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Generazione a rischio: l’allarme sociale dietro la violenza giovanile

L’esplosione silenziosa di una crisi che colpisce i giovani a livello globale

Carlo Di StanislaobyCarlo Di Stanislao
Generazione a rischio: l’allarme sociale dietro la violenza giovanile

Alcuni ragazzini in gruppo /ANSA

Time: 3 mins read

Nel cuore delle città europee, nei corridoi delle scuole, sui social network e nelle periferie dimenticate, si sta consumando una crisi profonda: l’esplosione della violenza giovanile. Dall’Italia alla Francia, dalla Germania al Regno Unito, cresce il numero di adolescenti che commettono atti di violenza, devianza e vandalismo. Un disagio diffuso, trasversale, che si manifesta in modi sempre più estremi.

Secondo l’ultimo rapporto Europol pubblicato nel 2024, i reati commessi da minori in Europa sono aumentati del 22% rispetto al 2020. Il dato in crescita è ancora più marcato nei Paesi dell’Europa meridionale, con l’Italia a +26%, la Spagna a +28% e la Grecia oltre il +30%. I reati più frequenti includono aggressioni fisiche, furti violenti, vandalismo, ma anche cyberbullismo e reati informatici. In Germania, solo nel 2023, oltre 23.000 minorenni sono stati denunciati per reati legati alla violenza.

Risse, gang e bullismo: cronaca quotidiana

Le cronache sono diventate un bollettino costante. A Napoli, un quindicenne è stato accoltellato da un gruppo di coetanei per uno sguardo di troppo. A Parigi, bande giovanili si affrontano con machete nei quartieri popolari. A Londra, il fenomeno delle “postcode wars” tra adolescenti armati continua a insanguinare le strade. E in Svezia, uno dei Paesi un tempo più sicuri, le gang giovanili sono coinvolte in sparatorie sempre più frequenti.

Nel frattempo, il bullismo raggiunge nuove forme di crudeltà, grazie anche alla rete. Secondo l’UNICEF, in Europa almeno 1 ragazzo su 3 tra i 13 e i 18 anni è stato vittima di cyberbullismo. I social diventano teatri di umiliazione pubblica, in un circolo vizioso tra visibilità e violenza.

La scuola sotto assedio: insegnanti nel mirino

Una delle espressioni più gravi di questa deriva è la crescente violenza contro gli insegnanti. Nel solo 2024, in Italia, sono stati denunciati oltre 400 episodi di aggressione ai danni di docenti: un incremento del 30% rispetto all’anno precedente. Ma il fenomeno è globale. In Francia, un’inchiesta del sindacato SNES-FSU rivela che il 60% degli insegnanti ha subito minacce verbali o fisiche da parte di studenti o genitori. In Germania, il 20% dei docenti afferma di aver subito almeno una forma di violenza nel corso dell’anno scolastico.

Questi atti non sono più isolati. A Palermo, una professoressa è stata presa a calci per aver ritirato il cellulare a uno studente. In Spagna, un docente di Valencia è stato accoltellato da un alunno dodicenne con un coltello da cucina. Sono episodi che segnano, oltre che fisicamente, anche psicologicamente: l’autorità scolastica è messa in discussione, il rispetto verso la figura educativa sembra evaporato.

Le cause: disagio, solitudine e assenza

Alla radice di questa esplosione di violenza c’è un disagio strutturale. Il senso di solitudine, l’instabilità familiare, la marginalizzazione economica e culturale, ma anche l’assenza di prospettive concrete e modelli educativi autorevoli. La pandemia ha funzionato da detonatore: l’interruzione delle attività scolastiche, l’isolamento forzato, la chiusura di spazi di socializzazione hanno accelerato processi di fragilità e rabbia latente.

In molte realtà, soprattutto nelle periferie urbane, i giovani crescono in contesti dove lo Stato è assente, le famiglie sono in crisi e la scuola è lasciata sola. Il disagio psicologico cresce di pari passo: secondo il rapporto Youth Mental Health in Europe 2024, il 40% degli adolescenti europei tra i 14 e i 18 anni manifesta sintomi d’ansia, depressione o aggressività incontrollata.

La rete come moltiplicatore di violenza

La tecnologia ha radicalmente trasformato la modalità di espressione del disagio giovanile. I social network, se usati senza filtro e consapevolezza, diventano megafoni di odio, strumenti di emulazione, spazi dove la violenza viene spettacolarizzata. Le “challenge” estreme, le riprese di aggressioni, i profili che celebrano le gang rendono la violenza attraente, popolare, premiata con like e follower.

Che fare: dalla repressione all’educazione profonda

Di fronte a questo scenario, la sola repressione non basta. Arrestare e punire non risolve il problema se non si agisce sulle cause. Serve una strategia globale e multilivello: educazione civica capillare, supporto psicologico accessibile, investimenti reali in scuola, sport, cultura. Servono insegnanti formati, famiglie sostenute, quartieri riqualificati, occasioni di partecipazione attiva.

In Norvegia e Finlandia, dove il tasso di devianza minorile è tra i più bassi d’Europa, il modello educativo si basa sull’empatia, sul dialogo, su un’educazione affettiva integrata nel curriculum. Esperienze simili in Portogallo e Paesi Bassi dimostrano che si può invertire la rotta, se si investe nella prevenzione e non solo nella punizione.

Una sfida culturale e politica

La violenza giovanile non è un problema dei giovani: è un segnale della crisi di una società intera. È il riflesso di un mondo adulto che spesso ha smesso di ascoltare, di guidare, di esserci. Ridare senso, fiducia e appartenenza alle nuove generazioni è la sfida più urgente del nostro tempo.

Ignorare questo grido significa abbandonare un’intera generazione. E con essa, il nostro futuro.

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Carlo Di Stanislao

Carlo Di Stanislao

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