L’America da alcune settimane ha un uomo solo al comando. Si chiama Donald Trump. Non è un re e non è un imperatore, ma si comporta some se avesse un grande regno e un impero globale. Gli Stati Uniti, dal 20 gennaio, non hanno più una Costituzione perché il presidente la ignora. Non hanno più una Corte Suprema perché invece di decidere nel bene e nel male, com’è accaduto sull’aborto o nel 2000 assegnando la vittoria a George Bush, adesso, sul rientro di un cittadino spedito per errore in un super carcere del Salvador, l’Alta Corte suggerisce ma non ordina di farlo tornare in America.
Trump snobba i giudici e sfida i tribunali per capire chi riesce a fermarlo visto che Camera e Senato sono impotenti e asservite al presidente padrone.
Gli agenti federali dell’ICE, anche senza prove, fermano le persone per strada o nelle auto, le ammanettano per deportarle e spaventare chi resta. È praticamente uno stato di polizia strisciante soprattutto per i cittadini stranieri di origini arabe, asiatiche o africane anche se in regola con la carta verde o i visti di soggiorno. Sembra di essere entrati senza regole e senza freni in un mondo alla rovescia.
Un balzo indietro di quasi un secolo che sta azzerando progressi e conquiste sociali considerati inarrestabili.
Nei quaranta anni che vivo in USA non mi sono mai trovata in un caos simile pericoloso e con leader non trasparenti e spesso bugiardi che mentono in pubblico come se fosse una nuova dottrina dell’ambiguità, nella quale nemmeno Trump riesce a orientarsi perché si ostina a navigare a vista. Nel Paese non c’è più una libera stampa che risponde dei suoi atti o delle sue denunce se ritenute non vere.
La Casa Bianca censura e ammette solo chi vuole agli appuntamenti col presidente e ignora anche gli ordini del tribunale che ha imposto di riammettere nello Studio Ovale la più autorevole e rispettata agenzia di stampa del Paese come l’Associated Press, famosa per la sua neutralità e utilizzata da decenni come il vero barometro della certificazione elettorale.
I modelli ispiratori di Trump non pescano più tra i leader di governi democratici, ma tra i dittatori e i regimi autoritari di Russia, Turchia, Ungheria, India e Cina, sapendo che il vero desiderio inespresso dell’attuale presidente USA è avere lo stesso potere di Xi Jinping, che, oltre a un regime, ha l’intera struttura del partito comunista cinese a proteggerlo.
Trump sta ribaltando il Ministero degli Esteri, la CIA, l’FBI e anche il Pentagono, imponendo purghe e arbitri e mettendo ai vertici di questi dicasteri solo soldatini obbedienti e inesperti, a partire dal suo vicepresidente Vance che non sembra più incontrare tutti i suoi favori perché cerca uno spazio autonomo. I miliardari che fanno parte del suo cerchio magico sono visti come degli stimolatori egoisti e, con le misure draconiane del taglio agli sprechi affidati a Elon Musk, cominciano già a vedersi le prime forti crepe nel consenso popolare trumpiano sceso al 43 per cento.
La sua intolleranza verso LGBTQ+, l’assalto alle università considerate estremiste e covi della sinistra, alle quali vuole togliere miliardi di dollari per la ricerca, sta avendo le prime contro-reazioni. Harvard è stata la prima a ribellarsi e a non cedere al ricatto della sottomissione ideologica di Trump dicendo “decidiamo noi cosa insegnare…”. Forse altri seguiranno il loro esempio e molti donatori torneranno ad alzare la testa. Chi dovrebbe però fare altrettanto sono gli avvocati. Molti grandi studi legali sono diventati bersagli di Trump e hanno accettato di lavorare gratuitamente offrendo fino a 100 milioni di dollari per non indispettire il presidente che li vuole punire. E non fa certo onore al marito di Kamala Harris scoprire che Doug Emhoff, tornato a fare l’avvocato dopo la sconfitta elettorale, è stato fra i primi a inchinarsi ai voleri del presidente vendicativo. Se partono messaggi come questi dal fronte democratico è facile capire perché il partito, se vuole tornare a vincere, forse ha bisogno di un profondo bagno di coerenza che non deve fare più sconti a nessuno. Se questo non è caos, allora stiamo arrivando alla paura.