Anche quest’anno la celebrazione del 25 aprile è occasione di scontro politico – per giunta legato al lutto proclamato dal governo per la morte di Francesco – in un’Italia che, dopo 80 anni e quattro generazioni, non riesce ancora a guardare con la giusta distanza a fatti che la storia dovrebbe aver reso definitivamente chiari a tutti.
Cominciamo dal capire bene cosa questa festività celebri, partendo da una considerazione che stupirà molti: il 25 aprile non fu istituito dalla repubblica fondata dalle forze politiche che avevano fatto la resistenza, ma dalla monarchia, nella persona di Umberto di Savoia, attraverso l’unico articolo del decreto legislativo luogotenenziale n. 185 del 22 aprile 1946: “A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile 1946 è dichiarato festa nazionale.”
La “totale liberazione del territorio” nazionale – recita l’articolo – è ciò che motiva l’istituzione della festa. Si ammetterà che una tale ragione avrà trovato l’adesione convinta e soddisfatta di ogni italiano, a prescindere dalla sua ideologia, visto che il territorio per una nazione è la casa dove questa ha diritto a vivere liberamente qualunque sia la tendenza politica dominante che esprime.
La celebrazione della festività sarà ribadita e resa permanente anni dopo, con la legge 27 maggio 1949, n. 260, “Disposizioni in materia di ricorrenze festive”. Al solo 2 giugno, data di fondazione della Repubblica, è riconosciuto lo status di festa nazionale. Tra i giorni festivi figura il nostro, qualificato come “anniversario della liberazione”, formulazione che si presterà, nel tempo, a invenzioni più o meno di parte sul da cosa o da chi gli italiani si sarebbero liberati quel 25 aprile 1945.
Siamo al punto. La data ricordata è quella che il Clnai (Comitato di Liberazione nazionale Alta Italia, di Milano) indicò per lo sciopero generale contro l’occupante tedesco e la guerra fascista. Averla indicata come festiva senza più l’accompagnamento della motivazione umbertina, l’ha candidata ad elemento di divisione tra chi si ritrova con partigiani ed epigoni, e i fascisti di ogni risma e variante. Ci si potrebbe chiedere se fosse voluto o non, dal legislatore, ma preme proporre un altro paio di osservazioni.
La prima guarda al testo della richiamata legge del 1949. Nell’elenco dei giorni festivi appare il “4 novembre: giorno dell’unità nazionale”. Si tratta del giorno della firma dell’armistizio a villa Giusti ovvero della fine, per l’Italia, della Prima guerra mondiale, ma il legislatore, con la formula “unità nazionale” estende contenuti e motivazione della ricorrenza, rendendola inclusiva di ogni e qualunque italiano. Non adotta lo stesso metodo per il 25 aprile.
La seconda si collega al testo che Sandro Perini, a nome del Clnai di Milano lesse a Radio Milano Libera il mattino del 25 aprile 1945. L’appello chiamò tutti gli italiani allo sciopero generale, in difesa di terre, case, fabbriche: “Cittadini, lavoratori, sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine.” Fornì quindi indicazioni resistenziali, chiamando a ripetere l’insurrezione di Genova e fare quanto si stava avviando a Torino: “Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire”.
Stava cedendo la linea gotica. I servizi alleati lavoravano alla resa senza condizioni delle forze tedesche e repubblichine operanti nel nord, che si sarebbe effettivamente consumata il 29 aprile alle ore 14, nella reggia di Caserta (il ministro della Difesa di Salò, gen. Rodolfo Graziani – tanto per confermare come stessero le cose in fatto di responsabilità e patria di appartenenza della Rsi – delegò la firma al capo di SS e polizia tedesche, Karl Wolff!).
