza sulla composizione chimica, obiettivi di sostenibilità, meccanismi di monitoraggio e assistenza tecnica e finanziaria.
Ma il quadro resta bloccato. Senza Cina, Stati Uniti, Russia e India, l’accordo rischia di diventare poco più di un patto tra volenterosi. Inefficace.
I negoziatori europei sperano ancora in una mossa tattica di Pechino: che la Cina, per convenienza industriale e diplomatica, scelga di “smarcarsi” dal blocco ostile per ottenere un vantaggio strategico sugli Stati Uniti, replicando dinamiche viste nei negoziati climatici.
Fantapolitica verde o strategia realistica? Lo sapremo tra due mesi. Nel frattempo, l’unico gesto concreto è individuale: evitare plastica inutile, riciclare il possibile e ridurre il superfluo. In attesa che la politica globale faccia il suo mestiere.