Timothy Dolan, il potente cardinale di New York, invece di essere pensionato dopo i 75 anni di età, ora potrebbe addirittura diventare Papa, se i conservatori dovessero imporsi in conclave.
E se ciò accadesse, Donald Trump potrebbe perfino vantarsi di aver partecipato, seppur indirettamente, all’elezione di un pontefice — considerando che i rapporti tra il Vaticano e gli Stati Uniti sotto il pontificato di Bergoglio non sono mai stati buoni.
L’incontro tra Papa Francesco e il vicepresidente americano JD Vance a Roma è stato breve, diplomatico e freddo, addolcito solo da tre uova di cioccolato che il Papa ha donato ai figli rimasti a casa. Dietro la cortesia ufficiale traspariva il distacco, evidente anche nei pochi sorrisi di un Papa ormai gravemente malato.
L’impatto simbolico di quelle immagini ha superato i rigidi protocolli vaticani, che inizialmente non prevedevano un incontro con Vance: una scelta voluta per sottolineare le divergenze tra Francesco e Trump, soprattutto sulle politiche migratorie. Eppure, in quei pochi minuti, Vance è diventato l’ultimo leader americano a raccogliere le sofferte parole del pontefice, morto poche ore dopo.
I rapporti tra la Casa Bianca di Trump e il Vaticano si sono incrinati da tempo, non solo sulla questione migratoria, ma anche per le vittime civili a Gaza e per la posizione ambigua del presidente MAGA su Ucraina e Russia.
Sul piano ecclesiale, la Santa Sede ha dovuto fronteggiare una costante opposizione da parte dell’episcopato americano più conservatore. E il conclave imminente potrebbe ridisegnare anche i rapporti diplomatici internazionali della Chiesa. Già nei mesi precedenti, nonostante la salute in declino, Papa Francesco aveva avviato una silenziosa epurazione, culminata nella clamorosa scomunica del cardinale Carlo Maria Viganò, che a novembre aveva invitato apertamente a votare per Trump, definendo Kamala Harris “un mostro infernale al servizio di Satana” per le sue posizioni su aborto e diritti LGBTQ+.
Ma l’azione di Francesco non si è fermata a Viganò. La sua “ramazza” — ispirata a una Chiesa inclusiva, in grado di fermare l’emorragia di fedeli — aveva toccato anche altri porporati scomodi negli Stati Uniti.
Tra questi, Timothy Dolan, arcivescovo di New York, che il 20 gennaio 2017 pronunciò la preghiera d’insediamento per Donald Trump. Avendo compiuto 75 anni a febbraio, secondo una prassi vaticana non scritta, Dolan avrebbe dovuto rimettere il mandato nelle mani del Papa, ma non l’ha fatto. E ora, con la morte di Francesco, il suo destino si è ribaltato: da pensionando a possibile candidato al soglio pontificio, diventando il principale riferimento dell’ala conservatrice intenzionata a smantellare l’eredità del pontificato appena concluso.
Domenica, all’alba, Dolan era su tutte le televisioni americane a lodare Papa Francesco — un Papa che, nei fatti, non ha mai stimato. Ma al prossimo conclave, la sua figura potrebbe diventare decisiva. Lo scontro tra le anime del clero, tra chi sogna una Chiesa identitaria e chi vuole proseguire sul cammino dell’inclusione, potrebbe diventare storico.
Trump, da parte sua, potrebbe partecipare ai funerali di Papa Francesco. E se così fosse, il suo candidato preferito sarebbe proprio Dolan. In un conclave che si preannuncia acceso, potrebbero emergere anche alcuni cardinali italiani, considerati più vicini alla visione del “Papa di strada” appena scomparso.