Gli antifascisti di ogni colore e credo politico – dai monarchici ai comunisti, passando per liberali, azionisti, repubblicani, socialisti, includendo i carabinieri e militari – che hanno preso le armi per sabotare le azioni di Wehrmacht e SS operanti in Italia, capiscono che è il momento giusto per dare la spallata finale. Bologna è insorta il 21, Genova il 23, Torino e Milano lo fanno lo stesso 25. Come a Milano, dove vi sono industrie si procede con sciopero generale e occupazione delle strutture produttive. A fine mese il nord è libero dall’occupante. Scioperi e insurrezioni sono avvenute anche contro i sodali repubblichini e fascisti, ma il Clnai l’arrendersi o perire, lo ha rivolto solo contro lo straniero.
La lunga premessa, per dire che la celebrazione del 25 aprile fu concepita non tanto per penalizzare la parte di cittadini italiani già condannata dalla storia, sul piano morale oltre che bellico, quanto, in linea con lo spirito del 4 novembre, per fornire a “cittadini e lavoratori” un’occasione di giubilo per lo scampato pericolo di essere, come popolo italiano, occupato da una potenza straniera, per giunta dispotica. Un concetto che, aprendo la commemorazione del 25 aprile, ha trovato conferma nelle parole pronunciate il 24 aprile 2025 in senato dal suo presidente Ignazio La Russa, con il riconoscimento che le libertà democratiche italiane vengono dal sacrificio degli antifascisti e dalla sconfitta del nazi-fascismo, e che i valori da loro portati nella costituzione repubblicana appartengono a tutti.

Non coincide del tutto con questa logica, quanto deciso dal Consiglio dei ministri di martedì 22. I cinque giorni di lutto decretati (contro i 3 giorni per Pio XII Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, e un solo per Paolo VI e Giovanni Paolo I) hanno autorizzato i soliti maligni a pensare che Meloni volesse mettere in gramaglie la festa del 25 aprile. Sospetto rafforzato dalla lettura del comunicato stampa che confermava le celebrazioni programmate purché si tenessero “in modo sobrio e consono alla circostanza”. Il primo significato di “sobrio”, in Treccani, sta per “moderato, parco nel mangiare e nel bere alcolici, e in generale nel soddisfacimento degli appetiti e delle esigenze naturali”. Il Consiglio deve aver scambiato le manifestazioni della liberazione con il raduno degli alpini, che notoriamente grondano di grappa e vino.
I sindaci sono disorientati. Beppe Sala, a Milano dice al Corsera: «Cosa vuol dire “sobrietà” bisognerebbe chiederlo al governo». Il sindaco di Romano di Lombardia, vieta «Bella ciao» al corteo: nella nota firmata dal presidente del consiglio comunale, il leghista Paolo Patelli, si prescrive di non effettuare «brani musicali, inni e canti ad eccezione del Silenzio e dell’Attenti». Il comune di Cesena annulla il previsto concerto. A Carpi la liberazione viene celebrata riprendendo il testo di “Fratelli tutti”.
Nella marginalità politica, l’antagonismo sociale e l’anarchismo affilano le armi della contestazione contro chi vuole sfilare nel nome del contributo di sangue alla libertà offerto dagli uomini e donne della Brigata Ebraica, e oggi dalla resistenza ucraina a Putin.
Evidentemente non condividono le parole che il senatore a vita Mario Monti ha pronunciato nella celebrazione del 25 aprile al senato, richiamando i grandi rischi che nel mondo stanno correndo le libertà conquistate dalla vittoria contro il fascismo e il nazismo. Idealmente collegandosi alle parole in difesa della democrazia e della libertà che Carlo d’Inghilterra ha pronunciato il 9 aprile a Montecitorio, ricordando “le terribili sofferenze della popolazione civile italiana così come l’eroismo della Resistenza”, l’ex presidente del Consiglio ha, tra l’altro, detto: «Per la prima volta, gli Stati Uniti da qualche mese creano rilevanti preoccupazioni: molti comportamenti sia sul piano interno, sia sul piano della prepotenza nei rapporti internazionali sono un segnale che credo dovrebbe preoccupare tutti noi grandemente.»
Monti ha chiesto che Italia e Ue avviino la costruzione informale di una sorta di “Lega delle democrazie liberali”, insieme, a Regno Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda, «che si sentono sperduti di fronte ai comportamenti attuali, che speriamo siano reversibili, dell’amministrazione americana.»