In un’epoca segnata da conflitti duraturi, divisioni etniche e politiche identitarie esasperate, il filosofo israeliano Omri Boehm propone una visione rivoluzionaria per il futuro di Israele e Palestina. La sua idea di una “Repubblica di Haifa” si fonda su un universalismo radicale, che rompe con le tradizionali narrazioni nazionali e invita a rifondare lo Stato e la convivenza su basi di uguaglianza e umanità condivisa. Questa prospettiva emerge come un’alternativa coraggiosa e moralmente ambiziosa rispetto a molte altre interpretazioni contemporanee, incluso il noto pensiero di Yuval Noah Harari.
Boehm, docente di filosofia alla New School for Social Research di New York, non si limita a proporre un modello politico ma punta a una trasformazione etica profonda. La sua critica non è contro Israele o il sionismo in sé, ma contro le derive che hanno portato a una legittimazione dell’oppressione palestinese e a un fallimento morale che mette a rischio lo stesso progetto sionista. «La distruzione della Palestina è anche la distruzione di Israele», afferma, sottolineando che la pace non può essere raggiunta mantenendo la supremazia etnica o la negazione dell’altro.
Il suo universalismo non è un’astrazione ideale ma un fondamento concreto dell’agire politico, che richiama la comune umanità come criterio superiore rispetto alle appartenenze nazionali, etniche o religiose. Per Boehm, le soluzioni basate sulla divisione territoriale in due Stati sono oggi insostenibili e moralmente compromesse, poiché giustificano e perpetuano la violenza e l’ingiustizia sistematica.
Un elemento centrale del pensiero di Boehm è l’interpretazione del racconto biblico del sacrificio di Isacco, tradizionalmente visto come un atto di obbedienza assoluta. Egli lo rilegge come una metafora potente della disobbedienza morale: il limite etico all’obbedienza cieca, specialmente quando questa impone violenza o ingiustizia. Il divino interviene per fermare il sacrificio, sancendo così il diritto e il dovere di rifiutare ordini disumani. Questo insegnamento si intreccia con il pensiero di Kant e la citazione di Hannah Arendt che invita a non obbedire mai a ogni costo.
Questa visione si contrappone nettamente alla lettura di Yuval Noah Harari, noto storico e divulgatore. Harari offre una visione più pragmatica e realista, concentrandosi sulle dinamiche storiche, tecnologiche e di potere che modellano il conflitto israelo-palestinese. Il suo approccio tende a sottolineare la complessità strutturale, i limiti del cambiamento immediato e la necessità di accettare compromessi difficili come parte della realtà politica. Harari vede le identità collettive e le forze nazionali come elementi fondamentali e inevitabili, spesso più forti degli ideali universali, e mette in guardia contro un eccessivo idealismo che potrebbe risultare fuori dalla portata delle condizioni concrete.
Boehm, invece, insiste sul fatto che proprio questa accettazione passiva delle divisioni etniche e nazionali contribuisce a perpetuare l’ingiustizia e la violenza. La sua proposta di una “Repubblica di Haifa” è un invito a rompere con questa logica, a superare i confini identitari per costruire una convivenza reale e paritaria, basata sull’universalismo radicale dei diritti umani. La sua lettura è più audace e idealista, ma anche più incisiva dal punto di vista morale: non si limita a descrivere la realtà, ma vuole trasformarla.
Inoltre, Boehm riprende e rielabora la tradizione filosofica e religiosa per sostenere questa rivoluzione etica. Il sacrificio di Isacco diventa così non solo un simbolo religioso, ma una potente allegoria della disobbedienza necessaria contro ogni ingiustizia, che sfida la cieca fedeltà all’autorità. Harari, pur apprezzando la profondità storica e culturale, non pone al centro della sua analisi questa dimensione morale di disobbedienza radicale, preferendo un approccio più analitico e pragmatico.
La differenza tra i due pensatori è dunque anche una differenza di prospettiva: Harari osserva il conflitto da una posizione che valorizza l’analisi storica e le dinamiche di potere, mentre Boehm propone un cambio di paradigma etico-politico, basato su un universalismo che pretende di andare oltre le contingenze storiche e i particolarismi nazionali.
In conclusione, la visione di Omri Boehm si distingue per la sua carica morale e la sua spinta trasformativa. È una proposta affascinante perché non si accontenta di interpretare il presente, ma propone una nuova immaginazione politica e umana, capace di rigenerare il progetto di pace attraverso la giustizia e l’uguaglianza. Nel confronto con Harari, emerge con forza l’urgenza e la profondità di un universalismo radicale che sfida la realtà e invita a costruire un futuro diverso, basato sulla responsabilità etica e sulla disobbedienza morale ai comandi ingiusti. Questa è la sfida più alta e stimolante che la filosofia contemporanea possa lanciare al mondo diviso di oggi.