Quando parliamo di AI di quale intelligenza parliamo? Giriamo questa domanda a Monica Colli, Autrice, formatrice e Presidente di Associazione ProXXIma, una persona che dunque approfondisce i temi della pedagogia in relazione al mondo che subisce costanti rivoluzioni.
“Bene, non parliamo certo dell’‘intelligenza del cardiaco’ di cui ha parlato la professoressa Daniela Lucangeli sottolineando l’importanza della connessione tra cuore e cervello, non solo a livello individuale (intra-self), ma anche relazionale (inter-self). Il contatto fisico, come toccare il cuore di un’altra persona, può favorire l’intimità e la sincronizzazione dei ritmi cardiaci, creando una connessione emotiva profonda. La musica, con le sue armonie, gioca un ruolo fondamentale nell’armonizzazione e nel riequilibrio degli stati d’animo. La professoressa è stata la prima in Italia a parlare di warm cognition (cognizione calda): un filone di ricerca per comprendere come mai alcuni studenti fatichino per quanto riguarda l’apprendimento scolastico nonostante non presentino alcun tipo di disturbo neuropsicologico. Secondo i ricercatori, questo si verifica perché l’apprendimento è un processo molto complesso strettamente connesso alle nostre emozioni”.
Quindi?
“Quindi il cuore, attraverso il suo ritmo, comunica con il cervello, influenzando le emozioni e le reazioni. Il ritmo cardiaco, in costante dialogo con il sistema limbico e le cortecce associative, regola l’equilibrio dell’organismo, adattandosi alle diverse situazioni. Pensate ad una persona che, dopo il pre-ricovero per un’operazione al cuore, scopre che non verrà operata perché la tac fatta all’addome ha evidenziato un tumore in fase avanzata. La delicatezza e il tempo che il personale medico si prenderà per comunicare al paziente e ai suoi famigliari la notizia potrebbe fare un’enorme differenza sull’esito della prognosi. Se la comunicazione avviene in modo lucido ma freddo, senza quindi quella cognizione calda di cui parla Lucangeli, il paziente potrebbe entrare in uno stato depressivo e pensare che non c’è più niente da fare. Tornando all’intelligenza artificiale, come ricordato anche dal presidente di Fondazione Cariplo, Giovanni Azzone, penso sarebbe opportuno sostituire il termine intelligenza con Supporto Artificiale o Disponibilità di dati e lettura di dati (data disposability and reading-DDR), poiché su questo lavora l’IA e questo ci mette a disposizione consentendoci di prendere decisioni intelligenti o meno”.
Ma se dovesse indicare una sostanziale differenza fra i meccanismi umani e quelli artificiali, che cosa indicherebbe per primo?
“La grande differenza tra il supporto artificiale e noi risiede nel fatto che il primo è sì in grado di mettere insieme una mole di dati sempre più impressionante, ma è l’essere umano che può riuscire a trovare le connessioni tra queste informazioni e a darne un’interpretazione diciamo ‘predittiva’. Si pensi proprio alla medicina che, potendo individuare per tempo una determinata patologia, può favorire il recupero da parte del paziente evitando che si aggravi. Questo però non esime dai rischi di un’ipermedicalizzazione che investe l’ambito sanitario, ma anche quello educativo3, basti pensare all’aumento dei farmaci prescritti negli Usa ai bambini con deficit di attenzione/iperattività (ADHD) o ai meta bloccanti per la pubertà. Ed è proprio qui che l’intelligenza naturale entra in gioco”.
In che modo?
“La connessione tra cuore e cervello, non solo a livello individuale ma anche relazionale, è dunque importantissima. Ed è quella connessione che si instaura tra mamma e bambino fin dalla gravidanza e che nessuna IA potrà mai avere, non solo perché non è adeguato parlare di intelligenza nel caso dell’IA, ma soprattutto perché la cosiddetta ‘intelligenza del cardiaco’ è qualcosa di strettamente connesso all’essere umano e, proprio come il linguaggio, necessita di un contesto ad hoc, per svilupparsi e fiorire. Soffermiamoci ora sul modo che ha il neonato di fare esperienza del mondo. Tutto per lui è un mistero, tutto lo incuriosisce, a cominciare dal suo corpo. Se non lo si distrae con dispositivi tecnologici, di cui sono ben documentati oggigiorno gli effetti nefasti come le crisi dopaminergiche, il neonato avrà a disposizione forze sufficienti per fare ciò che deve fare, ovvero cominciare piano piano ad abitare il suo corpo. Un bebè, infatti, e a differenza dei cuccioli di animale, non si erge subito in piedi. Lo aspettano alcuni passaggi centrali: sollevare la testa, seguire con lo sguardo un oggetto in movimento, gattonare ecc. Ogni passaggio è una conquista, ma per assaporarla e farla sua appieno il neonato deve provarci e riprovarci avendo a disposizione sia tutto il tempo necessario, sia lo sguardo amorevole di un adulto”.
Siamo assai lontani dall’artificialità….
“Vero, ma adesso vi lascio con tre domande: 1) Siamo davvero pronti a riprenderci la nostra umanità imparando a reggere l’angoscia del vuoto che si prova quando si accetta di non sapere nulla? 2) Siamo disponibili ad affrontare la vita mantenendo intatti apertura e curiosità verso ciò che prende forma di fronte ai nostri occhi? 3) E, infine: quanto spazio siamo in grado di lasciare al mistero? Ecco, se avremo le risposte giuste potremo bilanciare correttamente l’ingresso dell’IA nella nostra esistenza”.